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Gli Europei Under 17 incoronano la Spagna: il racconto del torneo e la Top 11

Europei decisi ai rigori, la Rojita ha battuto in finale l’Inghilterra. Ecco i talenti più futuribili della kermesse giovanile.

Gli Europei Under 17 incoronano la Spagna: il racconto del torneo e la Top 11

Il famigerato ABBA System, nuova formula mutuata dal tie-break tennistico ed introdotta in via sperimentale dalla FIFA per rivoluzionare le sempre più frequenti lotterie dei calci di rigore nelle sfide ad eliminazione diretta (cinque delle ultime sei finali della rassegna sono state decise dagli undici metri: un dato piuttosto eloquente), ha alfine premiato i tiratori iberici, capaci di piegare in successione le resistenze di Germania ed Inghilterra per conquistare il terzo Europeo nella categoria Under 17, nono successo assoluto se conteggiassimo i sei trionfi ottenuti tra il 1986 ed il 2001, allorquando la manifestazione era riservata agli Under 16.

La discutibile innovazione è stata predisposta alla luce di una ricerca statistica, secondo cui la prima squadra a presentarsi sul dischetto nella serie risolutiva si aggiudica la vittoria nel 60% circa dei casi; in sostanza, tale sistema prevede che dopo il penalty iniziale ciascuna compagine abbia a disposizione due tentativi consecutivi, ribaltando la consueta alternanza ABAB originaria. L’esito dell’atto conclusivo allo Stadion Anđelko Herjavec di Varaždin sembrerebbe confermare i teorici effetti equilibratori dell’esperimento, giacché lo specialista albionico Aidan Barlow aveva aperto le danze prima che i compagni Rhian Brewster e Joel Latibeaudiere fallissero goffamente la propria chance, spianando la strada alla Rojita, eppure resta inalterata la tentazione di archiviare questo meccanismo con la fedele parafrasi dell’invero ingenerosa recensione su un caposaldo del cinema sovietico di fantozziana memoria…

Una rivincita beffarda

L’ansia patita dal coach gallese Steven Cooper, sin troppo preoccupato di rinverdire i fasti raggiunti dal predecessore John Peacock, si è rivelata esiziale nella gestione dell’evento; l’esiguo turn-over approntato nella poderosa marcia di avvicinamento al titolo (impressionante filotto di undici vittorie su altrettante partite ufficiali disputate dal 25 ottobre 2016 ad oggi) ha finito progressivamente con l’inficiare l’arma più pregiata nella ricca faretra dei Three Lions, ossia la tenuta di un gruppo atleticamente superiore al resto della concorrenza.

Per ironia della sorte, le pleonastiche sostituzioni degli intoccabili Foden e Sancho azzardate durante gli ultimi giri di lancette in ottica ostruzionistica hanno costretto l’arbitro danese Jens Maae ad estendere il recupero, permettendo ad una Spagna ormai rassegnata di trasformare sull’asse dei subentranti José Alonso e Nacho Díaz un corner apparentemente innocuo negli ultimi disperati secondi, vieppiù a causa di una retroguardia incapace di sfruttare l’evidente mismatch favorevole sul piano della stazza fisica e di un Josef Bursik confermatosi come l’omologo Álvaro Fernández uno dei punti deboli delle finaliste. Il completamento dell’insperata doppia rimonta (2-2 il verdetto dei tempi regolamentari) ha così consentito ai ragazzi selezionati da Santi Denia di vendicare con sette anni di ritardo l’amarezza dei connazionali Paco Alcácer, Saúl, Juan Bernat e Gerard Deulofeu, arresisi solo alla maggior prestanza di Connor Wickham, Ross Barkley, Jack Butland e la meteora partenopea Nathaniel Chalobah in quel di Vaduz.

Azzurrini deludenti

Tra le emozioni irripetibili vissute dalle nordiche esordienti Norvegia e Fær Øer, quest’ultima alla prima qualificazione in assoluto alla fase finale di una kermesse continentale dall’affiliazione all’UEFA ottenuta nel 1990, ed i balbettii difensivi di nazionali balcaniche inaspettatamente povere di talento individuale rispetto alle consuetudini e per nulla ispirate dallo scenario ambientale propizio, l’Italia di Emiliano Bigica ha fallito l’obiettivo minimo di strappare un pass per i Mondiali di categoria che si terranno in India nell’autunno prossimo venturo (6-28 ottobre 2017).

L’impiego a mezzo servizio di Moise Kean, match-winner un po’ sprecone (e spaccone…) nel debutto con i padroni di casa (1-0, preziosa la verticalizzazione del figlio d’arte Manolo Portanova), ed il grave infortunio accusato dall’altro juventino Fabrizio Caligara nella ripresa del pesante rovescio contro i futuri campioni spagnoli (1-3), hanno aggravato le primigenie difficoltà di superare un girone di ferro, conclusosi con la resa alla più attrezzata Turchia malgrado l’illusorio squillo del genoano Pietro Pellegri (1-2).

La carente qualità in fase di costruzione ha aggravato il quadro, se si eccettuano gli sporadici sprazzi del sassarese Roberto Biancu (Cagliari), e forse sarebbe d’uopo rivedere il diktat federale di riproporre in maniera pedissequa un troppo scolastico e guardingo 4-4-2 d’antan, soprattutto se si continuerà a prediligere sulle fasce pedine generose ma poco avvezze a saltare l’uomo e creare superiorità numerica o centrocampisti non in grado di inventare l’ultimo passaggio; il podismo e la disciplina maniacale non sempre costituiscono risposte adeguate, a maggior ragione quando si sacrificano tecnica ed esuberanza giovanile sull’altare di un presunto equilibrio, laddove invece dovrebbero regnare sovrane.

Espletati i doveri di cronaca con l’elenco delle magnifiche cinque che rappresenteranno l’Europa sul palcoscenico iridato (nella fattispecie: Spagna, Inghilterra, Germania, Turchia e Francia), andiamo ad analizzare nel dettaglio la Top 11 del Napolista riferita agli Europei Under 17 (modulo 4-3-3):

portiere: Simone Ghidotti (2000, Italia)

Europei

Al pari dell’elastico Berke Özer (Altinordu, visionato con interesse dal Manchester City), il precoce ungherese Balázs Ásványi (2001) ed il croato Dominik Kotarski, il guardiano dei pali in forza alla Fiorentina è apparso l’elemento con i fondamentali di base più robusti tra gli interpreti del ruolo, a cominciare dal tanto pubblicizzato olandese Jasper Schendelaar, misteriosamente corteggiato dall’Arsenal.

Le uscite alte, in particolare sulle situazioni di palla inattiva, restano un punto debole su cui lavorare, così come la presa non ancora sufficientemente salda, ma nonostante le cinque reti incassate in tre apparizioni ha guidato con sicurezza la terza linea azzurra, legittimando il singolo successo sulla Croazia con un intervento a ridosso dell’incrocio per neutralizzare la velenosa punizione di Jurica Pršir, prima di inchinarsi incolpevolmente alle sortite spagnole e turche. Prelevato nell’estate 2014 dal settore giovanile del Lumezzane, non sorprende sia già finito nell’orbita della prima squadra grazie alla fiducia concessagli da Paulo Sousa, lungimirante nel convocarlo in occasione del match casalingo con l’Udinese del febbraio scorso (3-0 all’Artemio Franchi).

terzino destro: Mateu Jaume Morey Bauzà (2000, Spagna)

Tra l’inesauribile stantuffo teutonico Kilian Ludewig ed il povero Jusuf Gazibegović, unico flebile bagliore all’interno del colabrodo bosniaco, sarebbe francamente impossibile ignorare gli esaltanti coast to coast con cui il maiorchino de La Masia si è dimostrato essere un’autentica spina nel fianco per i sistemi difensivi avversari. La collaudata strategia di allargare sul binario destro Ferrán Torres nello sviluppo dell’azione per dischiudergli innanzi gli spazi e permettergli di accentrarsi alla ricerca del bersaglio grosso è stata una delle chiavi tattiche per il trionfo iberico, ben rappresentata dalla rifinitura alla guisa di uno scafato trequartista con cui ha liberato il sodale di club Sergio Gómez, dopo aver eluso in scioltezza la guardia di Matteo Anzolin e Davide Bettella per sbloccare il match con l’Italia, o la perla solitaria che ha regalato il momentaneo pareggio sulla Francia nei quarti (3-1).

Nella finalissima, è riuscito con qualche affanno a limitare i danni predisponendosi al contenimento dello spauracchio Sancho, coadiuvato tanto dall’inesauribile Moha quanto dalla naturale verve propositiva, utile a procacciarsi il terzo sigillo personale in un torneo da incorniciare.

difensore centrale: Stephen Welsh (2000, Scozia)

Se per ipotesi unissimo le ruvide maniere spicce del turco Ozan Kabak e la padronanza negli intercetti aerei del gigante transalpino Maxence Lacroix (vittima però di letture dall’ingenuità imbarazzante), otterremmo tale sorta di ibrido scuola-Celtic, già protagonista dell’UEFA Development Tournament U16 tenutosi sul limitrofo suolo serbo nell’inverno 2016 e baluardo principale del pugnace team allestito da Scot Gemmill, costretto ad inchinarsi solo allo scadere delle ostilità al cospetto delle magie di Adli e Gouiri.

Il timing innato negli anticipi talvolta lo spinge a non preoccuparsi preventivamente di ciò che accade alle proprie spalle, tradendone le origini da laterale destro, ma il vero segreto dei recenti exploit della Tartan Army risiede proprio nella tignosa attitudine di sopperire alla povertà di risorse abbassando il baricentro sino a ridosso dell’area, senza rinunciare a sporcare le zone di ricezione con repentine salite all’unisono in pressione sugli avversari, irretendone sul nascere le velleità; si spiega in questo modo la capacità di mietere vittime illustri come Portogallo e Svizzera nel cammino tra Qualifying ed Elite Round, senza badare granché allo spettacolo.

difensore centrale: Lars Lukas Mai (2000, Germania)

Nel disegno di Christian Wück, improntato su un 4-2-3-1 d’ordinanza a quelle latitudini, l’intraprendente Jan Boller (Leverkusen) era incaricato di occuparsi degli “show” d’aggressione sulla trequarti, dividendosi poi il compito nell’avvio del possesso d’uscita dalle retrovie con questo possente stopper scovato dal Bayern Monaco nello jugendteam della Dinamo Dresda tre stagioni orsono, maggiormente bloccato nei pressi dell’area piccola per proteggere la posizione prediletta davanti al torwart Luca Plogmann (Werder Brema).

La ridotta mobilità negli spostamenti laterali (palesata nei quarti con l’Olanda) e le prevedibili ambasce nel fronteggiare le iniziative degli attaccanti brevilinei non gli hanno impedito di rimediare una discreta figura complessiva, senza disdegnare il ricorso a talune malizie intimidatrici per placare le trame arzigogolate dei fini dicitori serbi Armin Djerlek e Željko Gavrić in appoggio alla punta mancina Filip Stuparević, o i movimenti d’incrocio tra le Furie Rosse in semifinale. Un destino dolceamaro gli ha riservato l’incombenza sia di indirizzare il vernissage di Kostrena con una deviazione in mischia (5-0 sulla Bosnia) che di lasciar infrangere sulla traversa le speranze di prevalere nella contesa dagli undici metri con la Spagna.

terzino sinistro: David Čolina (2000, Croazia)

Inutile girare attorno alla questione: ci si aspettava un rendimento decisamente diverso dai Vatreni di Dario Bašić, quantomeno in rapporto all’onere di Paese ospitante ed alle ancor vivide reminiscenze risalenti al 2015 in Bulgaria, laddove la “generazione 1998” conquistò gli unanimi consensi degli addetti ai lavori. Se non altro, l’attonito pubblico di Rijeka si è sforzato di coltivare una parziale consolazione ragionando in prospettiva sul corridoio mancino, probabilmente l’unico settore in grado di produrre qualcosa sul versante offensivo grazie alla catena “made in Dinamo Zagabria” formata dal jolly Antonio Marin (2001) e dalla spinta propulsiva di tale futuribile erede della promessa Borna Sosa, oggi in rampa di lancio dopo aver attirato uno sciame di osservatori nella succitata edizione di due anni fa.

David ne condivide i difetti nelle diagonali (se possibile, ancor più pigre) ed in generale nella minor efficacia sui ripieghi, ma la costante ricerca della linea di fondo per rifornire l’inadeguato riferimento (?) Michele Šego, ed il gioiello al volo incastonato nel pareggio di commiato con gli iberici (1-1) ne segnalano il grezzo potenziale. Menzione d’onore per il magiaro Martin Majnovics, consolidatosi nella Fußballakademie Burgenland in Austria.

centromediano: Dominik Szoboszlai (2000, Ungheria)

Le precarie condizioni fisiche hanno consigliato prudenza all’allenatore Zoltán Szélesi, obbligato giocoforza a centellinarne l’utilizzo con parsimonia, ma sono bastate le due partite contro Fær Øer e Turchia per intuirne la leadership indiscussa nel settore nevralgico del rettangolo verde. La maturità con cui l’elegante regista sbarcato a Salisburgo dal MTK Budapest nella penultima sessione di mercato ha in parte oscurato i riscontri incoraggianti ottenuti dal jolly del Vitesse Márk Bencze e dagli oliati ingranaggi di una batteria di trequartisti molto interessante, modellata sugli scambi tra Krisztofer Szerető (Stoke City), Szabolcs Schön (Ajax) e Kevin Csoboth (Benfica).

La cangiante veste tattica, contraddistinta da un cocktail ben miscelato in bilico perenne tra il 4-1-4-1, il doble pivote ed un più tradizionale centrocampo a tre in appoggio al tridente, lo ha costretto ad agire decentrato a sinistra in alcuni frangenti, sottolineandone i limiti dinamici ed il peculiare ritmo compassato, ma al contempo l’affidabilità di un piede chirurgico nel fraseggio stretto e sui cambi di fronte, per tacer delle doti balistiche che lo rendono un pericolo pubblico sulle punizioni dal limite. Non sarebbe un’eresia se Bernd Storck cominciasse a valutarne il graduale inserimento in Nazionale Maggiore.

mezzala destra: Achraf El Bouchataoui (2000, Olanda)

Come spesso accade a questi livelli, le anarchiche bizze dei calciatori dalle origini magrebine hanno fornito gli spunti più stimolanti di una versione Oranje dai contorni un po’ sbiaditi, impoverita inoltre dall’assenza dello scompaginatore ajacide Daishawn Redan (2001), di recente finito nel mirino in Premier League e Bundesliga. Nell’intento di rimpiazzarlo, approntando in aggiunta una variante alla vena inaridita del legnoso finalizzatore Thomas Buitink, mister Kees Van Wonderen ha indebitamente avanzato il raggio d’azione di Juan Familio-Castillo (Chelsea), dirottando di conseguenza da falso nueve l’esterno sinistro Zakaria Aboukhlal (Willem II, prenotato dal PSV Eindhoven), ma è sul lato opposto che gli olandesi sono risultati più pungenti, trascinati dalle scorribande disordinate di Mohamed Mallahi (Utrecht) ed i lanci filtranti di Achraf, virtuoso seppur acerbo metronomo allevato sin dai primi passi nelle strutture all’avanguardia del Feyenoord.

Al netto di qualche leziosa confidenza nel gioco lungo, è giusto evidenziare la personalità con cui si è sobbarcato pressoché in esclusiva le delicate mansioni di ricamo, in un reparto dove ha colpito in negativo l’insufficiente contributo di Dogucan Haspolat, fresco d’esordio nel professionismo con la maglia dell’Excelsior. Citazione d’obbligo per il mancino Elias Abouchabaka (Lipsia), rifinitore della Germania a nostro modesto avviso più adatto qualche passo indietro rispetto alla casella oggi occupata nella Mannschaft.

mezzala sinistra: ‘Moha’ Mohamed Aiman Moukhliss Agmir (2000, Spagna)

L’anomalia di una formazione issatasi sul gradino più alto del podio continentale concedendo parecchio ai rivali (media di 1.17 reti subite a partita: paradossalmente, l’unico clean sheet è arrivato affrontando l’attacco ad orologeria tedesco, il più prolifico tra le sedici partecipanti) è stata resa possibile innanzitutto dalla presenza imprescindibile del volante de corte pescato nel 2010 dal Real Madrid tra le fila dell’EDM San Blas, aggressivo cagnaccio mortifero nel pressing e sempre propenso a raddoppiare la marcatura di un compagno in difficoltà (spesso e volentieri l’incerto lateral izquierdo Juan Miranda), spostandosi in varie zone d’influenza a seconda della necessità contingente.

Sarebbe comunque riduttivo derubricarne l’apporto a mero frangiflutti dai mille polmoni, siccome in grado di riconvertire immediatamente la conquista della sfera con un’insospettabile precisione negli appoggi ed una visione periferica tutt’altro che banale; vedere per credere la prestazione da applausi con l’Inghilterra, nobilitata dall’allestimento della manovra corale più bella dell’intero torneo che ha permesso a Mateu Morey di cogliere il momentaneo pareggio al termine della prima frazione, una piccola gemma di fútbol asociativo nata da un sontuoso tracciante per smarcare il centrodelantero Abel Ruiz.

ala destra: Atalay Babacan (2000, Turchia)

Alla fine della fiera il killer degli azzurri è stato proprio una vecchia conoscenza, ossia quello scricciolo con il sinistro vellutato che già nell’ottobre 2015 imperversò con le sue letali invenzioni in una doppia amichevole ad Oderzo tra le rispettive Under 16. Allora come oggi, la vocazione a svariare tra le linee senza occupare una mattonella precisa, lasciandosi guidare esclusivamente dall’istinto, fu un rebus di ardua risoluzione per i nostri colori, sebbene esprima il meglio del repertorio partendo da destra sovrapponendosi a capitan Recep Gül (anch’egli di proprietà del Galatasaray) per poi accentrarsi sul piede preferito e pennellare invitanti cioccolatini per il potente Malik Karaahmet (Eintracht Francoforte), o premiare le percussioni delle mezzali Hasan Adıgüzel (meritoriamente impostosi nelle rotazioni dell’Akhisar Belediyespor) ed Umut Güneş (Stoccarda), non disdegnando flessuose traiettorie scagliate in prima persona verso il secondo palo.

Piuttosto fumoso ed inconcludente nelle giornate di luna storta, spesso richiamato a muso duro a concentrarsi sull’andamento del match dal solido incontrista Kerem Kesgin (Bucaspor), ha comunque messo lo zampino nella maggior parte delle combinazioni dell’Ay-Yıldızlılar, consentendo ad una covata di talenti già dominante nella Aegean Cup 2016 di raggiungere le semifinali ed il conseguente biglietto iridato per la terza volta nella storia.

ala sinistra: Jadon Sancho (2000, Inghilterra)

Peggior incubo dei malcapitati Fabian Rimestad, Illia Malyshkin, Lutsharel Geertruida e Ramazan Civelek, l’incontenibile winger di origini tobagoniane ha collezionato un bottino di cinque gol ed altrettanti assist vincenti scorrazzando senza argini sull’out di competenza ed abusando del beneamato marchio di fabbrica, ossia la medesima finta di suola in progressione ad invertire la direzione di percorrenza e confondere le idee al dirimpettaio di turno. Facendo leva sull’indubbio vantaggio in termini di esplosività, è sembrato quasi scherzasse con i coetanei, vellicando l’infantile tendenza da trickster poco concreto già emersa in Youth League con la casacca del Manchester City.

Grazie alla complicità dei tagli dal lato inverso di Callum Hudson-Odoi (Chelsea), determinanti nel penultimo impegno con la Turchia (2-1), è riuscito ad eludere occasionalmente la gabbia spagnola avviando ad esempio la transizione che ha sbloccato il punteggio, eppure penetrando oltre la cortina degli scenografici effetti speciali con cui infiocchetta le sue recite sul manto erboso si intravedono le lacune di un bagaglio tecnico da implementare e variegare sensibilmente. Sotto questo punto di vista, hanno convinto maggiormente l’altro Citizen Phil Foden ed il vertice basso in mediana George McEachran, non a caso i britannici del lotto fisicamente meno agevolati da madre natura.

centravanti: Amine Gouiri (2000, Francia)

Les miracles n’ont lieu qu’une fois, glosserebbe un redivivo Yves Allégret nel filmare un lungometraggio inerente alla tortuosa navigazione in mare aperto della minuscola zattera faroese, arenatasi bruscamente sull’impervio scoglio franco-ungherese nel Girone B, vanificando le epiche imprese compiute alle spese di Repubblica Ceca e Slovacchia tra ottobre e marzo. D’altronde, imbattersi in tale “prototipo” di Benzema (con le debite proporzioni, s’intende) non ha risparmiato alcun pacchetto arretrato tra le contendenti, soggiogate da una facilità nel controllo orientato ed una morbidezza di tocco da predestinato.

I nove centri distribuiti democraticamente nelle cinque esibizioni transalpine indurrebbero ad etichettarlo come bomber implacabile, ma in realtà i margini di miglioramento più significativi andrebbero incanalati per correggere l’ondivaga incisività sui palloni alti e la scarsa cattiveria dinnanzi al portiere, giacché sovente spreca con conclusioni poco angolate l’ammirevole inclinazione di crearsi da solo le opportunità per centrare lo specchio. Esteticamente parlando, il lyonnais ed il sodale Yacine Adli (PSG) sono stati i giocatori più appaganti da visionare in terra croata, con tutto il rispetto per il panzer tedesco Jann-Fiete Arp (Amburgo).

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