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Dossier Napolista – Dopo l’asta per i diritti tv si riparla di criteri di distribuzione

La Serie A ha una competitività bassissima, quindi non produce qualità televisiva: anche per questo l’asta per i diritti tv di ieri è andata quasi deserta.

Dossier Napolista – Dopo l’asta per i diritti tv si riparla di criteri di distribuzione

Attesa

Abbiamo aspettato l’evolversi degli eventi. Parlare di diritti televisivi e di criteri di ripartizione con un bando d’asta in corso non era molto saggio. Alla fine, abbiamo avuto ragione noi. Oggi l’asta è di nuovo in corso, si aspetta un nuovo bando, ma i criteri di ripartizione dei tv rights hanno fatto di nuovo capolino nella narrazione del nostro calcio. Come se ci si fosse accorti solo ora di come un campionato che ha incassato 1,2 miliardi nell’ultimo triennio non riesca ad essere appetibile sui mercati dei media. O non sia riuscito a dotarsi di una struttura che faccia presa sui broadcaster.

La nostra attesa, dopo i primi due pezzi-prologo, ha in qualche modo pagato. Proprio questa mattina, in un’intervista a La Stampa, Luigi De Siervo ha spiegato che la Lega «si sta battendo per dividere i proventi al 50 e 50 come avviene in Inghilterra». E, aggiungiamo noi, come avviene in un sistema equilibrato. Che sceglie di costruire un campionato equilibrato. In base a dati tranquillamente reperibili su internet, solo l’Italia ha una proporzione così sbilanciata nella distribuzione dei proventi televisivi. Oltretutto, andare oltre il 40% da dividere in parti uguali vuol dire scoperchiare un calderone di dati che finisce per favorire un numero ristretto di squadre.

L’influenza sulla competitività

Ovviamente, questi pezzi non sono “contro la Juventus” o “contro il Milan” o “contro l’Inter”. La quinta squadra nella classifica degli introiti da diritti tv è il Napoli, quindi il club di De Laurentiis ci rimetterebbe in caso di modifica del sistema. Questi articoli mettono in evidenza come un’organizzazione non bilanciata di ridistribuzione delle risorse interne finisce fatalmente per costruire un campionato non equilibrato.

Andiamo al di là dei numeri della Juventus (il Bayern Monaco, il Real Madrid, il Monaco e il Chelsea hanno una media punti più alta rispetto a quella dei bianconeri): la Serie A è il campionato con il gap più alto tra terza e quarta classificata (14 punti). Ed è l’unico torneo in cui le tre squadre di testa hanno superato gli 80 punti. Un altro caso simile è quello della Bundesliga, ma in Germania il torneo è diviso in due tronconi: l’Hoffenheim quarto è sopra il Colonia di 13 punti. Dal quinto posta del Colonia al 16esimo del Wolfsburg, ci sono 12 punti. In Italia questa cifra arriva a 34.

La tendenza del calcio moderno è quella di portare sempre più soldi alle squadre più ricche. Ma questo avviene già tramite la qualificazione alle coppe europee. Aumentare il gap nazionale attraverso un sistema di distribuzione squilibrato – quando i regolamenti sono interni e potrebbero portare a una proporzione più equa -, vuol dire fare una scelta deliberata: al di là degli exploit isolati (Atalanta docet), le squadre che hanno maggiore possibilità di investimento sono quelle che ricevono di più. E dunque potranno investire sempre di più, a discapito delle concorrenti.

L’esempio degli altri paesi

L’Italia vive in assoluta controtendenza rispetto agli altri paesi. Al di là dei criteri di ridistribuzione in vigore, si tratta di una considerazione temporale. Le ultime riforme, in Francia e Spagna, hanno abbracciato parametri più equilibrati. L’Inghilterra garantisce una proporzione che permetterà al Sunderland ultimo in classifica di guadagnare il 66% della cifra incassata dal Chelsea campione d’Inghilterra. Con la ripartizione all’italiana, il Verona ultimo in classifica nell’ultimo campionato ha incassato il 26% della cifra messa a bilancio dalla Juventus. E parliamo di Verona, una piazza importante del calcio italiano (anche secondo i criteri “territoriali”, di “risultati storici” e di “bacino d’utenza” contemplati nel nostro sistema).

Conclusioni

Se questo andazzo avesse portato a risultati positivi nell’ultima asta, dal mero e freddo punto di vista commerciale, la Lega avrebbe avuto ragione. Nel senso: al di là del fatto che vincano sempre i più forti o i più ricchi – cosa che avviene dappertutto, del resto -, un prodotto venduto a prezzi alti è un prodotto di qualità. Non è andata così. Per essere di qualità, un prodotto sportivo deve garantire incertezza e competitività.

La Serie A, lo dicono i numeri, non è più un campionato realmente incerto nei risultati intermedi. Non è più appetibile, dunque. L’albo d’oro è solo una parte di questa definizione. Ora lo dice anche il mercato. La nostra riflessione si basa su dati reali: l’asta di ieri è andata quasi deserta per una divisione poco intelligente dei pacchetti (parleremo anche di questo). Ma anche perché il prodotto messo sul bancone di vendita non ha caratteristiche spettacolari realmente interessanti.

Il numero dei gol in crescita vertiginosa (1123, record di sempre) può essere salutato con applausi e osanna alla nuova mentalità offensiva. Ma è anche figlio di un equilibrio competitivo sempre più fragile. Se non inesistente. Soprattutto quando la nostra Serie A ha sempre rappresentato, a differenza degli altri campionati, un’oasi di partite sempre complicate e difficili da giocare. E da vincere. Ecco, ridistribuire le risorse in maniera più equa servirebbe soprattutto a recuperare questo primato.

3. CONTINUA
1. La distribuzione dei diritti tv in Premier League e in Serie A
2. I criteri di ripartizione dei diritti televisivi in Europa
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