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Gianni Minà: “La Juve proteggeva Platini, il Napoli non ha mai tutelato Maradona”

Il giornalista ricorda quando dopo Italia-Argentina il Pibe parlò solo con lui, in esclusiva: “manteneva sempre la parola data”. E invoca “silenzio: il suo prezzo al mondo del pallone lo ha pagato da tempo”

Gianni Minà: “La Juve proteggeva Platini, il Napoli non ha mai tutelato Maradona”

Tra le tonnellate di pezzi su Maradona che il web ha sfornato già due minuti dopo l’annuncio della morte di Maradona, in molti aspettavano quello di Gianni Minà. Uno dei giornalisti italiani più vicini a Diego.

“Io rispettavo il campione, il genio del pallone, ma anche l’uomo, sul quale sapevo di non avere alcun diritto, solo perché lui era un personaggio pubblico e io un giornalista. Per questo credo lui abbia sempre rispettato anche i miei diritti e la mia esigenza, a volte, di proporgli domande scabrose”.

Il saluto di Minà è antiretorico, molto più di altri. E lo riporta alla sua dimensione “giornalistica”, al rapporto con le persone di quel “Maradona tante volte criminalizzato”.

“Una sorte che non è toccata invece, per esempio, a Platini, che come Diego ha detto sempre no a questa arroganza del giornalismo moderno, ma ha avuto l’accortezza di non farlo brutalmente, muro contro muro, bensì annunciando, magari con un sorriso sarcastico, al cronista prepotente o pettegolo «dopo quello che hai scritto oggi, sei squalificato per sei mesi. Torna da me al compimento di questo tempo».
Era sicuro, l’ironico francese, che non solo il suo interlocutore assalito dall’imbarazzo non avrebbe replicato, ma che la Juventus lo avrebbe protetto da qualunque successiva polemica. A Maradona questa tutela a Napoli non è stata concessa, anzi, per tentare di non pagargli gli ultimi due anni di contratto, malgrado le tante vittorie che aveva regalato in pochi anni agli azzurri, nel 1991 gli fu preparata una bella trappola nelle operazioni antidoping successive a una partita con il Bari, in modo che fosse costretto ad andarsene dall’Italia rapidamente”.

Minà racconta un episodio in particolare: Mondiali del ’90, “con l’aiuto del direttore di Rai Uno Carlo Fuscagni, mi ero ritagliato uno spazio la notte, dopo l’ultimo telegiornale, dove proponevo ritratti o testimonianze dell’evento in corso, al di fuori delle solite banalità tecniche o tattiche. Questa piccola trasmissione intitolata “Zona Cesarini”, aveva suscitato però il fastidio dei giovani cronisti d’assalto (diciamo così…) che occupavano, in quella stagione, senza smalto, tutto lo spazio possibile ad ogni ora del giorno e della notte. La circostanza non era sfuggita a Maradona ed era stata sufficiente per avere tutta la sua simpatia e collaborazione”.

Maradona, prima della semifinale Argentina-Italia, promette a Minà di parlare con lui dopo, e solo con lui.

“L’atmosfera rifletteva un grande disagio”. “C’erano tutte le possibilità, quindi, che Maradona disertasse l’appuntamento. E invece non avevo fatto a tempo a scendere negli spogliatoi, che dall’enorme porta che divideva gli stanzoni delle docce dalle salette delle tv, comparve, in tenuta da gioco, sporco di fango e erba, Diego, che chiedeva di me, dribblando perfino i colleghi argentini“.

“Cominciammo l’intervista, la più ambita al mondo in quel momento, da qualunque network. Era un programma registrato che doveva andare in onda mezz’ora dopo, perché più di trent’anni di Rai non mi avevano fatto “meritare” l’onore della diretta, concessa invece al cicaleggio più inutile. Ma a metà del lavoro eravamo stati interrotti brutalmente non tanto da Galeazzi (al quale per l’incombente tg Diego concesse un paio di battute), ma da alcuni di quei cronisti d’assalto che già giudicavano la Rai cosa propria e che pur avendo una postazione vicina ai pullman delle squadre, volevano accaparrarsi anche quella dove io stavo intervistando Maradona. El Pibe de Oro fu tranciante: «Sono qui per parlare con Minà. Sono d’accordo con lui da ieri. Se avete bisogno di me prendete contatto con l’ufficio stampa della Nazionale argentina. Se ci sarà tempo vi accorderemo qualche minuto».

“Fu un’intervista unica e giornalisticamente irripetibile, solo per l’abitudine di Diego Maradona a mantenere le parole date“.

Minà ricorda la seconda trappola doping, quella dei Mondiali americani (“La Federazione del suo amato paese non aveva mandato nemmeno un avvocato a respingere legalmente l’imputazione che non stava in piedi: «Hanno preferito trafiggere con un coltello il cuore di un bambino» aveva commentato Fernando Signorini, il suo allenatore e consigliere, quando la mattina dopo ci eravamo incontrati”).

E chiude:

“E ora silenzio. Il suo prezzo al mondo del pallone lo ha pagato da tempo”.

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