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Ettore Scola: «Massimo Troisi non amava il carattere napoletano, la cosiddetta allegria dei napoletani»

Il video che Martone ha recuperato in “Laggiù qualcuno mi ama”. «Quando gli dicevano “io sono di Napoli”, lui rispondeva “peggio per te”. Era un intellettuale»

Ettore Scola: «Massimo Troisi non amava il carattere napoletano, la cosiddetta allegria dei napoletani»
Italian Director Ettore Scola (R) jokes with French actress Marina Vlady (C) and Italian actor Massimo Troisi (L) during the 42th Cannes International Film Festival, where Scola presents his movie "Splendor", on May 14, 1989. AFP PHOTO AFP (Photo by AFP)

In “Laggiù qualcuno mi ama” il documentario di Mario Martone su Massimo Troisi (che il 19 febbraio avrebbe compiuto 70 anni) c’è uno spezzone in cui Ettore Scola ricorda Troisi. I due hanno lavorato insieme in tre film: “Splendor” “Che ora è” e “Capitan Fracassa”. Il filmato riprodotto da Martone ovviamente smentisce la melassa retorica che siamo stati costretti a sorbirci in questi giorni e che in alcuni casi ha stravolto la figura dell’artista. Artista che Scola definisce «un intellettuale più che un attore». Sono particolarmente interessanti le parole di Scola sul rapporto di Troisi con Napoli. Rapporto ovviamente mostrato sempre a squarci da Troisi che preferiva le sfumature alle sensazioni strillate. Chissà come sarebbe presa oggi la scena del suo ritorno a Napoli per il matrimonio della sorella in “Ricomincio da tre”. Vi riproponiamo il video, col testo che abbiamo sbobinato.

Il napoletano passa per essere estroverso, canterino, allegro, ecco Massimo era l’opposto di tutto questo. Non era allegro, non cantava, non suonava, era piuttosto preoccupato dalle condizioni del Sud, era sociologicamente attento a tutti i fenomeni più evidenti ma che venivano meno compresi. Questo era un suo pensiero fisso, cioè che cosa pensano gli altri, in Italia e all’estero, di Napoli.

Non amava neanche il carattere napoletano, non amava la cosiddetta allegria napoletana, non amava la capacità dei napoletani di recitare, odiava gli attori napoletani, dice “no quelli credono di sapere fare tutto e lo fanno tutto esagerando, tutto in modo non naturale, proprio perché non sanno essere naturali i napoletani”. Insomma in parte penso che avesse ragione.

Lui applicava questa severità innanzitutto a sé stesso, istintivamente era di grande comunicazione con gli altri però si controllava molto, diceva no questo è troppo facile. Era autocritico, era spettatore di sé stesso, spettatore severo, questa era la sua particolarità. Quando qualche napoletano si avvicinava e gli diceva “Ue Massimo, sono di Napoli” e lui diceva “peggio per te”. Non amava questo tipo di orgoglio napoletano.

Quando dico che più che un attore era un intellettuale, lo dico perché lui era come un saggista del Sud. In più era molto pigro e in questo seguiva il luogo comune. Era molto pigro e quindi quando io gli dicevo scusa dirigi tu i tuoi film anche perché se tu fai quel film – allora incassava più di Zalone adesso – il tuo film fa dei miliardi. Se lavori per me, sì farai dei film che qualcuno apprezzerà ma non sono film di grande successo popolare come i tuoi. Lui diceva con te mi distendo, con te mi riposo. Aveva la religione del tempo, di come utilizzare il tempo, quindi se poteva risparmiare parte del suo tempo, che poi è stato un tempo passato in fretta, a riflettere, risposarsi. Mentre si riposava, diceva che pensava, rifletteva. Quello era tempo guadagnato, il tempo che l’uomo mette ad avere un pensiero, a definire una sua sensazione, quello era il tempo guadagnato. Il tempo invece destinato a fare delle cose per lui era tempo perso. Era proprio un studioso del tempo, del Sud. Dell’animo umano, un attore assai diverso da tutti quelli che ho frequentato e credo di aver lavorato con tutti gli attori italiani possibili. Lui era quello che meglio applicava il suo pensiero a quello che stava facendo o a quello che decideva poi di non fare. Era uno che sceglieva molto.

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