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Sarri deve preoccuparsi della sorella di Cristiano Ronaldo (non del gioco)

Sono i familiari dei calciatori la nuova sentinella dei guai. Come il papà e il fratello di Insigne con Ancelotti. Il problema del calcio moderno è il “tengo famiglia”

Sarri deve preoccuparsi della sorella di Cristiano Ronaldo (non del gioco)
La signora Elma (a destra) con Cristiano Ronaldo e un'altra sorella.

Se fossi in Maurizio Sarri sarei molto preoccupato. No, non per la seconda coppa svanita, per il gioco che sembra non decollare, per una tifoseria che non lo ha mai amato, comprensibilmente, visto le sue non proprio simpatiche esternazioni degli anni scorsi verso gli zebrati, per il presidente Agnelli che lo guarda ogni giorno sempre più perplesso.

Sarei preoccupato per la sorella di CR7 e per i suoi tweet. Infatti, il ricorso presso l’Alta Corte dei social dei parenti dei calciatori si sta trasformando più che in un genere letterario, spesso sintassi e consecutio temporum sono traballanti, in atipiche lettere di preavviso di impropri quanto influenti datori di lavoro.

Tutti noi ricordiamo come l’idillio fra Ancelotti, il golfo, il Vesuvio e le sue pizzerie sia iniziato a vacillare dopo i cinguettii del fratello e del padre di Insigne, che lamentavano la sottovalutazione da parte del plurivincente allenatore del loro Magnifico parente.

Per non dire, poi, del congiunto che professionalizza la propria parentela, trasformandola in un vero e proprio mestiere full time. Il riferimento è d’obbligo alla mitica Wanda, che ha oscurato le scalinate scese sinuosamente della sua omonima Osiris grazie a generose scollature e a comparsate televisive in cui contabilizzava i passaggi sbagliati verso il suo giovane quanto incompreso marito centravanti. Fino ad arrivare alla vorace arroganza del fratello del Pipita, sempre lì pronto ad alzare il prezzo.

C’è poi il parente che si limita a sfruttare il vento a favore, rigorosamente social, come la mamma di Zaniolo, solerte nell’approfittare della crescente popolarità del figlio per pubblicizzare i suoi selfie di avvenente giovane mamma di campione.

Un’intrusione – quella del parente giudicante – del tutto comprensibile: devono tutelare il proprio conto in banca, che non è fatto di azioni e titoli di Stato, ma di polpacci e dribbling, che consentono loro di vivere una delle migliori vite di riflesso che la storia ricordi, bevendo drink ai bordi delle piscine di casa.

Insomma, “tengo famiglia” sta diventando un’importante variabile interveniente a cui presidenti e direttori sportivi dovrebbero stare maggiormente attenti. Ai puntigliosi avvocati di De Laurentiis consigliamo di non concentrarsi soltanto sui diritti d’immagine, ma di richiedere sempre lo stato di famiglia dei calciatori che stanno contrattualizzando.

I soliti passatisti sospirano ricordando come si vivesse meglio quando nemmeno sapevamo se Rivera avesse parenti, mentre di Juliano si ricorda soltanto la salumeria dei genitori, dove sembra che i suoi compagni di squadra si riunissero per fantastici spuntini. Ma non è che non ci sono più i parenti di una volta, quanto piuttosto che, senza i social, critiche, disappunti e forse anche offese e bestemmie restavano confinate nei tinelli di casa, davanti alla tv, dove scoprivano – tanto per ricordare un famoso cinquantenario – che la luce dei propri occhi avrebbe giocato soltanto sei minuti nella famosa finale del ’70 in Messico, dopo essere stato tre giorni prima l’eroe della partita del secolo.

Insomma, senza Twitter e Facebook non sapremo mai cosa avrà pensato la mamma di Rivera vedendo il suo abatino lì in panchina, mentre scendeva in campo il pur talentuoso rivale Mazzola. Oggi, come minimo, avrebbe chiamato l’avvocato, per lamentarsi degli illustri avi di quest’ultimo, che oscuravano indebitamente il valore del suo amato pargolo.

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