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Rampanti, da Torino a Napoli nell’era delle “ali sguscianti”

Una sola stagione a Napoli, quella di Vinicio subito dopo la Juve, dopo quattro anni al Torino: Rampanti, calciatore simile agli attuali attaccanti azzurri.

Rampanti, da Torino a Napoli nell’era delle “ali sguscianti”

I piccoletti

I prati verdi erano pieni di piccoletti, tecnici e meno tecnici, dotati e meno dotati, nazionali ed emergenti, forti nelle scorribande sulle fasce e meno a coprire nella fase difensiva, anche negli anni del calcio dall’altro mondo. La potremmo definire l’ “Era dell’ala sgusciante”, sì, i piccoletti di una volta venivano subito appellati così, era il primo termine che arrivava in mente al radiocronista o al giornalista di turno per indicare un giocatore che, col suo baricentro basso, riusciva a dribblare bene, a superare l’avversario, a ‘uscire o liberarsi dal guscio’ da dove l’avversario lo poteva imbottigliare e bloccare.

Il dizionario ci viene in aiuto in maniera più chiara che mai e alla voce “sgusciare” dice: “scivolare via dalla presa” e “fuggire abilmente”. Esempi del vocabolario calcistico napoletano: Mertens (lo scoiattolo) sgusciò rapido nella tana e Insigne (il pesce) gli sgusciò dalle mani, due metafore che danno più di un’idea.

L’ala, ieri e oggi (e il caso Napoli)

L’età dell’ala sgusciante ebbe il suo boom tra gli anni ’60 e i ’70 e non passava domenica che in tv o alla radio non si ascoltava un termine così. Ameri e Ciotti, Martellini e Pizzul, snocciolavano il rosario dell’ala sfuggente, di quello che era arrivato al fondo, dopo vari dribbling, ed aveva fatto il cross perfetto per il colpo di testa del centravanti. Di quello che aveva ‘ubriacato’ di finte il diretto avversario ed aveva lanciato a rete l’attaccante, di colui che, più veloce degli altri, scambiava la palla col più tecnico della squadra, il “dai e vai”, il triangolo stretto, l’affondo.

Caratteristiche che, con i dovuti paragoni vista la maggiore velocità con cui si gioca oggi rispetto ai ritmi più compassati del passato, possiamo ritrovare in quelli che chiamano “piccoletti”, “diavoletti”, “mini bomber” o “giocatori tascabili”. Insomma il nostro trio delle meraviglie, tutti giocatori che hanno iniziato a giocare sulla fascia e poi hanno modificato il loro modus operandi grazie alle intuizioni di Sarri (nel caso di Mertens), alla crescita tecnica d Insigne che lo porta spesso a concludere e ai sette polmoni di Callejon che cambiano il vecchio ruolo di “ala” che il calcio italiano ha sempre identificato con la scuola dei Causio e dei Bruno Conti.

Una sola stagione

Allora, c’è un belga alto 1,69, un italiano alto 1,63 ed uno spagnolo alto 1,77. E non è una barzelletta. Una volta c’era un italiano, un italiano ed un italiano ed anche al Napoli non mancavano ali piccole e ficcanti, “sguscianti”, tanto per tornare al tormentone di cui sopra. Uno dei più apprezzati e rimpianti dal pubblico napoletano fu Rosario Rampanti, giocatore piccolino, dal tocco fine, talentuoso e con indubbie qualità tecniche. Non un fulmine di guerra per velocità ma la fascia destra e il centrocampo erano sicuramente in buone mani, una sorta di Ciccio Romano ante litteram.

Classe 1949, sardo di Carbonia ma torinese di adozione visto che è cresciuto nelle giovanili del Toro e in Piemonte ha messo radici dopo aver smesso col calcio anche nella vita ‘sociale’. Ha, infatti, ricoperto incarichi politici come assessore allo sport del comune di Moncalieri ( TO ) quando era ancora allenatore della Primavera del Torino. Da calciatore, con la maglia granata, si disimpegnò fino al 1973-4 e legò il suo nome alla Coppa Italia vinta nel 1971. Rosario Rampanti arrivò al Napoli nella stagione 1974/75 con la formula del prestito a 25 milioni di lire (con diritto di riscatto a 200 milioni), chiesto espressamente da Vinicio. Qui si alternò con Massa nel ruolo di ala destra ma giocò anche col “10” quando l’allenatore brasiliano spostava Esposito in mediana e Orlandini a terzino sinistro per dare maggiore spinta offensiva alla squadra.

Un solo, intenso, anno con 23 presenze e due reti per il “Tamburino sardo”. Con l’affare Savoldi la svolta. Conti, il presidente del Bologna, fu rincorso per tutto l’albergo da Ferlaino e non si smosse dalle sue posizioni. “Vuoi Savoldi? in cambio mi devi dare Clerici, Rampanti e tanti soldi“.

Contropartita

L’affare da due miliardi di lire trovò, così, il suo finale quando l’ingegnere si convinse che la contropartita tecnica doveva essere quella chiesta dal presidente del Bologna. Dopo l’esperienza coi felsinei il giocatore sardo andò al Brescia, poi di nuovo al Bologna, un’esperienza in Australia a Sydney, un anno alla Spal ed infine alla Cerretese dove terminò la carriera nel 1984, a 35 anni. Ha giocato anche nella Nazionale B e nel 1999, da allenatore, è stato commissario tecnico della Nazionale Under 18 nei Campionati Europei di calcio dopo aver guidato per un breve periodo il Tortino nella stagione 1994/95.

Rampanti giocò contro il Napoli, da torinista, al vecchio Comunale, in tre occasioni, due pari ed una sconfitta per gli azzurri. Il 13 dicembre 1970 fu proprio lui che aprì le marcature facendo il secondo gol in serie A e fu il migliore in campo. E meno male che Juliano ci mise una pezza pareggiando a 10′ dal termine con un formidabile tiro da fuori area. Era il Toro di Castellini, Puja, Agroppi, Ferrini, Sala, Pulici e Bui che stava facendo crescere i giovani come Rampanti; mentre il Napoli, che quell’anno ebbe la migliore difesa del campionato con soli 19 reti incassate, aveva un attacco di tutto rispetto con Sormani, Altafini, Ghio ed Improta trequartista.

Verso lo scudetto (granata)

Nell’uno a zero del campionato successivo, dove gli uomini del Torino erano quasi gli stessi, Rampanti giocò quasi tutta la gara ma fu sostituito da Toschi, una punta, anch’egli bomber tascabile, che decise la gara firmando l’1 a 0 al ’90. Trevisan, sostituto di Zoff infortunato, bestemmiò in vicentino fino all’imbocco degli spogliatoi.

Nella terza occasione, il 2 gennaio del 1974, segnò Canè e un’autorete di Vavassori riportò il punteggio in parità ma il Torino aveva già cambiato faccia con lo svecchiamento dovuto all’innesto di Graziani, Mascetti, Lombardo e Zecchini. Si stava costruendo la squadra che piano piano avrebbe conquistato lo scudetto, quello che il vecchio cuore granata acciuffò due anni dopo. Il Napoli del tricolore sentiva già l’odore e l’avrebbe potuto conquistare l’anno prima del Torino di Radice. Sulla sua strada, invece, trovò Altafini e Carmignani che andò a caccia di farfalle.

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