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Hamsik: «Grazie Napoli, i miei dieci anni in azzurro sono un grande onore»

Il contributo di Marek Hamsik a The Players Tribune: «Non ho bisogno solo di uno stipendio e di trofei, voglio sentirmi parte di una comunità».

Hamsik: «Grazie Napoli, i miei dieci anni in azzurro sono un grande onore»

Cos’è The Players Tribune

Marek Hamsik “scrive” ai tifosi del Napoli. In sostanza è vero, il sito The Players Tribune ha effettivamente pubblicato un contenuto firmato, letteralmente, dal capitano del Napoli. In realtà, la situazione è un tantino diversa. The Players Tribune è un progetto editoriale che mette l’autonarrazione degli atleti al centro dei contributi. Anzi, rende gli sportivi dei veri e propri contributors. Guidati, certo, da esigenze redazionali e di impostazione preventiva (ecco perché non parliamo propriamente di una lettera), ma comunque liberi di esprimersi in totale autonomia.

Oggi è toccato a Marek Hamsik dopo che qualche mese fa era toccato a Francesco Totti. Il capitano del Napoli ha parlato di legami, sentimenti, sensazioni importanti in questi dieci anni di Napoli. Ha anche sottolineato alcune “storture”, come ad esempio quella che apre il suo longform: «A Napoli non c’è un solo allenatore. Ce ne sono tre milioni. Ogni uomo, donna e bambino sa cos’è meglio per il Napoli. Anche un bimbo di quattro anni sa come potremmo segnare più gol. Ogni donna novantenne che si occupa del suo orticello ti sa dire come e perché’ dobbiamo cambiare la formazione in campo. Questo sentimento, questa passione, è nel sangue dei napoletani».

Il giovane Marek

«Il calcio è la mia vita da 29 anni, certe sensazioni le provo da quando avevo sette anni, e alle undici sera guardavo da solo i Mondiali in televisione. Mi sono innamorato di due brasiliani che correvano, Romario e Bebeto. Ero incantato dal loro gioco».

La Slovacchia, poi Brescia: «Il mio primo tecnico mi schierò a centrocampo, ma mi disse di puntare molto la porta avversaria. Ho amato da subito quel ruolo, non l’ho mai più cambiato. Mi permetteva di essere creativo, ma anche di vedere l’intero campo di gioco. In televisione, ho vistyo calciatori che giocavano nella mia stessa posizione: Zidane, Nedved. Volevo essere come loro. Brescia è una piccola città del nord Italia. Il mio adattamento alla vita del luogo non è stato molto difficile – mi sono sentito subito a casa».

Napoli

«Il mio primo giorno a Napoli coincise con quello di Ezequiel Lavezzi. Il club ci portarono a vedere lo stadio, ci presentarono alla stampa. Capii subito che quello era un posto diverso, vidi le foto dei grandi calciatori della storia azzurra, i trofei in bacheca. Era evidente che Napoli fosse una città speciale e il Napoli fosse un club speciale. Appena iniziai ad ambientarmi in città, mi accorsi che tutti quelli che mi incontravano conoscevano il mio nome e la mia storia. Incredibile.

La vittoria

«Ho cominciato a capire cosa potesse essere Napoli dopo la vittoria della Coppa Italia del 2012. Il Napoli non vinceva un trofeo dal 1990, e io ho visto festeggiare una nuova città. Pazzesco, folle, non erano solo i calciatori a vincere ma l’intera città. È questo che rende Napoli speciale. Non avremo lo stadio più grande d’Europa – o dell’Italia, ma i nostri sostenitori lo fanno sembrare enorme. Per me l’eco dell’inno della Champions League allo Stadio San Paolo è la melodia della perfezione».

«Napoli e l’Italia mi hanno dato tutto quello di cui ho bisogno. Il calcio è importante per me e aver giocato per il Napoli per dieci anni è stato l’onore più grande della mia vita ma la ragione per cui sono rimasto a Napoli va oltre il calcio. A Napoli mi sento parte di una comunità, di una famiglia che occupa un posto speciale nel mio cuore. Nella vita non ho bisogno solo di uno stipendio e di trofei, ho anche bisogno di sentimenti profondi nella mia anima. Napoli mi ha dato questo ed io le sarò grato in eterno».

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