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Quando la scelta delle maglie non era dettata dagli sponsor

Contro la Spal, ai tempi di Sivori e Altafini, il Napoli giocò in bianco per dovere di ospitalità. Con i ferraresi, in quegli anni, giocò anche Bigon

Quando la scelta delle maglie non era dettata dagli sponsor
Sivori, Juliano, Canè, Stenti festeggiano dopo il 4-2 alla Spal

Il dovere di ospitalità

Si chiamava dovere di ospitalità e chissà se nel calcio d’oggi esiste ancora questa regola non scritta, questo atto di cordialità nei confronti dell’avversario quando si gioca in casa. Questi sono gli anni in cui comandano gli sponsor tecnici, il merchandising vuole che una maglia tiri ed attiri i clienti più di un’altra e finisce spesso che non si badi più a chi sia la squadra ospite e quale la ospitante. Tutto fa brodo. È forse già tutto scritto e progettato a tavolino, le maglie devono avere visibilità altrimenti non si vendono. Parole, colori e contratti a cura dello sponsor tecnico, in accordo con quelli istituzionali. Questa per le Coppe, quest’altra per il campionato, il valzer appare infinito in un arcobaleno di colori, spesso sgargianti e kitsch.

Fortunatamente resiste ancora la regola che vuole che la maglia classica, la cosiddetta prima, sia indossata in casa e che la squadra in trasferta si adatti ai colori dell’avversario. Ovviamente ogni buona norma può essere sovvertita se ci sono anche le condizioni per farlo. Quindi può essere capitato di vedere una partita in cui, ad esempio, il Napoli abbia giocato con una maglia jeansata o bianca con banda verticale in casa e la squadra avversa abbia indossato la sua prima maglia nonostante la trasferta.

Ottavio Bianchi

La Spal battuta in finale di Coppa Italia

Insomma oggi regna la confusone organizzata, la passione per i propri colori non è più materia dei tifosi ma è passata ad essere proprietà degli sponsor. Nel calcio di una volta le regole erano più ferree e si tendeva a rispettare la prima o la seconda maglia, a seconda se si giocava in casa o fuori dalle mura domestiche. Il Napoli di Fuorigrotta è quasi sempre stato azzurro mentre quello da trasferta assumeva il bianco o il rosso prima delle “invasioni barbariche” odierne. Eppure ci sono stati dei campionati, soprattutto negli anni ’60, dove le squadre italiane hanno dato vita e fuoco al cosiddetto dovere dell’ospitalità. Il primo esempio che salta alla mente è proprio quello della sfida con la Spal, anch’essa squadra con l’azzurro dominante. Ripercorriamone qualche tappa.

Brescia con 49, Napoli 48 e Spal 47 punti vincono il campionato di serie B 1964-65 e ottengono la sospirata promozione nella massima serie in un caldissimo fine giugno. È anche l’ultimo anno di Gianni Corelli col Napoli (105 presenze con 23 reti tra il 1961 e il 1965 ), un ferrarese doc, un giocatore che va annoverato di diritto nella storia per aver segnato reti importanti e decisive, la prima delle quali proprio contro la sua Spal nella finale di Coppa Italia del 1962.

Lo scoppiettante 4-2

Il 5 settembre, alla prima giornata di campionato di serie A, il calendario mette di fronte proprio gli azzurri e la squadra di Ferrara. Finirà con uno schioppettante 4 a 2, tripletta di Canè e rete di Altafini, per gli spallini segnano Capello e Nardin fa autorete. Inizio migliore non ci poteva essere per i “centomila cuori” invocati dagli abbonamenti a rate del presidente Fiore e dalle canzoni folkloristiche dedicate alla squadra di Sivori e Altafini che venivano pubblicate con una certa frequenza. La squadra di casa, proprio in onore del dovere di ospitalità di cui si diceva sopra, scende in campo con un completo bianco bellissimo, elegante, con uno scudetto con la N in bella evidenza e il bordino azzurro al collo. La decisione fu presa per rispetto della squadra ospite che, con la maglia a strisce azzurre e bianche, avrebbe potuto confondersi con quella del Napoli. Portò bene, meno male. Alla fine di quel primo torneo di A, la Spal si salvò all’ultima giornata per un punto sulla Sampdoria ed il Napoli arrivò terzo, a cinque punti dall’Inter campione.

L’anno dopo il calendario fa un altro scherzo e propone l’ennesimo confronto con gli spallini all’inizio. È la seconda giornata, è il 25 settembre del 1966. Al San Paolo scende la rinnovata squadra ferrarese, stavolta partita con l’ambizione di una salvezza più tranquilla. La cosa strana è che Reja e compagni indossano una maglietta a strisce azzurre e blu, la seconda mise, quella da trasferta. Ed il Napoli, sempre per il dovere di ospitalità, indossa una splendida maglia rossa con pantaloncini bianchi e calzettoni rossi. Un completo che, da quel momento in poi, porterà fortuna e sarà utilizzato a fasi alterne, sia in casa che in trasferta, per tantissimo tempo, fino a quando, anche nell’era Maradona, il rosso si giocava il posto col più classico bianco come seconda maglia ufficiale del Napoli. Prima che venisse fuori la moda della terza maglia e dei colori più disparati che hanno contraddistinto la storia recente degli azzurri, dagli anni ’90 in poi. Giallo, blu, nero e fantasie varie.

Quella partita fu risolta da uno dei nuovi acquisti del Napoli, un mediano preso dal Brescia per dare sostanza, grinta e qualità al centrocampo azzurro, Ottavio Bianchi. Uno che da giovane era soprannominato lo “Stiles” italiano e da allenatore il “martello”. La sua bordata trafigge, a pochi minuti dal termine, l’incolpevole Cantagallo e regala altri due punti preziosi al team di Pesaola che aveva già vinto la prima col Vicenza con lo stesso punteggio. Curiosamente, dieci anni più tardi, Bianchi andrà a chiudere la carriera proprio alla Spal. Alla fine del campionato il Napoli sarà quarto, a sei punti dalla Juventus campione d’Italia mentre la Spal conquisterà ancora una risicata salvezza terminando due punti sopra la Lazio retrocessa.

Nel campionato 1967-68 c’è l’ultimo confronto in serie A, il terzo consecutivo degli anni ’60, tra le due squadre. Dopo la vittoria del girone d’andata a Ferrara per 2 a 1 ( reti di Orlando e Bosdaves, risposta di Lazzotti ), Napoli e Spal si rivedono a Fuorigrotta il 18 febbraio del 1968. Ancora una volta gli azzurri vincono di misura, in maglia rossa. La rete è in realtà un autogol del terzino Stanzial. Grosso sospiro di sollievo degli 80.000, i due punti sono in saccoccia. Montefusco a centrocampo è fronteggiato da un giovane Albertino Bigon che si sta facendo le ossa nelle squadre di provincia. I due si erano già conosciuti in estate. Dove? direte voi. In ritiro, Bigon era del Napoli ma Pesaola pensò bene di farlo maturare altrove perché tra gli azzurri non avrebbe trovato spazio. Alla fine del torneo la Spal arranca e finisce in cadetteria, a tre punti dalla quota salvezza, mentre il Napoli fa uno dei campionati più belli di quegli anni ed arriva secondo. È vero, i punti di distacco dal Milan sono 9 ma gli azzurri si mettono dietro Juve, Fiorentina, Inter e Bologna, ovvero gli squadroni dell’epoca. Dopo quella retrocessione, a Ferrara dovettero attendere 49 anni per rivedere la serie A. Noi, invece, speriamo che il Napoli di oggi non sia sempre l’eterno secondo.

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