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«Noi marciatori siamo guardati in modo strano. Fatichiamo tanto, ma per i politici dello sport siamo noiosi»

Antonella Pamisano al CorSera: «Le nostre medaglie sono come quelle di Jacobs e Tamberi. A Ostia, durante il lockdown, la gente pensava fossi una fanatica del fitness»

«Noi marciatori siamo guardati in modo strano. Fatichiamo tanto, ma per i politici dello sport siamo noiosi»

Il Corriere della Sera intervista Antonella Palmisano, medaglia d’oro nella 20 km di marcia alle Olimpiadi di Tokyo. Originaria di Mottola, in Puglia, dieci anni fa si è trasferita a Ostia, dove vive con il marito Lorenzo Dessi, ex marciatore.

Racconta la vita a Mottola.

«Lì per andare al centro commerciale guidavo un’ora, adesso dietro casa ce n’è uno grande come la mia città. A Mottola tutti sapevano chi ero e cosa facevo, qui quando marciavo attorno al condominio durante il lockdown la gente borbottava. Pensavano fossi una fanatica del fitness. La sera in cui sono tornata da Tokyo, però, la strada era bloccata perché tutto il quartiere era sceso in strada ad applaudirmi. Avrei voluto chiedere: ma siete gli stessi che mi ringhiavano dietro l’anno scorso…?».

I marciatori vengono guardati in modo strano, racconta.

«Chi non ci conosce ci guarda stranito. Perché sculettiamo? Perché andiamo così forte senza staccare i piedi da terra? Continuano a chiamarci “maratoneti”, anche se con la maratona non c’entriamo nulla. Siamo atleti di un altro mondo: niente meeting famosi come Zurigo o Oslo, noi gareggiamo in posti come Podebrady, Dundice o Taicang, che nessuno sa dove sono, e in gare che partono all’alba. Sarebbe bello ci invitassero nei meeting per renderci più visibili: fatichiamo tanto e le nostre medaglie valgono quanto quelle di Jacobs e Tamberi. Invece, per i politici dello sport siamo atleti un po’ noiosi. Accorciano le gare, hanno cancellato la 50 chilometri spezzando molti sogni, vogliono farci girare in pista su distanze brevi ad alta velocità, così ci sbrighiamo prima. Ma quella mica è marcia».

Racconta perché ha scelto di diventare marciatrice.

«Da piccola ho voluto la marcia perché le velocità della corsa mi mettevano ansia: in una campestre ero arrivata 67ª e mi sembrava che le altre volassero. Ho cominciato con i 2.000 e i 3.000 tra Molfetta, Bisceglie, Taranto e Grottaglie: vincevo tutto».

E sui suoi allenamenti:

«Sto sui 4/5000 l’anno, 500 al mese nei periodi di punta, ma le sedute più dure sono quelle di velocità nella sabbia: quando torno a casa non riesco a salire le scale».

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