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Intervista a Darwin Pastorin: «Il calcio di oggi uccide la fantasia»

Confessioni del cronista sportivo italo-brasiliano, in libreria con “Lettera a un Giovane Calciatore”: «In un tema a scuola, scelsi Pietro Anastasi come personaggio del 900»

Intervista a Darwin Pastorin: «Il calcio di oggi uccide la fantasia»

Ci sono editori che fanno questo mestiere solo per vendere libri, indipendentemente dalla qualità dell’autore e del tema trattato e ci sono editori che invece vendono (o tentano di vendere) i libri degli autori che rispettano, stimano e aggregano come comunità. Io ho avuto la fortuna di entrare nella scuderia di un editore (Chiarelettere) che appartiene alla seconda categoria. E di conoscere tanti compagni di avventura che mai mi sarei sognato di incontrare nella mia vita, idoli e miti della mia adolescenza di vorace lettore. Penso a Giovanni Fasanella che mi ha raccontato gli anni (di piombo) e le tensioni che vivevo al liceo e che mi ha onorato della sua amicizia. Ma poi nella squadra editoriale arriva lui, Darwin Pastorin con il suo nuovo libro “Lettera ad un giovane calciatore” e corono il mio sogno di farne la conoscenza.

Leggere Darwin Pastorin

Anche se, quando leggo Darwin Pastorin, la prima inconsapevole sensazione che provo è quella di avere la certezza di conoscerlo da sempre. Forse perché lo seguo sin dai tempi del mitico Guerin Sportivo di Italo Cucci, giornale che continuo a leggere (nonostante qualche direzione non proprio all’altezza di Brera) ininterrottamente dal 1977; forse perché è uno dei pochi juventini (insieme al compianto Avvocato e all’indimenticabile poeta Vladimiro Caminiti) ad affermare, senza alcun dubbio al riguardo, che il più grande calciatore di tutti i tempi è stato Maradona; oppure perché appartiene a quella scuola di giornalisti-scrittori italiani (Arpino, Brera, Caminiti, Berselli, Santoro, Mura, Marani e qualche altro) che onora la letteratura sportiva dei mostri sacri Soriano, Galeano e Hornby. Ma soprattutto perché come me e tutti i Napolisti sogna ancora un calcio romantico.

L’unico possibile in cui credere se non ci si vuole allontanare definitivamente da questa passione e ritornare, così come ben scritto nel libro, necessariamente ed esclusivamente, sui campetti di periferia e negli oratori, classici posti dove il calcio ritorna ad essere magia.

Una bella domenica di calcio

Ci diamo appuntamento telefonico domenica 28 maggio ore 18 e la costellazione ci è favorevole. Perché è la domenica in cui il Dio Eupalla condanna tutti gli scettici e i complottisti ad un giorno di pene e di sofferenze, in cui devono sopportare la vittoria della Roma all’ultimo minuto, la vittoria del Palermo sull’Empoli che costa circa 15 milioni di euro, la salvezza miracolosa del Crotone. Un’intervista di circa un’ora che, partendo dai temi del libro, assume le caratteristiche di una chiacchierata che sarebbe potuta continuare ancora tanto se non ci avesse fermato l’ansia di guardare in tv l’addio di Totti, l’ennesima bella pagina del calcio che desideriamo vivere e raccontare.

Godetevi questo poeta del calcio.

Il tifo

Eduardo Galeano disse che un uomo nella sua vita può cambiare tutto (anche la moglie) ma non la sua fede calcistica. Tu hai vissuto in una famiglia che accettava la diversità del tifo: tuo fratello del toro ma soprattutto, e lo scopriamo con grande meraviglia, padre veneto tifoso del Napoli! Come vivevate la storica rivalità? Raccontiamo come si può essere tifosi di squadre rivali e concepire la passione per un confronto fatto di memoria, di sentimenti, anche di sfottò ma che non possa sfociare in insulti o peggio ancora.

La cosa meravigliosa è che al mio papà non fregava niente del calcio! A volte in Brasile mi portava a vedere il Palmeiras ma solo per il fatto che era la vecchia Palestra Italia (diventa Palmeiras nel ‘42 quando il Brasile entra in guerra a fianco dell’America contro l’antifascismo) ed era un modo di ritrovarsi tra italiani. Ma a lui piaceva da matti l’automobilismo, gli piacevano i motori.

Il calcio no, però visto che a casa si accendevano le discussioni già da quando eravamo piccoli, perché mio fratello maggiore era del Corinthias e io del Palmeiras e già lì c’era questo “derby interno”; poi quando siamo rientrati in Italia e ci siamo stabiliti a Torino mio fratello maggiore, mia sorella ed io diventammo tifosi della Juventus, un altro mio fratello del Torino, mia mamma (veneta) con una passione per il Verona, il Chievo (e poi da vera nonna per tutte le squadre dei nipoti!). Mio padre per partecipare al dibattito scelse il Napoli, perché per lui, emigrante in Brasile, Napoli e i napoletani gli ricordavano per calore, per partecipazione il tifo degli stadi brasiliani. Diceva spesso che quell’emozione che ti danno i tifosi napoletani è la stessa che mi hanno dato i tifosi brasiliani.

Il tema

Questo è il calcio che occorre tifare e sostenere, fatto di passioni e di memoria (e di sfottò anche tra familiari). Non altro. E che, come tutte le passioni, è anche irrazionale. Giovanni Arpino diceva che la parola tifo deriva dal greco Tiphos che significa vapore, fumo, nebbia, quindi il tifoso è una persona annebbiata! E di nebbia nella mia testa di tifoso ce n’è stata abbastanza sin da piccolo. Ricordo quando Anastasi arrivò alla Juventus la professoressa delle scuole medie ci diede un tema: “Raccontate qual è per voi il più grande personaggio del ‘900”.

Allora molti miei compagni scrissero: Papa Giovanni XXIII, altri J.F. Kennedy, io ho scritto non so quante pagine su Anastasi. La professoressa mi ricordo cominciò a dare a tutti i voti e lasciò per ultimo il mio e mi disse “guarda io non so se darti un’insufficienza o un buon voto, alla fine mi diede un buon voto perché disse era scritto bene, con passione, ma disse: “Questo come si chiama? aspetta, Pietro Anastasi può essere il più grande personaggio del ‘900?” (risate).

Maradona

Maradona viene da te, juventino, definito il piu grande di tutti , il Borges del calcio, tua Odissea, il tuo Don Chisciotte, la tua Divina commedia. In principio ci fu Diego e poi gli altri! Leggendo il libro mi sono soffermato su due particolari che ci permettono di sorridere (ma non tanto) un po’ e che abbattono due miei (e di tanti napoletani) falsi miti. Innanzitutto dichiari che in Italia fu segnalato la prima volta da Osvaldo Soriano nel 1979 in una delle lettere della fitta corrispondenza con il maestro Arpino e quindi non da Gianni Di Marzio che si arroga simpaticamente il diritto di aver segnalato ancora prima (nel 1978) Diego al calcio Napoli.

E poi parli dell’amicizia con Salvatore Bagni che, dichiari, per Diego è stata (ed è) un toccasana. Allora quelle voci sulla rottura della loro amicizia (Bagni avrebbe carpito gli ingaggi di Diego per le sue apparizioni televisive approfittando delle sue precarie condizioni psico-fisiche) le possiamo accantonare? A me piacerebbe darti ragione.

Aspetta che mi devo mettere in ginocchio! Non sai quanti vaffa, da juventino e italo-brasiliano, che mi prendo…Una volta ho litigato ad un convegno con un professore emerito che mi ha detto “Ma Pelè….. Pelè….”. Gli dico si anche Jorge Amado in “Navigazione di cabotaggio” esalta Pelè ma io ho visto anche dei filmati di Pelé, anziano, giocare e sbagliare tre rigori in una partitella! Dopo che hai visto Diego FINE! Sul “primato del segnalatore può darsi che anche Gianni Di Marzio, che ho conosciuto bene e che stimo, abbia potuto (come anche altri) segnalare Diego ma mi piace pensare, e il pensiero è romantico, che il primo è stato questo straordinario scrittore, ex centravanti in Patagonia, che scrive al suo amico Giovanni Arpino “Attenzione che qui c’è…..” anche perché come diceva Soriano il ricordo ingigantisce ogni cosa.

Un ricordo di Salgari

Ricordo ancora la nostra ultima telefonata, quando lui mi disse di avere due sogni, di voler scrivere due libri: 1) il seguito di “Triste, solitario y final”, con protagonista non più Philip Marlowe ma Emilio Salgari e 2) quello di voler scrivere un romanzo su Maradona. Tu pensa a Salgari come da noi è trascurato, dimenticato e l’importanza che ha ancora adesso nell’America latina, sai quanti scrittori sono cresciuti, hanno parlato e parlano nelle loro opere di Emilio Salgari, lo stesso Che Guevara aveva letto quasi tutti i romanzi di Emilio Salgari e da noi veniva (e viene) considerato un autore per bambini.

Uno scrittore immenso (tra l’altro legato alle due città della mia famiglia: Verona dove è nato e Torino dove purtroppo si è suicidato) ha scritto dei capolavori senza essere mai stato in quelle terre; lui quel mondo lì se lo è costruito con l’immaginazione, andando in biblioteca a consultare i dizionari, senza aver mai visto niente, lui ha aperto le strade al sogno, all’avventura. Salgari è stato determinante per la mia formazione: prima dei calciatori io ho amato Sandokan e Romero. 

Diego e Salvatore

Per quanto riguarda l’amicizia tra Diego e Bagni ti dico che da tempo non sento Salvatore e non sento Diego. Però Salvatore mi raccontava delle volte che aveva ospitato Diego, delle volte che aveva dato conforto a Diego, della loro amicizia. Ad ogni modo mi auguro che non sia così anche se poi purtroppo nella vita anche le grandi amicizie,come i grandi amori, talvolta finiscono, a volte per una sciocchezza, a volte per un tradimento.

Però a me piace pensare e ricordare la parole di Salvatore durante gli anni dell’amicizia e quell’incontro, raccontato nel libro, che è stato incredibile: io sto per intervistare Sepùlveda, mi chiama Salvatore, mi passa Diego e Diego parla con Sepùlveda e Sepùlveda poi fa alla moglie. “Ma era Maradona davvero! Cioè incredulo ed emozionato . Capisci, Sepùlveda, uno dei più grandi scrittori del ‘900, non crede di aver parlato con Diego! Questa e’ la forza del romanzo di Maradona.

Il fallimento e la sconfitta

Un bel capitolo del libro è dedicato al valore della sconfitta. Non riuscire nel pallone non deve significare una sconfitta, anzi occorre allenarsi a perdere per crescere e verificare come sai reagire alle difficoltà. Un profondo messaggio che tento di trasmettere anche io durante i miei corsi di formazione agli imprenditori che vivono il dramma e la frustrazione (se non peggio del fallimento). Molta responsabilità è dovuta al fatto che l’Italia è un paese cattolico e la morale cattolica ha indirettamente influenzato anche il diritto al punto tale che nel nostro paese l’imprenditore fallito, fino a pochi anni fa, per i 5 anni successivi al fallimento non poteva esercitare alcuna attività e perdeva addirittura il diritto al voto!

Un appestato, un lebbroso che doveva scontare l’inferno semplicemente perché la sua attività era, per incapacità e/o per crisi economica, andata male. Mentre la morale protestante che ha invece condizionato il diritto dei paesi anglosassoni prevede, da sempre, che l’imprenditore fallito è semplicemente uno che deve immediatamente ricominciare per pagare i debiti pregressi.  Spesso tento di fare educazione in tal senso raccontando i nostri fallimenti: ci racconti un tuo fallimento?

Cazzo ma che bella intervista stai facendo! (questa me la conservo per tutta la vita, ndr). Si è vero, verissimo, ma più che nella professione, io ho fallito in qualcosa di piu grande. Alla fine io ho realizzato il sogno di quando ero bambino; quando in terza elementare il maestro ci chiese “Cosa volete fare da grandi?”, c’era chi diceva gli astronauti , chi il calciatore, chi i medici, chi gli operai (perché a Torino c’era anche il mito della fabbrica) e io dissi giornalista sportivo! Ci sono stati nella mia carriera momenti di luce, momenti difficili ma non ho mai inteso le difficoltà come un fallimento, ma come un momento difficile sì, come anche nella vita privata, ma da cui possano derivare poi delle opportunità di crescita

Io quando parlo di fallimento parlo del fallimento della mia generazione. Questo si lo racconto, abbiamo fallito, perché avevamo dei sogni, degli ideali, volevamo cambiare il mondo e non ce l’abbiamo fatta. Non abbiamo raggiunto l’obiettivo. Quello è stato il mio grande fallimento!

Il calcio di oggi

Il messaggio è chiaro: il calcio della legge del marketing ha preso il sopravvento sulla poetica, quello del denaro ha sotterrato l’epica. Io però, leggendo il tuo libro, ho una sensazione: che tu il messaggio hai voluto darlo non solo al giovane calciatore ma forse anche a tutti “quei romantici da figurine” come me che dovrebbero tornare nei campetti di periferia, negli oratori dove il calcio è vissuto come festa. Un messaggio per chi, come noi che forse possiamo, a fianco all’abbonamento alla pay per view debba impegnarsi a ricreare negli oratori (che vivono una profonda crisi economica e di vocazioni), le condizioni per poter di nuovo avvicinare i giovani (e i genitori) al calcio come palestra di vita e non come potenziale vincita al Superenalotto.

Ricordiamo che solo un bambino ogni 5000 delle scuole calcio arriva in Serie A. I tanti genitori di ragazzini promettenti dovrebbero leggere e rileggere questo passaggio del tuo libro per consentire a questo sport di arrivare, nel processo educativo dei figli, laddove loro sono falliti.

Hai interpretato benissimo; è chiaro che non bisogna demonizzare il calcio moderno perché offre una serie di opportunità che noi non avevamo.Penso al “mio” calcio da ragazzo (oggi ho 62 anni): era il calcio dell’immaginazione, della radio di Tutto il calcio minuto per minuto, ero tifoso della Juve ed avevo la fortuna di abitare a Torino e quindi di poter andare allo stadio, di poter andare a vedere i giocatori anche quando uscivano dal campo di allenamento. Se penso invece a mio figlio che tifa per il Cagliari, la televisione gli da la possibilità di seguire il Cagliari molto piu da vicino forse. Quando sono arrivato dal Brasile in Italia, io potevo seguire il Palmeiras soltanto leggendo il risultato della partita su un quotidiano sportivo qualche giorno dopo! Oggi lo posso vedere anche in diretta.

Però questa moltiplicazione del calcio alla fine (perché tutti i giorni c’è una partita, tutti i giorni c’è un evento), ha finito per uccidere quello che è la fantasia, quello che è il mito delracconto. Se tu guardi oggi la tv e i media in generale il calcio , tranne rari casi, si racconta poco. Dappertutto si parla solo di mercato e di formazioni. Non hai la possibilità di leggere belle interviste se non ogni tanto quando gli uffici stampa permettono al giornalista di poter avere una conversazione esclusiva. Altrimenti sono interviste standardizzate, senza emozioni, tutti a dire la stessa frase fatta.

I campi di periferia

Mentre prima per noi cronisti era facile avere l‘esclusiva, perché andavi al campo di allenamento prima, i giocatori arrivavano, scendevano dall’auto, dicevi: “ci prendiamo un caffè insieme?” e li intervistavi: Leo Junior, Platini, Zaccarelli, Tardelli, Paolo Rossi, campioni che non avevano il filtro dell’ufficio stampa. L’errore che è stato commesso, come hai interpretato bene tu, è stato proprio quello: 1) che noi ad un certo punto ci siamo abituati al Maracanà e dovevamo pensare di più ai campi di periferia, dove è lì che nasce (e rinasce la magia) e c’è il fenomeno e l’epifania.

In tutti i campi di periferia e di provincia ci sono delle storie che sono state belle da raccontare, storie che aprono, spalancano le finestre su una realtà del calcio che non è quella delle pay tv, che non è quella appunto dei grandi stadi, ma sono storie belle da raccontare. Perché quello che secondo me oggi manca soprattutto è il racconto, la capacità di immaginare il calcio che vorremmo attraverso la storia degli altri, anche se battono i terreni polverosi degli oratori.

Il Napoli di oggi

Nel libro tu dici che ci sono allenatori che preferiscono avere a che fare con undici artigiani e talvolta , ma solo talvolta, riescono persino a ottenere successi importanti! Ma la squadra ideale deve possedere almeno un matto incapace di stare alle regole! Sarri, maestro di calcio, appartiene per cultura, formazione, convinzioni ideologiche alla prima categoria : pensi che quel “talvolta” si possa realizzare a breve per il Napoli?

Il Napoli intanto ha giocato un calcio divertente, un calcio allegro e io sull’allegria del calcio non sto a discutere e quando tanti teorici importanti dicono per carità, che lo 0-0 è il risultato perfetto, a me vengono i brividi. Forse perché la squadra ideale per me dovrebbe giocare con il 4-2-4. Il Napoli quest’anno in molti momenti ha offerto un calcio festoso, il calcio del divertimento, ho visto fare delle giocate che erano ubriacanti.

Poi per carità la Juventus è una macchina da guerra e ha un giocatore che, secondo me, potenzialmente potrebbe diventare uno dei più forti in assoluto al mondo (Dybala), però questi allenatori come Sarri che vanno in campo in tuta, con la barba da fare, che sono come si dice ruvidi, mi riportano agli allenatori di un tempo e mi affascinano.

Heriberto Herrera

E soprattutto all’allenatore che mi ha fatto vincere, nel 1967, il mio primo scudetto da juventino (io sono arrivato in Italia nel 61): il paraguaiano Heriberto Herrera che fu quello che caccio’ da Torino l’idolo Omar Sivori, fu quello che vinse con la cosiddetta squadra operaia che non aveva i grandi campioni; sì c’era Del Sol per carità, c’era Cinesinho, però per il resto applicò un gioco , il cosiddetto “movimiento”, che anticipò l’Olanda, il calcio totale, in cui tutti dovevano mettersi a disposizione della squadra, non c’era più l’idolo. Nel calcio c’è una estetica che deve essere rispettata perché è un momento di allegra, di follia collettiva; quando c’è la fantasia, quando appunto ci sono i goal, c’è anche l’allegria.

Io sono un grande estimatore di Insigne, secondo me Insigne non è un lavoratore del calcio, è un artista, ha dei colpi che sono strepitosi, per me è un giocatore fantastico. Quindi credo che il Napoli possa essere vicino a quel “talvolta”; tra l’altro se facciamo il triplete (ride e tocca ferro) possiamo anche prenderci qualche periodo di vacanza e vi facciamo vincere il campionato! Sarei felicissimo

Funzioni e responsabilità del cronista sportivo

Nella disamina dei ricordi legati ai campionati del mondo da te vissuti rimuovi completamente il mondiale argentino del 78, quasi come se non fosse esistito né dal punto di vista sportivo per la manipolazione del risultato della semifinale tra Argentina e Peru’, ma soprattutto dal punto di vista del rispetto dei diritti civili calpestati dalla dittatura dei Generali. Quasi, ma forse mi sbaglio, volendo accusare anche chi certe cose le aveva viste e non le aveva denunciate. Quali ricordi ti hanno tramandato i cronisti nostrani che seguirono l’avventura argentina? Avevano capito? Perché non lo denunciarono (se non in pochi)? Che funzione può e deve avere il nostro lavoro in queste circostanze? Gli interessi della casta influenzano il racconto della verità?

Non ti sbagli, lo avevano capito. TuttoSport ad esempio scrisse delle cose contro quella dittatura, ma quello che io ho trovato vergognoso è come il calcio spesso e volentieri veniva e viene strumentalizzato da chi ha il potere. Quel mondiale fu una vergogna perché in uno stadio si giocava e in un altro si torturavano i dissidenti. E poi fu un mondiale anche truccato, perché quella vittoria dell’Argentina sul Perù fu una cosa scandalosa. Si è vero, leggendo e ascoltando le testimonianze di chi in quel periodo non aveva voce, non ti viene voglia di parlare di calcio e di quel mondiale, anche se ad esempio l’Italia disputò un mondiale strepitoso, cioè arrivò quarta e il gioco di quella squadra anticipò il successo del’82.

Schiena dritta e capo chino

Di cronisti sportivi ne ho conosciuti tanti con la schiena dritta, che hanno denunciato, raccontato e continuano a farlo ed è chiaro che in tutti gli ambienti ci sono quelli che hanno la schiena piegata, il capo chino invece che la schiena dritta. Il cronista sportivo, come quello politico o quello che si occupa di finanza (come hai fatto tu ) ha il dovere di raccontare la verità, quando lui viene a conoscenza dei fatti li deve raccontare e denunciare. Ma come succede spesso, e non soltanto per gli avvenimenti sportivi, le cose sono state raccontate e ci sembrano una cosa e poi invece viene fuori che era un’altra. Cioè secondo me tante volte non ti fanno vedere la realtà perché la nascondono dietro ai balconi con i fiori, facendoti fare determinati itinerari etc.

L’importante però è poi alla fine raccontare quello che è successo perché poi la storia non perdona, alla fine la verità viene sempre fuori (e il tuo caso lo ha dimostrato). Poi è chiaro che ci sono ancora oggi i negazionisti, quelli che dicono che non sono esistiti i campi di sterminio. Poi su tante storie del nostro paese ancora oggi tutta la verità non è stata ancora detta, siamo ancora qui a chiederci che cosa è successo. Quindi il problema non è solo del cronista sportivo, il problema è della coscienza di un popolo.

Pietro Anastasi

Mentre ci salutiamo, ricordo che Darwin, in un passaggio dell’intervista, mi racconta che qualche anno fa era a Noto (in Sicilia) insieme al suo idolo di infanzia, poi diventato amico di famiglia, Pietro Anastasi (ricordate? Quello del tema “chi è stato il piu grande personaggio del ‘900?”) e mentre passeggiavano gli disse “Pietro se mi avessero detto a 13-14 anni … un giorno passeggerai con Anastasi, non ci avrei mai creduto!”

Anche io non ci avrei mai creduto di poter, un giorno, conoscere e intervistare Darwin Pastorin. La vita è un bellissimo cerchio. Nel cerchio siamo tutti uguali, nessuno è davanti a noi, nessuno è dietro, nessuno è sopra, nessuno è sotto, siamo tutti sulla stessa linea, nel perfetto equilibrio. Il cerchio è unità, il cerchio è democratico. Il cerchio dà coraggio. Grazie Darwin.

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