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Il Napoli all’olandese di Vinicio poteva nascere solo nel post 68

Il Napoli all’olandese di Vinicio poteva nascere solo nel post 68

Ieri si è tenuto il secondo degli incontri previsti nel ciclo di seminari “Napoli, la città, la squadra e i suoi eroi” presso il Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II. Protagonista dell’incontro di oggi (purtroppo assente per ragioni di salute) è stato Luis Vinício, per tutti O’ Lione, con il suo rapporto con la città di Napoli, la Napoli di Achille Lauro in particolar modo. In un’aula gremita, i relatori che si sono alternati nel ripercorrere la storia del grande giocatore sono stati Mimmo Carratelli, storica firma de Il Mattino, Franco Esposito, anch’egli firma storica del giornalismo sportivo nonché autore di un libro proprio su Vinício, Giuseppe Foscari, docente e storico dell’Università di Salerno, e Oscar Nicolaus, ricercatore e stimato intellettuale.

È Esposito, lo storico giornalista del Corriere dello Sport, nonché amico di Vinício, a parlarci del Vinício calciatore, allenatore e, non ultimo, del Vinício uomo. Vinício viene notato durante alcune amichevoli che disputò in Europa, e in Italia, nelle quali fece mostra delle sue doti calcistiche. Per insistenza dell’allora presidente del Napoli, l’armatore Lauro, diventa così un giocatore del Napoli. Esposito ricorda come quell’anno, il ’55, i tifosi non conoscevano ancora Vinício, le uniche notizie le ricevevano dal Roma o seguendo le partite alla radio. Esposito ci regala un suo ricordo personale, la prima volta che vide da vicino il calciatore brasiliano: nel piazzale dello stadio del Vomero, l’attuale Collana, mentre era con alcuni amici, arrivarono degli uomini ben vestiti e uno di loro (che si rivelò poi essere l’allora segretario del Napoli) presenta ai ragazzi il nuovo acquisto, Vinício, appunto!

Esposito ricorda ancora che fu colpito da due cose: la prima, la statura possente del giocatore e la seconda, le sue scarpe gialle! È bastato poco perché Vinício diventasse un eroe per Napoli e i napoletani: prima di campionato contro il Torino, diagonale di destro e Vinício, dopo solo 16’’, va in rete. Furono anni che videro sempre di più crescere il rapporto d’amore tra il giocatore e la città, amore testimoniato anche da quanto successe nel momento in cui iniziò a prospettarsi l’ipotesi di cessione del giocatore a causa del suo scarso rendimento: i tifosi, ma forse la città tutta, si schierarono con lui esponendo al San Paolo uno striscione con scritto “Vendetevi l’anima, non Vinício”. Ciononostante, la società lo cedette al Bologna nel ’60.

Ma questa fu solo una separazione momentanea: Vinício tornò a Napoli di nuovo nel ’73, ma stavolta come allenatore e rivoluzionò il calcio italiano introducendo il calcio all’olandese, fatto di grande possesso palla, sovrapposizione degli esterni, squadra corta e soprattutto marcatura a zona. Il risultato fu quello di essere riuscito a creare quello che da molti è stato ed è tutt’oggi definito il Napoli più divertente della storia. Nicolaus racconta alla platea un aneddoto per lui emozionante e cioè quando, per caso, invitato a partecipare ad una trasmissione televisiva incontra il suo beniamino, Vinício appunto. Quel beniamino che vide giocare per la prima volta, ancora ragazzino, in occasione dell’incontro Napoli-Juventus che si concluse con la vittoria della squadra azzurra grazie anche ad un goal del calciatore brasiliano. Nicolaus, alla fine del suo intervento, introduce quello che sarà poi il filo conduttore dell’intero incontro e cioè la brillante intuizione da parte dell’armatore Lauro del calcio come formidabile veicolo per accrescere il proprio prestigio e potere personale. Concetto che infatti viene ripreso dall’intervento di Carratelli: il giornalista, oltre ad elogiare le doti del giocatore, sottolinea come a suo avviso Vinício abbia rappresentato, suo malgrado, una figura di commistione tra lo sport e la politica, definendo Lauro come un antesignano di tale fenomeno. Egli infatti ci ricorda che Lauro fu presidente del Napoli già nel 1936, scelta che in realtà gli fu imposta dal regime fascista; ma è nel 1952 che Lauro fa una scelta politica ben precisa entrando, di sua iniziativa, a far parte della storia della società sportiva della città.

Carratelli sostiene infatti che il ritorno di Lauro al mondo del calcio risponde alla necessità personale di ottenere consenso politico e, dunque, prestigio presso il popolo napoletano. Non a caso sarà sindaco della città dal ’52 al ’57, e poi brevemente nel ’61. Il calcio così inizia a configurarsi come un mezzo di propaganda politica: proprio nel ’52 Lauro decide di investire e comprare un attaccante per rafforzare l’organico e viene scelto un giovane talento dell’Atalanta, Jeppson, senza badare a spese. A questa mossa seguì un sorprendente successo elettorale: ben 300 mila voti. Seconda mossa di Lauro, all’approssimarsi delle nuove elezioni, fu l’acquisto di un altro fenomeno, Vinício, che all’epoca militava nel Botafogo, conteso con la Lazio che l’aveva già comprato. Lauro portò avanti la trattativa con il conte Vaselli, presidente della Lazio: raggiunsero un accordo che prevedeva, oltre ad una cospicua somma di denaro, anche la cessione degli appalti per i lavori previsti per il rifacimento di Piazza Municipio a Napoli. Questi sono infatti gli anni in cui Napoli vive un forte sviluppo economico, ma anche una cementificazione spinta: proprio durante gli anni dell’amministrazione Lauro ebbe inizio una profonda trasformazione edilizia della città che diede il via al “sacco edilizio”, simbolicamente descritto nel film di Francesco Rosi “Le mani sulla città”.

A concludere l’appassionante incontro è Foscari, che nel suo intervento pone un interrogativo: perché il gioco all’olandese – tipico del Vinício allenatore – si è diffuso negli anni ’70 e non in altre epoche? Secondo lo storico è perché c’è una stretta connessione tra trasformazioni sociali e culturali e trasformazioni nel calcio. Secondo le sue osservazioni, alle richieste della società civile di quegli anni che ruotavano essenzialmente su un nuovo tipo di struttura sociale, non più basata su rapporti gerarchici, ma su rapporti alla pari, di tipo orizzontale, è corrisposto un cambiamento anche nello stile calcistico e cioè una socializzazione del calcio: tutti al servizio di tutti. Con il gioco all’olandese si crea la “rete” in cui tutti i componenti sono collegati e le varie individualità perfettamente integrate nella collettività. Dunque l’ideologia di un preciso modello culturale, sociale e politico va così a proiettarsi anche nel gioco del calcio.

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