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Kvaratskhelia appartiene al cosmo asimmetrico dei taciturni

Ha smascherato l’inutile del calcio. E noi, poveri mortali, a cercare di capire a chi possa assomigliare: la felicità non assomiglia a un’altra

Kvaratskhelia appartiene al cosmo asimmetrico dei taciturni
Napoli's Georgian forward Khvicha Kvaratskhelia reacts after missing a goal opportunity during the Italian Serie A football match between Napoli and Atalanta on March 11, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Filippo MONTEFORTE / AFP)

Ai piedi del Vesuvio un’onda tanto leggera e avvolgente nessuno l’aveva mai vista: come apparsa dall’intercapedine di un mito profondissimo, quasi oscurata dalle foschie di un mare assonnato, si erge in flutti avvolgenti e, a tratti, pare un vortice tentacolare, talvolta esplode, emergendo dall’abisso. Eppure, dal non/dove avviene la manifestazione del sorprendente, dell’ignoto, dell’inatteso: Kvaratskhelia.

Sulle sponde del fiume Mtkvari, invece, sembra essere nato il mite raggiante Khvicha, arteria poderosa che attraversa la Tbilisi millenaria, proprio nel Caucaso, quel grembo del mondo che ci ha partoriti, prima di tornarsene, silenzioso, nel cono ombroso della Storia.

Kvaratskhelia appartiene al cosmo asimmetrico dei taciturni. Delicato, elegante in ogni gesto, non sorride. Alla fine delle sue fantasmagoriche e frustranti serpentine, per i malcapitati difensori delle squadre avversarie, il pallone sembra travolgere con violenza inaudita ogni tentativo di arrestarne la corsa. Lui, il georgiano, si addormenta in un gesto atavico, infantile, primitivo. Nessuno, in quel momento, abita il suo cuore. È certo. I georgiani, si sa, non sono i geometrici e freddi esecutori di uno spazio dominato dalle tirannie.

Un bambino che cammina per strada,
ha dei passi colorati
e ogni regola rifiuta,
persino il ritmo.

Sono versi della poetessa georgiana Lia Sturua, sembrano essere scritti per Kvaratskhelia. Tutto sembra tacere sul prato verdissimo dove il fantasma biancoceleste del genio innominabile sembra assistere a ogni sua insondabile finta. Antico come una cattedrale appena cinta dai venti freddissimi d’Oriente, Kvara apre le braccia appena il pallone termina la sua ellissi sull’esterno del piede destro: spicca il volo. Rincorse disperate e tentativi di abbatterlo sul nascere, balbettii, spinte e bestemmie, Kvaratskhelia se ne va.

Malcapitati sono quelli che attraversano il mondo del calcio con il senno dello schema, la cornice, il razionale e geometrico rimbalzo che, senza incanto, finisce in rete. Che cosa sia “l’inutile” nel calcio, finalmente, Kvaratskhelia lo ha smascherato, unico, anarchico, imbelle agli ordini delle gerarchie, del già detto, del compreso. E noi, poveri mortali, a cercare di capire a chi possa assomigliare, se quel tale di oggi o quello dell’altro ieri: la felicità non assomiglia a un’altra, né si traduce in una forma già vista, è questo l’arcano del calcio.

Intanto, fiumi di inchiostro a raccontare le gabbie, i vincoli, i lacciuoli, le tattiche e gli schemi, ma, per fare cosa? Imbrigliare Kvaratskhelia! E allora non smettere di volteggiare, fra un passo di danza e l’altro di marcia, con il cuore in gola, da trafiggere sui due lati, così, come quando ci si innamora.

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