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Tocchiamola questa dieci, ascoltiamo Sarri e Spalletti

Il ritiro dei numeri di maglia è un dibattito generazionale. Sarri e Spalletti lo hanno riaperto, noi proponiamo l’idea del compromesso di significati.

Tocchiamola questa dieci, ascoltiamo Sarri e Spalletti

Nostalgia e antinostalgia

Uno dei dibattiti più ferventi del momento, sui social, è quello tra nostalgia e antinostalgia calcistica. O meglio: tra chi esaspera la prima (della serie “machenesanno i fan di Dybala, di Dario Hubner?”, che ovviamente è una boiata) e chi, di converso, utilizza la seconda per smitizzare il passato. In questa conflittualità, io mi schiero decisamente con gli antinostalgici. Rimpiangere il passato, nel calcio come nella vita, vuol dire non riuscire a calarsi nel presente. È una questione di adattamento, quindi di sopravvivenza: le dinamiche del passato (non tutte, e questo è un altro punto) potevano essere anche migliori, ma ormai non sono più riproducibili. Quindi, capire e accettare (non per forza condividere) il tempo moderno è un dovere, specie per chi fa e quindi genera opinione.

Vi chiederete perché vi ho annoiato con questa premessa. Semplice: la maglia numero dieci, il discorso sul suo ritiro – sul ritiro dei numeri di maglia in generale, ovviamente. È una cosa che sta perfettamente in mezzo a questa guerra di posizione.

Sì, perché da una parte c’è la forte configurazione identitaria e tecnica della figura del “dieci”, da scriversi e pronunciare anche senza numero. Una cosa profondamente nostalgica, se ci pensi. Legata al calcio di una volta. Dall’altra ci sono questioni di maketing che nascono con lo sport-spettacolo degli Usa (il ritiro delle maglie nasce in Nba), ma che però sono prive di quelle definizioni storico-culturali caratterizzanti del nostro sistema sportivo. Insomma, c’è un mondo diviso. Da un po’. Se ne è tornato a parlare con Totti, in questi giorni. E Sarri e Spalletti, sorpresa, si sono rivelati sorprendentemente antinos. La frase che hanno utilizzato entrambi è abbastanza retorica («Il sogno di un bambino»), ma il senso del loro ragionamento è molto più articolato di un principio di contrapposizione.

Sarri e Spalletti

Sarri e Spalletti sono stati d’accordo, anche se vivono in due contesti molto particolari. Napoli-Maradona e Roma-Totti sono rapporti molto diversi tra loro, e diversi pure rispetto a Milan-Maldini o Juventus-Del Piero. Se la storia di Maradona coincide con una sorta di “rivalsa socio-economica” veicolata allo sport, quella di Totti è una questione di appartenenza e crescita. Maldini racconta una storia di famiglie e fedeltà, Del Piero è la costruzione e l’affermazione di un talento.

L’approccio non può mai essere unico, o quantomeno condiviso. Sarri e Spalletti si sono rivelati anti-nostalgici proprio perché hanno depotenziato questa serie di significati per sceglierne degli altri. Anche questi classici e perciò nobili nell’immaginario collettivo, ma anche pienamente calati nel nostro tempo, anche se non sembra. L’idea che un bambino possa sognare di indossare la numero dieci, per esempio: può essere considerata una strategia di marketing? O almeno un tentativo di stuzzicare la fantasia intorno a un desiderio, ovvero il concetto più semplice dell’advertising?

Un altro discorso potrebbe essere quello riguardante la discussione intorno all’argomento. L’idea di pubblicità non esclude il dibattito intorno a una scelta controversa. Anzi, lo approva. Pensiamoci un attimo: cosa succederebbe se il Napoli desse la dieci a Insigne nella prossima stagione? O se la Roma affidasse la sua dieci a Perotti? Il mondo di informazioni che ruota intorno al calcio si alimenterebbe per giorni di questa storia. Critiche, accuse, approvazioni, tentativi di destabilizzazione. Se ne parla. Allora funziona.

Compromesso

Secondo chi scrive, l’idea migliore sarebbe quella del compromesso. Dell’analisi del significato. È un concetto che si esprime perfettamente con l’idea della dieci, ma che può essere traslato anche alla 3 o alla 6 del Milan, e così via. Il compromesso, in questo caso, potrebbe essere uno stop temporaneo. Ovvero, prendiamo il caso della Roma. Totti si ritirerà tra pochi mesi, per il primo anno fermiamo la dieci. Anzi, a tempo indeterminato. Poi, se scopriamo che c’è un calciatore che potrebbe raccogliere (o provare a raccogliere) l’eredità sportiva e narrativa che quella maglia comporta, allora la reintroduciamo.

Un po’ il dibattito che si fa a Napoli, in questi giorni, con Insigne. Cinque stagioni già archiviate con l’azzurro addosso, un rinnovo di contratto che equivale a una blindatura e uno status di simbolo riconosciuto, anche nell’appartenenza territoriale. Ecco, Insigne potrebbe essere l’occasione per rispolverare il dieci nel Napoli. Non che debba essere per forza sì. Ma c’è un dibattito, c’è una possibilità, c’è un background su cui costruire un’opinione.

Un po’ come la Juventus ha fatto col dieci, inizialmente a nessuno, poi a Tevez e Pogba e ora di nuovo senza padrone. Scommettiamo che la prenderà Dybala fresco di rinnovo? Oppure come fatto dal Milan, anche se qui la tradizione familiare è preponderante (il discorso di cui sopra): solo un erede della dinastia Maldini potrà indossarla. Ecco, una soluzione di questo genere potrebbe mettere d’accordo tutti. Rispetterebbe il passato senza castrare il futuro. E senza precludersi la possibilità di fare marketing, in tutti i sensi. Con le maglie, con le parole di chi commenta. L’importante è che se ne parli, se proprio non si riesce a vendere.

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