Un viaggio sul pianeta terra e una visita allo stadio per Inter-Napoli: le reazioni dei terrestri sugli spalti a quel che accade in campo
La cronaca del tifoso extraterrestre
Nella Guida Galattica, imprescindibile vademecum del viaggiatore interstellare, la voce relativa alla Terra è piuttosto scarna. Questo perché, come sanno anche i delfini, la Terra verrà presto distrutta per lasciar spazio a uno svincolo autostradale e l’Ente Galattico Viabilità Iperspazio in genere rispetta i suoi cronopogrammi. Non vi nascondo che è anche per questo motivo che ho deciso di far visita a questo piccolo pianeta blu della periferia, abitato da una civiltà non ancora giudicata sufficientemente avanzata da essere accolta nel consesso galattico e solitamente snobbato dalle crociere che costeggiano l’Orlo Esterno, perfino quelle con i programmi più avventurosi e intraprendenti.
Vista la scarsità di fonti sulla mia destinazione, mi sono rivolto per un consiglio al mio amico Ford Prefect, abituato a girare in lungo e in largo l’universo (e a sopravvivere più che decorosamente con meno di trenta dollari altairiani al giorno). E Ford Prefect mi ha suggerito di non perdermi assolutamente, durante il mio soggiorno, due delle più alte manifestazioni sociali elaborate dalla civiltà che abita il pianeta: una congestione stradale e una partita di calcio.
In questa sede, vi parlerò della seconda. Devo premettere che sul pianeta da cui provengo lo sport ha un’accezione alquanto particolare, persino nella pur vasta gamma di accezioni contemplate nel nostro angolo della Via Lattea: senza farla lunga, chi è appassionato di sport lo pratica, da solo o in compagnia, contro se stesso o contro avversari volontari, e nessuno si sognerebbe mai di elaborare statistiche o diffondere i risultati, per il semplice fatto che i risultati non interessano a nessuno, lo sport è un piacere fine a se stesso. Forse mi ripeto, ma sul mio pianeta natale sono in vigore costumi abbastanza singolari anche per la varietà di gusti che è possibile riscontrare in giro per l’universo.
Comunque, come ogni buon amico che si rispetti, e che per di più è stato baciato dalla fortuna di avere per amico un esperto viaggiatore come Ford Prefect, ho fatto tesoro dei suoi consigli e ho subito acquistato un biglietto per la prima partita in programma dopo il mio sbarco sulla Terra. Il caso ha voluto che fosse FC Internazionale Milano contro SSC Napoli, due formazioni di cui non sapevo praticamente niente. Una partita, come avrei appreso dopo, abbastanza insignificante per entrambe le compagini in termini di risultato, classifica e annessi e connessi vari. Mentre aspettavo in fila ai tornelli, ho scambiato velocemente alcuni messaggi istantanei con il mio amico Ford, e lui non mi ha fatto mancare la sua approvazione: “Stasera avrai la fortuna di assistere alla più alta espressione del rito calcistico, amico mio” mi ha scritto all’istante. “Assisterai allo spettacolo nientemeno che nella Scala del Calcio, un tempio di questo sport riconosciuto in ogni angolo della Terra!”.
Sul mio pianeta natale
Io che di sport ne so poco, non praticandolo nemmeno per diletto sul mio pianeta natale, dove pure conosco un mucchio di gente che impazzisce per una corsetta di tre miglia o per una partitella a pallavolante con gli amici, mi sono subito elettrizzato (o, come diciamo sul mio pianeta natale, neutralizzato). Non solo mi apprestavo ad assistere a una delle massime manifestazioni collettive della civiltà terrestre, ma addirittura stavo per farlo in uno dei loro templi… (Qui dovrei forse precisare che sul mio pianeta natale la religione ha un’accezione particolare, ma sarebbe una storia lunga e mi limiterò quindi a fornirvi solo un elemento sperando che basti a capire meglio: da noi, quando uno riesce a liberarsi di ogni più vaga suggestione metafisica o trascendentale, si dice che ha raggiunto uno stato di beatitudine assoluto e tutti, incontrandolo per strada, non possono fare a meno di indicarlo ai bambini a mo’ di esempio, accompagnando il gesto con frasi del tipo: “Guarda quel sant’uomo!”, “Prendi esempio da quel sant’uomo!”, “Cresci proprio come quel sant’uomo!” e via discorrendo).
Ma tornando a noi… Mi sono così ritrovato seduto in tribuna circondato da oltre sessantamila terrestri gioiosi e sorridenti e subito due cose hanno colpito la mia attenzione. Primo: i sorrisi erano forse un po’ troppo tirati per essere naturali, e solo più tardi avrei capito che la maggior parte dei terrestri – al contrario di noi tralfamadoriani – mal sopportano le basse temperature, specie se accompagnate da alto tasso di umidità, per lo meno in questa regione corrispondente alla parte alta dell’Europa (vista ovviamente guardando il pianeta dal Polo Nord, come sul mio pianeta si usa fare). E poi: i sorrisi nascondevano una forma di tensione che diversi dei partecipanti del rito avrebbero liberato poco più tardi, all’ingresso in campo di ventidue loro simili, solo vestiti più leggeri (appena dei calzoncini e una maglietta, ma con dei calzettoni alti e spessi, probabilmente a difendersi meglio dal clima ostile) più altri tre o quattro in abiti altrettanto leggeri ma sgargianti (al che ho subito intuito chi fosse a comandare, laggiù in campo). Singolarmente – e qui perdonatemi ma ho già ammesso la mia ignoranza, quindi potrei dire nel seguito banalità risapute ai più, specie agli intenditori di sport terrestri – i ventidue in campo vestiti leggeri ma non sgargianti si dividevano in due squadre da undici, a seconda del colore che indossavano: azzurri gli uni, neri e blu gli altri, tutti molto eleganti, al punto da far sembrare fuori posto noi sessantamila imbacuccati sugli spalti. Gli uni erano esponenti della gloriosa FC Internazionale Milano e gli altri della temibile SSC Napoli, benché non abbia capito chi fossero gli uni e chi gli altri per buona parte del match.
Il mio vicino di sedia era un terrestre avanti con l’età, con un cappello di lana calcato sulla testa e un cappotto che sul mio pianeta natale sarebbe stato sufficiente ad affrontare i ghiacci del Polo Sud, e quando parlava vedevo il suo respiro addensarsi nell’aria in una nuvola bianca. A giudicare da come si muoveva tutto, sembrava più nervoso degli altri, e probabilmente era anche più infreddolito.
I terrestri partecipano con foga
La partita è iniziata presto per i nostri standard tralfamadoriani, abituati come siamo a far precedere anche la più leggera sgambata mattutina da qualche ora di preparativi (con annessa grigliata e beveraggi leggeri e pesanti, più se del caso qualche droguccia, che qui ho scoperto essere severamente vietata!). Uno dei neri e blu ha tirato contro la porta avversaria e quello degli azzurri che presidiava la porta (che a differenza degli altri non era nemmeno vestito di azzurro ma in compenso indossava due guantoni a proteggersi le mani dal freddo della sera) ha preso la palla e la ha rimessa in movimento. Ma non mi dilungherò sul giuoco, che a noi tralfamadoriani poco interessa, al pari del risultato. Voglio invece soffermarmi sull’importanza degli insegnamenti che questo splendido rituale collettivo terrestre ha saputo trasmettermi.
Per esempio, comincerò dicendo che i terrestri sugli spalti partecipano alla partita con la stessa foga e intensità dei ventidue in campo. Che siano giovani, maturi o vecchi, uomini, donne o indistinti, bambini, talenti espressi o larve inespresse, tutti prendono parte al giuoco, ognuno a modo suo: chi battendo le mani, chi i piedi, chi urlando, chi incitando, chi ululando, chi lanciando imprecazioni o maledizioni o entrambe le cose (a volte anche insieme). A un certo punto, l’uomo che mi sedeva accanto, forse stupito dalla mia compostezza, mi ha rivolto la parola e mi ha chiesto, in uno strano accento, se fossi straniero. “Ci puoi giurare, amico!” gli ho risposto, prendendo in prestito una delle cinque o sei frasi tipiche insegnatemi dal mio amico Ford Prefect. “Ci avrei giurato infatti” ha risposto il tifoso seduto accanto a me. “Appunto”, ho detto allora e, rifacendomi agli insegnamenti di Ford Prefect, ho accompagnato la frase con un sorriso a trentadue denti, sperando così di distendere un po’ il clima tra noi vicini di seggiolino.
L’uomo è tornato a guardare la partita ma dopo un po’, subito dopo che il terrestre vestito sgargiante giù in campo aveva fischiato per la quarta o quinta volta, è subito scattato in piedi e ha urlato qualcosa che non ho avuto modo di afferrare. Tornatosi a sedere, mi ha rivolto di nuovo la parola, stavolta per chiedermi se sapessi come si chiamava l’arbitro.
“L’arbitro?”, ho ripetuto piuttosto goffamente, ma mentre lo dicevo ho capito che si riferiva al terrestre vestito con abiti sgargianti e provvisto di fischietto per emettere suoni acutissimi, come dei comandi per i ventidue che dividevano lo spazio del terreno di giuoco con lui. Allora gli ho subito fornito le informazioni che mi aveva richiesto, attingendo alla banca dati che su consiglio di Ford avevo provveduto ad aggiornare prima dell’inizio della partita: “Paolo Silvio Mazzoleni dalla sezione di Bergamo”, ho detto. Il terrestre ha strabuzzato gli occhi, poi è tornato a guardare il campo, scuotendo la testa: “Ponzio Pilato!” mi ha corretto, urlando un’imprecazione in direzione del terreno di giuoco. “Ecco come si chiama”.
A metà partita il giuoco è stato sospeso. Qualcuno dietro di me ha detto: “E adesso tutti a bere un tè caldo” e io mi sono girato verso il terrestre che guardava la partita accanto a me per chiedergli dove servissero questa prelibata bevanda tipica del suo pianeta natale, ma quello era sparito: evidentemente, i terrestri ne vanno proprio ghiotti (solo in seguito avrei scoperto che per gli standard del mio pianeta natale il tè è considerato alla stregua delle droghe più pesanti, e non so se il mio organismo avrebbe retto bene al suo urto lasciandomi apprezzare il resto dell’incontro… quindi, a conti fatti, la fortuna mi ha baciato ancora una volta!).
Ponzio Pilato
Poi la partita è ricominciata. Il terrestre è tornato a sedersi accanto a me, ancora più cupo di quanto fosse prima dell’interruzione. Mentre i suoi simili riprendevano con boati, cori, urla e strepiti, alcuni ululavano e altri latravano, lui è rimasto in silenzio. Solo quando sul finire della partita Ponzio Pilato ha estratto un cartellino giallo all’indirizzo di uno dei giocatori azzurri, facendolo subito seguire da uno rosso, in un rapido gioco di prestigio che ha strappato applausi da gran parte degli astanti, il tifoso ha ripreso a parlare. Sembrava sconfortato, mentre diceva: “Come volevasi dimostrare”. E poi aggiungeva: “Ti ha pure applaudito, cosa volevi di più.” E poi, rivolto verso di me: “I buuu non li ha sentiti, ma l’applauso l’ha visto. Ponzio Pilato… Salva Barabba! Libera Barabba!”.
In effetti gli applausi, come avrei capito di lì a poco quando uno dei giocatori in maglia nera e blu che non avevo nemmeno notato fosse in campo ha calciato il pallone nella porta avversaria, sono una chiara manifestazione di apprezzamento, nonché di gioia, di partecipazione e di condivisione, quindi il fatto che i giocatori insigniti del cartellino rosso abbiano dovuto abbandonare il campo anzitempo rispetto ai restanti venti deve essere un inequivocabile segno d’onore, il tributo concesso al migliore in campo. (A dire il vero questa interpretazione è ancora controversa in quanto, se mi affido alla consulenza prestatami dal mio vicino di seggiolino, il primo giocatore che ha lasciato il campo era sì il migliore dei suoi, ma secondo lo stesso metro di giudizio il secondo che si è guadagnato il cartellino rosso era stato invece proprio il peggiore, quindi secondo me anche i terrestri hanno le idee un po’ confuse quando si tratta di applicare le regole del giuoco. A meno che, e qui lo dico e qui lo nego, il secondo giocatore uscito dal campo non fosse proprio quel Barabba invocato a gran voce dal mio vicino la prima volta, nel qual caso potrebbe essere una sorta di onore concesso a votazione popolare… a pensarci bene, potrebbe anche essere.)
Ad ogni buon conto, della partita tra l’FC Internazionale Milano e l’SSC Napoli mi rimarrà per sempre un buon ricordo: i terrestri sanno essere calorosi anche nelle condizioni climatiche più avverse e non smettono di sostenersi l’un l’altro anche quando sembrano regredire a comportamenti accompagnati dall’emissione di suoni che su Tralfamadore definiremmo animaleschi se non bruti. Amano divertirsi così, e alla fine sono tutti più contenti o comunque sereni. La partita di calcio è davvero un rito collettivo sontuoso, specie se celebrato in templi come la Scala del Calcio. Mi restano dubbi a questo punto sull’applicazione delle regole da parte del direttore della gara, quel Paolo Silvio Mazzoleni che in realtà all’anagrafe sarebbe registrato come Ponzio Pilato (ho già inviato al database una segnalazione con la mia proposta di aggiornamento): a meno che sulla Terra la vista non sia un senso più apprezzato dell’udito (cosa che tutte le persone provviste del dono dell’ascolto e della comprensione, in qualsiasi civiltà vivano, saprebbero rapidamente smentire), il direttore di gara di questa partita, che sicuramente vedere ci vede benissimo, farebbe comunque meglio a farsi controllare l’udito, potrebbe scoprire i sintomi di una sordità intermittente, che come la Guida Galattica insegna è un problema diffuso in quasi tutte le civiltà non ancora sufficientemente progredite. Spero per lui che tutto si risolva per il meglio e il più presto possibile.
Se non altro, prima che la Terra venga distrutta.