ilNapolista

Terra dei fuochi, sotto il processo mediatico c’è ben poco

Confermata la condanna ai fratelli Pellini. Ma per la Procura è stata una batosta, scrive di disastro ambientale anche se nessun dato scientifico lo attesta

Terra dei fuochi, sotto il processo mediatico c’è ben poco
Campania felix

Le condanne ai fratelli Pellini

Il 18 maggio la Suprema Corte ha rigettato il ricorso in Cassazione avverso la condanna a sette anni per “disastro ambientale colposo” presentato dai difensori dei tre fratelli Pellini, ultimi imputati rimasti “in gara” dopo “l’eliminazione” degli altri 25 originariamente coinvolti dal pubblico ministero Maria Cristina Ribera, della procura di Napoli, nel processo noto come “ultimo atto Carosello”.

La condanna è stata considerata una “sentenza storica”, una “vittoria per le mamme che non hanno potuto godere la crescita e la gioia dei propri figli” dai comitati degli ambientalisti.

In realtà, si tratta di una storica “batosta” per l’ennesimo teorema accusatorio della Procura di Napoli legato alla questione terra dei fuochi. Come non definire tale un procedimento partito nel lontano 2006, dopo tre anni di indagini, con la richiesta di 231 anni di carcere complessivi per 28 imputati conclusosi, dopo 11 anni ed oltre 100 udienze dibattimentali, con l’irrogazione di una pena complessiva di 21 anni per 3 soli imputati e la caduta dell’aggravante del “metodo mafioso con l’associazione camorristica”?

Resta il fatto che gli unici tre condannati sono proprio i tre personaggi mediaticamente più famosi: i tre fratelli Pellini, imprenditori del settore trattamento rifiuti che, a quanto pare, da soli, avrebbero causato un “disastro ambientale”, sia pur “colposo”, ad Acerra.

Il territorio di Acerra è il più analizzato del globo

E qui viene la curiosità di capire su quali dati i giudici abbiano emesso tale giudizio, atteso che il territorio di Acerra è, probabilmente, il territorio più analizzato del globo e che da tutte le analisi effettuate non è mai risultata né una particolare contaminazione (vedi, in particolare pag. 417 e segg. del documento scaricabile al link http://regione.campania.it/assets/documents/diossine-furani-e-policlorobifenili-indagine-ambientale-nella-regione-campania-ispra.pdf , od anche la mappa interattiva ARPAC al link https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=1dm-JkzkYjYpF5QQI5bD8aL-b6GU&ll=40.99935053790553%2C14.387295584327603&z=14 dalla quale si evince che l’unico appezzamento di terreno agricolo, degno di nota, interdetto alla coltivazione, è quello di cui si parla in questo articolo uscito sul Foglio tempo fa http://www.ilfoglio.it/economia/2015/03/13/news/perche-spariamo-sulla-terra-dei-fuochi-fatui-81836/).

Né una qualsivoglia esigenza di “bonifica” (ricordiamo, per inciso, che l’esigenza di bonifica si realizza solo in presenza di superamento delle Concentrazioni Soglia di Rischio, come abbiamo più volte ribadito in diversi articoli pubblicati sul Napolista, vedi ad es. https://www.ilnapolista.it/2016/06/terra-dei-fuochi-cavolfiori-foglie-gialle-2/ , https://www.ilnapolista.it/2017/04/vanadio-caivano-terra-dei-fuochi/ , https://www.ilnapolista.it/2017/03/la-bonifica-di-bagnoli/ ).

L’ennesimo processo mediatico

L’impressione, è che ci troviamo di fronte all’ennesimo processo mediatico legato alla vicenda della cosiddetta terra dei fuochi in cui i giudici si mostrano influenzati da pregiudizi (o post-verità, per utilizzare un termine in voga), il loro giudizio traviato da innumerevoli condizionamenti (non ultimi la costante presenza di attivisti forcaioli e, pare, in questo caso, la quantomeno inopportuna “visita” del massimo referente dell’antimafia nazionale) in cui, per dirla con le parole del criminologo Giuseppe Guarcini, “la verità processuale sembra essere totalmente disgiunta dalla verità storica” e si è tentato di adattare una verità al processo, piuttosto che ricostruire la verità storica. Un copione già visto nelle vicende Resit e pozzi di Caivano.

ilnapolista © riproduzione riservata