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La finale ci ha detto quanto l’Italia sia lontana dal Real, ovvero dai top club

Il terzo gol di Ronaldo definisce la distanza tra il Real Madrid e la Juventus, il top club di un calcio con valori ancora troppo differenti.

Istantanea

Parliamo di Juventus-Real Madrid, ma ne facciamo un discorso generale. Anche perché, giusto tre mesi e mezzo fa, è toccato a noi. Ed è andata più o meno come ai bianconeri ieri sera, qualcuno dice anche meglio. In realtà non stiamo qui a sindacare chi, tra Juventus e Napoli, abbia rotto di più le scatole al Madrid. Non vogliamo farlo, non avrebbe senso, erano altre partite, altre situazioni, altri contesti. Però ieri sera c’è stato un momento in cui abbiamo capito, noi, dove e quanto fossimo distanti dal Real Madrid. Per qualità, per mentalità, per organizzazione. Da qui può partire un discorso sul nostro calcio.

Modric, che di mestiere fa il regista illuminato a tutto campo, pressa da dietro l’uomo servito dalla difesa della Juve in costruzione bassa; Carvajal, che di mestiere fa il terzino, è già accanto a lui, ben oltre il centrocampo, va a giocare il pallone. Modric, poi, chiama il pallone nel corridoio che si origina dal suo inserimento. Il pallone arriva, poi c’è il cross, poi c’è Ronaldo.

Ma è il recupero palla che deve fare riflettere. In una finale di Champions League, con il risultato ancora in bilico (1-2), il regista illuminato del Real Madrid alza il pressing per bloccare la ripartenza degli avversari. Il terzino destro lo accompagna, gioca a due con lui, apre uno spazio. Mentalità, costruzione del gioco in chiave propositiva, proattiva. Una lezione su come vincere.

Juventus

Non è un attacco alla Juventus, a un gioco che (nella ripresa) si è fatto speculativo. È l’esaltazione del Real Madrid, che ha le risorse (eocnomiche e tecniche) per impersonare la squadra perfetta del nostro tempo. Il Real, da Mourinho in poi, ha costruito il suo organico secondo un principio di razionalità: di quello che serve, il meglio. Niente figurine, qualche esagerazione (James Rodriguez era in tribuna, ieri sera) che però rientra in un criterio di funzionalità. E poi, la preparazione della partita. L’idea di inscatolare il talento in un sistema organico, che esalta e insieme definisce le qualità immense dei calciatori. Più del Barcellona di Guardiola, che ai limiti di fisicità sopperiva con un gioco che cercava di evitare contrasti.

Il Real, invece, non ha limiti. Perché ha i soldi per costruire l’undici perfetto, senza contare la panchina. E per affidarlo a un tecnico sagace, intelligente, che interpreta al meglio la filosofia della vittoria piegandola però alle necessità dell’era contemporanea. Difficile vincere senza proporre il proprio gioco.

Ripetiamo: chi legge in queste righe un attacco “tattico” alla Juventus non ha inteso bene quello di cui parliamo. Vi spieghiamo perché.

Scelte

Se la Juventus, ieri sera, ha giocato in un certo modo, è perché non poteva fare altrimenti. Un primo tempo di gran carriera è stato subordinato a un dispendio fisico e mentale impressionante. E ha portato “solo” all’uno a uno, al pareggio all’intervallo. Dopo, quando il Real ha voluto/potuto alzare i ritmi, quando ha deciso di farlo, non c’era più benzina bianconera. Ricordiamo cosa successe al Napoli, al Bernabeu soprattutto. Ecco: la legge del più forte. Che impone alla Juve una certa partita.

Poteva fare di più, la Juventus di ieri, con un altro atteggiamento tattico? Non possiamo rispondere, non avremmo la controprova. La sensazione di impotenza percepita nella ripresa, però, è figlia del Real: della sua forza, singola e individuale. Molto spesso, anzi quasi sempre, si perde innanzitutto per i meriti degli avversari.

Il discorso sull’Italia e sul Napoli

L’atteggiamento che sgorga, letteralmente, da quella gif, non lascia molte speranze al calcio italiano. Non per essere disfattisti, ma è un dato di fatto. Il Real Madrid, nelle ultime tre stagioni, ha giocato al gatto con il topo con le tre migliori espressioni calcistiche del nostro paese. La Roma agli ottavi dello scorso anno, il Napoli e la Juve quest’anno. I bianconeri, di gran lunga superiori alle rivali interne, pagano un dazio altissimo nei confronti delle Merengues. Non avranno giocato la loro miglior partita, ma – lo ripetiamo – resta difficile pensare che un cambio di atteggiamento sul gioco, impostato sulla finale, avrebbe bilanciato i valori in campo. Anche perché la Juve è quella di ieri sera, nel bene e nel male. Sono gli avversari ad essere stati più forti.

La distanza

La riflessione dei tifosi del Napoli deve essere semplice. Non deve partire dal concetto banale e semplicistico “noi li abbiamo fatti soffrire”. Può anche essere vero, ma il gap c’è ed è netto. Il Napoli ha provato a colmarlo con un’organizzazione di gioco precisa, propositiva, diciamo europea. Che ha funzionato fino a che non si sono attivati i campioni di Zidane, tra l’altro magistralmente orchestrati proprio da Zidane.

La Juventus, superiore al Napoli per qualità dei singoli, ha messo in campo il suo. È bastato contro il Barcellona, non contro il Real. È la fotografia di una distanza, che ognuno prova a colmare in qualche modo. Nel suo modo. Criticare e auspicare un cambiamento ha poco senso. Il punto non è qui. Il punto è nella forza degli avversari. Si deve lavorare perché la nostra forza, quella dei più piccoli (Napoli –> Juventus –> Real Madrid) possa crescere e avvicinarsi a quella dei più grandi. Ognuno a modo proprio, e con le proprie possibilità.

La scelta su quale siano le migliori dipende dai risultati, oppure dal giudizio soggettivo di ognuno di noi.

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