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Striscioni juventini su Superga, Agnelli: «L’ho saputo dopo». Per la Procura fu complice degli ultrà

La difesa di Andrea Agnelli è molto distante dalla versione della Procura Figc secondo cui la società aiutò materialmente gli autori (c’erano le telecamere). Coinvolto Bucci l’ultrà suicida

Striscioni juventini su Superga, Agnelli: «L’ho saputo dopo». Per la Procura fu complice degli ultrà
Uno dei due striscioni esposti dagli juventini nel derby del 23 febbraio 2014. Per la Procura Figc, la Juve autorizzò gli striscioni

La tragedia del 4 maggio 1949

Il Napoli oggi gioca in casa del Torino. E, dopo la visita di ieri di Maurizio Sarri, anche il Napoli club Bologna sarà a Superga per omaggiare la grande squadra che morì in un incidente aereo il 4 maggio 1949. «Vogliamo ricordare – dice il suo presidente, Maurizio Criscitelli – una grande squadra. Che sia di esempio a tutte le nuove generazioni».

Non tutti ricordano così quella squadra. Alcune scritte, da parte di tifosi juventini, sono comparse anche quest’anno in occasione della ricorrenza. Buffon ne ha preso platealmente le distanze: «Onore a voi Campioni del grande Torino, in eterno, e siano perdonati coloro che si macchiamo di atti inqualificabili, come deridervi e mancarvi di rispetto», ha scritto.

Gli ignobili striscioni allo Juventus Stadium

Eppure di Superga si parla anche nell’inchiesta della Procura della Federcalcio a proposito del derby del 23 febbraio del 2014, per l’accusa furono i dirigenti della Juventus ad aiutare gli ultras a introdurre allo Stadium gli ignobili striscioni offensivi contro il Torino. Per la Procura della Figc, Andrea Agnelli era al corrente di tutto, sapeva della collaborazione tra società e ultras al fine di esporre quegli striscioni: “Quando volo penso al Toro” e “Solo uno schianto”».

Giuseppe Pecoraro, il procuratore federale sportivo, scrive così nell’atto d’accusa: «Bucci e D’Angelo introdussero gli striscioni nello stadio, furono beccati dalle telecamere di sorveglianza. Agnelli era tutt’altro che inalberato al telefono».

Agnelli scarica sul suo collaboratore

Perché Agnelli, nelle dichiarazioni rese a Pecoraro lo scorso 16 febbraio, ha dichiarato: «Sono riuscito a ricostruire l’episodio dello zaino (dentro il quale furono portati fuochi pirotecnici e gli striscioni incriminati nella curva, ndr) solo dopo averlo appreso a distanza di tempo attraverso la lettura degli atti. Venni a saperlo soltanto nel luglio del 2016, quando tutta la vicenda è finita sugli organi di stampa e un nostro collaboratore, Bucci, si è suicidato. Ricordo così che il giorno dopo tale episodio venne nel mio ufficio Gianello, il direttore dello stadio, per informarmi di quello che era successo. Venne anche D’Angelo, da me convocato, che ammise di essere stato lui e mi spiegò a quattr’occhi che cosa era realmente accaduto.

Mi inalberai molto e gli dissi che quel che era accaduto non avrebbe dovuto più verificarsi. Questa iniziativa, per quanto riferitami dal D’Angelo, venne presa da lui personalmente e in modo esclusivo. La giustificazione fu quella che tale comportamento venne da lui ritenuto in quel momento utile nell’ambito del complessivo dialogo con i rappresentanti della tifoseria. Per me l’aspetto più importante era legato al fatto che il D’Angelo avesse agito senza informare le Forze dell’ordine piuttosto che le motivazioni per le quali aveva compiuto quel gesto».

Per la Procura, invece, sapeva e c’era complicità

Una versione che è molto differente da quella della Procura che scrive invece: «Al di là del fatto che la riferita “arrabbiatura”  è smentita dal tenore delle telefonate intercettate, non v’è chi non veda come il semplice “inalberarsi” a fronte di tanto improvvida  quanto pericolosa e autolesionistica condotta, come già detto, non costituisce di certo condotta consona di colui che, in qualità di Presidente rappresenta la società e riveste una posizione di garanzia, che viene a sapere che un proprio dipendente ha commesso un fatto di tale gravità che avrebbe potuto certamente condurre a risvolti di natura penale e a conseguenze ben più gravi».

Tutto ripreso dalle telecamere di sorveglianza

Prosegue la Procura: «Alla vigilia di Juventus-Torino del 23 febbraio 2014, Alessandro D’Angelo (manager Security della Juve, ndr), con l’aiuto di Raffaello Bucci (l’ex ultrà dei Drughi assunto dalla Juve, suicidatosi, ndr), al fine di evitare lo sciopero del tifo ed eventuali ritorsioni nei confronti della propria Società di appartenenza, si prestò ad introdurre personalmente, all’interno dello stadio degli zaini contenenti striscioni e fumogeni, così eludendo la sorveglianza delle forze dell’ordine.

Tale condotta fu ripresa dalle telecamere di sorveglianza come dimostrato dalla conversazione del 25 febbraio del 2014 nella quale, per l’appunto, D’Angelo informa Bucci che è stato “beccato” e gli riferisce che il Presidente (Andrea Agnelli, ndr) l’aveva apostrofato con la frase “Ale sei un ciuccio, ti hanno beccato!”. Peraltro il Presidente Agnelli era perfettamente a conoscenza della introduzione di materiale vietato all’interno dello stadio perché di ciò informato dal D’Angelo con il quale risulta intrattenere un rapporto personale di amicizia oltre che rapporti di natura professionale».

Agnelli assecondò l’iniziativa

Per la Procura federale, Agnelli «assecondò» l’iniziativa «al fine di compiacere e acquisire la benevolenza dei tifosi ultras». Eppure gli ultras non rispettarono i patti, come si evince da una telefonata intercettata alla fine del derby. Telefonata tra D’Angelo e Agnelli: «Gli accordi erano diversi…io non mi esponevo come ho fatto (riferito agli zaini che ha portato dentro lo stadio, ndr) sto per fare una figura di merda che non avrei mai voluto fare…mi ha detto (Ciccio, Raffaele Bucci, ndr) “abbiamo provato a fare di tutto… sia io che… Rocco (Dominello, ndr) aveva deciso con quelli di Milano di intraprendere questa strada”… gli ho detto.. “sappiate che noi interpretiamo la nostra quindi digli pure di non contare il secondo tempo perché non mi interessa per niente”. Poi ho i messaggi scritti e se vuoi te li faccio leggere: solo insulti gli ho dato”».

«Il Presidente Agnelli, per nulla sorpreso dalla presunta confessione del proprio dipendente, si limitava a rispondere “ma no no sono dei coglioni”, senza altro commento, con ciò dimostrando di essere perfettamente al corrente dei rapporti fra i propri collaboratori ed esponenti del tifo organizzato e della malavita, gestiti al fine di assecondare i tifosi».

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