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Monchi, il profilo di un ds: «Plusvalenze come un broker, scopre il talento prima degli altri»

Due pagine del Corriere dello Sport che raccontano il lavoro e l’etica di Monchi, un modello di diesse abbastanza lontano dal calcio italiano.

Monchi, il profilo di un ds: «Plusvalenze come un broker, scopre il talento prima degli altri»

Paginata del Corsport

Il mondo di Monchi. Sembra il titolo di un anime giapponese, in realtà è un luogo del calciomercato. Anzi, uno dei luoghi di calciomercato più interessanti d’Europa. Si crea e si stabilizza intorno alla figura del direttore sportvo ex Siviglia, oggi uomo mercato della Roma. Da raccontare per presentarlo, ma anche per far capire cosa devono aspettarsi i tifosi giallorossi da ora in poi. Un lavoro di ricerca e apprezzamento del talento, che vuol dire anche dover attendere un calciatore. Per anni, magari. Ma poi esplode. Quasi certamente, non sicuramente. Ma succede.

È andata più o meno così, sempre, a Monchi. Lo spiega una (bella) doppia pagina del Corriere dello Sport, che racconta metodologia di lavoro, successi e fallimenti dello spagnolo. Tutta roba interessante, anche la parte degli errori. Ovvero Marcelo, letteralmente rubato dal Real Madrid quando era «già sulle scalette dell’aereo per l’Andalusia». Oppure Gabi, capitano e uomo simbolo dell’Atlético Madrid scartato da Monchi in persona. «Il tempo ha dimostrato che con Gabi ho sbagliato, con tutto quello che ha vinto e l’importanza che ha avuto, forse è stato il mio errore più grande. Ebbi l’opportunità di portarlo a Siviglia, ma dopo lunghe riflessioni decisi che non faceva al caso nostro».

Il lavoro di Monchi

Il resto è un ovvio trionfo. Il palmarés, innanzitutto, con le cinque Europa League vinte in 18 anni di Siviglia. Ma anche i calciatori acquistati e rivenduti, in modo da rendere competitivo un club senza grandi risorse finanziarie. «Plusvalenze come se fosse un broker di Wall Street», scrive il Corsport. «L’unico modo per potenziare l’organico di club che non possono spendere troppo per i trasferimenti è arrivare a riconoscre il talento prima degli altri», la dovuta precisazione. Qualche nome di gente acquistata da Monchi e poi (super)venduta: da Dani Alves a Rakitic passando per Bacca, Keita, Kondogbia e Krychowiak.

La rete per scovare i calciatori viene raccontata per concetti e frasi chiave. Come ad esempio «l’uso della tecnologia, attraverso la piattaforma Wyscout, è fondamentale per Monchi. Vengono raccolti tutti i dati, si stilano top 11 mensili internazionali e poi si sceglie il profilo più giusto per cui avviare una trattativa. La prima lista è di circa 120 nomi». O ancora: «Selezioniamo 8-10 giocatori per ogni posizione e li cataloghiamo dalla A alla E. Quelli contrassegnati con la A sono da prendere immediatamente, e per fare questo tipo di valutazione teniamo conto anche dello stile di vita, della abitudini, del carattere».

Dipartimento risorse umane

Il lavoro di Monchi, come spiegato dai pezzi del Corsport, non si estingue alla firma. Prosegue con una cura maniacale di tutti i dettagli riferiti agli acquisti, anche quelli più strettamente personali. Se ne occupa il Dipartimento delle Risorse umane, una struttura di supporto che «prevede fin dall’arrivo la messa a disposizione di una specie di segretario personale che si occupa di sbrigare le pratiche più complesse e permette al giocatore di concentrarsi fin da subito solo nel calcio. Per prima cosa il giocatore viene accolto da una persona dello staff che parla la sua lingua che indaga su quali siano le sue necessità: dal tipo di casa, alla scuola per i figli fino agli interessi culturali della sua famiglia. Poi gli viene spiegata brevemente la storia del club e della città».

L’ultimo punto analizzato dal Corriere dello Sport è quello del rapporto con i tecnici. Emery è stato il suo feticcio, Marcelino è il rimpianto perché «non siamo riusciti a prendere i calciatori che gli servivano». Spieghiamola, però, questa frase che identifica una grande fetta del lavoro di Monchi: «Quando compri un giocatore è il tecnico che decide chi vuole, ma non mi riferisco al calciatore, al nome e cognome. Parlo del profilo». Sì, perché Monchi lavora in autonomia armonica con l’allenatore di turno. «La figura del direttore sportivo per Monchi è sì uno strumento al servizio dell’allenatore, ma l’autorità massima nella scelta dei nomi da trattare fa capo solo all’area sportiva». Siamo curiosi di vedere questo esperimento come funzionerà in Italia. A Roma. Dove tutto è più difficile.

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