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Obiang e la miocardite: «Ho pensato anche al ritiro. Non è cosa da poco avere una seconda possibilità»

Alla Gazzetta: «Adesso sul campo posso fare tutto, ma cerco di non esagerare. E al polso porto un orologio che mi consente di controllare i battiti»

Obiang e la miocardite: «Ho pensato anche al ritiro. Non è cosa da poco avere una seconda possibilità»

La Gazzetta dello Sport intervista Pedro Obiang. Un anno fa, durante la visita per l’idoneità, gli fu diagnosticata una miocardite.

«Difficile capire le cause, prima ho avuto una broncopolmonite. Ero vaccinato, ma probabilmente avevo anche avuto il Covid in forma asintomatica. Mi sentivo stanco, ma era appena morto mio padre e credevo fosse stress. Invece mi hanno detto che per guarire sarebbero serviti sei mesi».

Quale fu la reazione?

«Ho pensato che sarei rientrato prima. Non avendo sintomi, non avvertivo la gravità del problema. Me ne accorsi in ospedale. Mi attaccarono la macchinetta per i battiti del cuore: bastava che mi alzassi in piedi, le pulsazioni salivano tantissimo e la macchinetta trasmetteva quel rumore. Ho imparato quanto sia importante farsi controllare».

E’ rimasto in ospedale 14 giorni.

«Dopo il terzo mese ho cominciato a fare i test di controllo. Il primo andò bene, il secondo meno. Mi sono confrontato e quasi… scontrato con i bravissimi specialisti della Mapei, che guardando i dati mi invitavano alla pazienza. Al sesto mese ero convinto di essere guarito. Ma non era così e cominciai a pensare al ritiro. I medici mi dicevano che c’era di mezzo la mia vita. Avevano ragione. Ma fin da bambino ho sempre corso dietro alla palla senza un giorno di stop. Ero mentalmente provato».

Poi, finalmente, è guarito.

«E non ci credevo. Chiesi al dottore se fosse sicuro. Sono stato in tanti ospedali: a Modena, all’Humanitas a Milano, a Padova e infine al San Raffaele a Milano. Adesso sul campo posso fare tutto, cerco di non esagerare per evitare i problemi classici dopo una lunga inattività. E al polso porto un orologio che mi consente di controllare i battiti».

Racconta che ad un certo punto aveva smesso di considerarsi un calciatore.

«Dopo il terzo mese ho smesso di considerarmi un calciatore. Mi sono concentrato sulla famiglia. Prima mi sembrava di non avere mai il tempo per fare altro, la verità è che il tempo ci sarebbe stato, ma non lo trovavo io. Ci sono tante cose importanti fuori dal calcio. Ho avviato un’azienda vinicola, la Cria Cuervos: per adesso facciamo un bianco, un rosso e un rosé. Dopo la mia prima partita brinderemo tutti insieme nello spogliatoio. Ho pure imparato a cucinare. Devo ringraziare numerose persone e in particolare Magnanelli, Peluso, Locatelli e Morata che mi hanno mandato tantissimi messaggi, oltre al mio fisioterapista Eugenio Parodi che mi è stato molto vicino».

Quali sono gli obiettivi?

«Penso solo a giocare e divertirmi. Ho una seconda possibilità e non è cosa da poco. Il Sassuolo mi ha sostenuto e aspettato e io mi auguro di essere una risorsa portando esperienza e sfruttando la mia fisicità».

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