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L’Europa League: Guidetti, Mourinho e la rivincita dell’Ajax

Cronaca veloce e pensieri sparsi sulla notte di Europa League: la bellezza della finale di Stoccolma, il senso del trofeo e l’atteggiamento della Serie A.

L’Europa League: Guidetti, Mourinho e la rivincita dell’Ajax

La finale

Difficile immaginarsi una finale di Europa League più suggestiva di Manchester United-Ajax. Due progetti diametralmente opposti: da una parte una squadra ricchissima, costruita per vincere subito; dall’altra un manipolo di giovani allevati in casa, una filosofia di sviluppo del talento che affonda le sue radici nella storia. Significanti e significati che conferiranno (ulteriore) bellezza all’atto finale di Stoccolma. Che mette in palio un posto in Champions League, un trofeo europeo che manca da un bel po’ (nove anni allo United, addirittura 21 all’Ajax) e che potrebbe riscrivere la stagione di entrambe. Per lo United, si tratterebbe del terzo successo stagionale dopo Charity Shield e League Cup. Non male, per Mourinho, alla prima stagione a Old Trafford; per l’Ajax, con l’Eredivisie non ancora chiusa (ma il Feyenoord ha un altro match point), l’inizio di una nuova era.

La bellezza in semifinale (ma pure prima)

Ieri sera si è chiuso un gran percorso, con due grandi partite. Lione e Celta hanno dato vita a due grandi semifinali, soprattutto i francesi. Che, del resto, si presentavano in semifinale da favoriti, dopo aver eliminato Roma e Besiktas. Invece ha vinto l’Ajax, che ha fatto leva sulla prestazione sontuosa dell’andata.

Stessa cosa (più o meno) a Old Trafford, con lo United reduce dal successo in Galizia ma in difficoltà nella parte finale del match. Il pareggio e l’espulsione di Roncaglia, l’altro rosso a Bailly, ma soprattutto l’occasione fallita nel finale da John Guidetti. Cresciuto dal Manchester City, e non sfugga l’utilizzo della proposizione “dal” al posto di “nel”: in questo caso, i Citizens ha contribuito in maniera importante alla carriera dell’attaccante svedese, guarito da una particolare patologia (infezione del sistema nervoso) grazie all’aiuto del club. Il video di questo tiro “masticato” ha già fatto il giro del web.

Prima di questo turno, l’Europa Leagua aveva saputo offrire il meglio di se. La sera del ritorno dei quarti di finale, tre match ai supplementari e uno ai rigori. Perfetto, bellissimo, emozionante. Peccato non ci fosse nessuna squadra italiana.

Il senso di un torneo

Probabilmente l’Europa League non è così male. Ce l’ha spiegato Marco Bellinazzo su Goal.com, forse Milan e Inter non stanno facendo una cosa proprio intelligentissima in questo finale di campionato. Perfette, bellissime le storie di Lazio e Atalanta. I biancocelesti sono matematicamente ai gironi, agli orobici manca un punto. Saranno loro, in attesa della terza qualificata, a comporre il contingente italiano per la prossima stagione. Sarebbe ora anche di tornare ad affrontarla davvero, questa competizione. Non tanto per la bellezza che può derivarne (vedi sopra), quanto per una questione di prestigio e di reputazione internazionale. Nel 2014 e 2015, tre club in semifinale. Tra cui il Napoli. Era bellissimo esserci, era bello raccontarlo.

Come fanno oggi i giornali inglesi e spagnoli. Sul Guardianle c’è l’editoriale di Paul Wilson che spiega come Pogba «abbia fallito ancora a rispettare il cartellino del prezzo che si porta addosso»; ci sono le proteste di Mourinho per la squalifica che colpirà Bailly;  c’è Guidetti, ovviamente, su Marca. Che scrive anche del «sogno spezzato» dei galiziani. Quando noi italiani impareremo che anche questo mondo può essere bello, e importante, e persino remunerativo, torneremo al passo con l’Europa. Intanto ci godiamo una gran finale e un rimpianto che va avanti dal 1999. La finale vinta dal Parma, ultimo club italiano a portare a casa il trofeo. Undici anni prima che iniziasse a chiamarsi Europa League.

 

 

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