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Marco Giampaolo, il gioco offensivo di un anticonformista

Storia breve (e un poi’ triste) di Marco Giampaolo, tecnico con una carriera inversamente proporzionale a un talento riconosciuto da tutti.

Marco Giampaolo, il gioco offensivo di un anticonformista

Anticonformista

Marco Giampaolo – ribattezzato dalla genova blucerchiata l’uomo dei derby, quest’anno li ha vinti entrambi – è avverso ad ogni forma di conformismo. Nel 2004, infischiandosene delle regole, sprovvisto del patentino d’allenatore salvò l’Ascoli dalla retrocessione in Serie cadetta beccandosi un deferimento per due mesi.

Due anni dopo, sulla panchina del Cagliari, da vittima di un doppio esonero diventò sindacalista di se stesso rifiutando la richiamata del presidente Cellino: «L’allenatore è un uomo davvero solo e il miglior compagno di un tecnico è il sigaro». Questa è la concezione che ha Giampaolo del suo mestiere, concezione rafforzata con l’episodio di Brescia quando, dopo la sconfitta con il Crotone, fu praticamente costretto dalla società a parlare con i tifosi. “Non gioco più. Me me vado” e così l’allenatore sparì nella cortina di fumo del suo mezzo sigaro.

Si rifece vivo – anche se la dirigenza bresciana era al corrente di tutto – qualche giorno dopo con in mano le sue dimissioni: «Andare a colloquio per rendere conto ai tifosi è stato umiliante. Non è accettabile per un professionista e la società avrebbe dovuto tutelarmi».

Il volo di Icaro

Giampaolo è stato etichettato (in ordine sparso e confuso) come allenatore prodigio, collezionista di esoneri, sopravvalutato e maestro di calcio. Elogi e accuse stoppate di petto sempre alla stessa maniera, con tristezza: «Lo so che sembro triste, ma è più una forma di raziocinio mentale. Qualcuno la percepisce come disegno, ma non è così. L’allegria per me è uno stato d’animo che non si manifesta con tic corporei. L’allegria più che agli altri la manifesto a me stesso».

In teoria ha allenato Roma, Lazio, Milan e Juventus (per qualche ora, o addirittura per una notte intera ci era riuscito per davvero) in pratica invece: Cagliari, Cesena, Siena, Catania, Cremonese, Empoli e adesso Sampdoria. Ogni volta che era lì, pronto per il salto di qualità, le sue ali come quelle di Icaro si scioglievano al sole. Una carriera indirettamente proporzionale alle sue potenzialità, colpa anche sua e del forte integralismo morale che porta nel dna: «Forse se fossi stato io più furbo e opportunista, sarei andato avanti. (…) Ma non ce la faccio proprio a essere quello che non sono. In un rapporto di lavoro preferisco la schiettezza».

Difensivista a chi?

A Catania lo accusarono di essere difensivista, accusa bizzarra nei confronti di uno che ha imparato il mestiere guardando Galeone e Sacchi: «È ingiusto. Difensivista è chi gioca con 10 terzini, chi specula e non fa giocare gli avversari. Essere attenti alla fase di non possesso è altra cosa». Equilibrio, movimento senza palla e occupazione degli spazi. Questo il credo tattico di Giampaolo che ha sempre preferito il collettivo all’individualità.

Di recente proprio Arrigo Sacchi l’ha consacrato in pubblico e in passato gli ha addirittura offerto una panchina stimolante: «Mi chiamò per allenare la Nazionale under 21 ma avevo già preso un impegno e dissi di no».

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