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Enrico Nicolini, un anno a Napoli per un sampdoriano doc

L’amarcord di Sampdoria-Napoli nel nome del biondo centrocampista genovese, che sfiorò lo scudetto con Krol e Pellegrini nella sua unica annata partenopea.

Enrico Nicolini, un anno a Napoli per un sampdoriano doc

Non ci ha pensato su due volte lo scorso febbraio a dire “no” ad Andrea Mandorlini che lo voleva come secondo al Genoa dopo l’esonero di Juric. Enrico Nicolini è così, sampdoriano fino al midollo, blucerchiato da capo a piedi, quando si è sentito al telefono con il tecnico ex veronese ha detto chiaro e tondo che non se la sentiva. Questione di fede, cuore che batte e rispetto per una tifoseria che lo ha amato e che lui, da bambino, ha frequentato sugli spalti del vecchio e glorioso ‘Ferraris’. Rispetto anche per i tifosi del Genoa, certo. Come lo avrebbero accolto?

Accanto a Mandorlini

Dopo il ritiro dal calcio giocato, Nicolini aveva iniziato da subito la carriera da allenatore fino ad entrare, partendo dalle serie minori, nello staff di Carletto Mazzone a Brescia nel 2002. Poche, significative, esperienze fino a quando Mandorlini lo chiama come secondo al Cluj in Romania, nel 2010. Con lui vince titolo e coppa nazionale, il rapporto si consolida e preclude a future collaborazioni. Queste non tardano ad arrivare anche quando l’ex killer interista (ricordate quando spezzò tibia e perone al nostro Buriani?) riceve l’incarico del Verona.

Nicolini siede sulla panchina del Bentegodi, ancora da secondo, e continua a fare esperienza. Quando, però, l’avventura nella città di Romeo e Giulietta finisce per Mandorlini, anche lui si dedica ad altro, nella fattispecie alla carriera di docente a Scienze Motorie a Genova. Ed una fenestrella sempre aperta alla panchina, “chissà che non mi chiamino ancora”. Arriva solo la chiamata del Bogliasco, riviera ligure, serie D. Poca cosa, molla tutto.

L’occasione per rientrare alla grande si presenta qualche mese fa ma il biondo Nicolini dice di “no” alla proposta di Mandorlini, non può passare al grifone, questioni di sentimenti, proprio lui che aveva esordito in A in un infuocato derby della Lanterna. Genova, in questo, è lontana dai casi clamorosi di passaggi di squadra a cui abbiamo assistito negli anni tra milanisti ed interisti, laziali e romanisti, torinisti e juventini. Genova sembra uscire da questi clichè, un sampdoriano non può diventare genoano. E viceversa. Anche a costo di dolorose rinunce, come quella di Nicolini.

Nicolini calciatore

Il giovane e speranzoso talento viene aggregato alla prima squadra blucerchiata nel campionato 1972/73, non ha ancora 18 anni ma fa una gran bella gavetta. E’ la squadra che all’epoca fa simpatia, con quelle maglie che si giocano il titolo di “più bella d’Europa”, nate dalla fusione di Sampierdarena e Andrea Doria. Basta una banda orizzontale ed uno scudetto ‘crociato’ per scatenare la fantasia dei tifosi. In quegli anni la Samp aveva anche i calzerotti a righi ed il simbolo dei calciatori Panini era un vecchio marinaio con la pipa in bocca.

Una sorta di Braccio di ferro riveduto e debitamente invecchiato. Simboli, la maglia azzurra soprattutto, di mare, cielo e porti da cui salpare. Genova, in questo, è molto simile a Napoli. Insomma, era la squadra per la quale, noi piccoli tifosi di Partenope, tifavamo quando questa giocava con i grandi squadroni del Nord, di quando non affrontava gli azzurri del Napoli. Era il team di un altro biondo cursore, Loris Boni, del dinamico terzino Rossinelli, dell’attento Cacciatori in porta, dell’elegante Marcello Lippi come baluardo difensivo, dello stempiato Lodetti che fu ‘sdoganato’ a Genova dopo aver portato la borraccia per anni a Rivera al Milan.

Tre registi in blucerchiato

C’erano tre registi dai piedi buoni, uno che si stava affermando, Salvi, un altro che veniva dalla delusione del Napoli, Improta, ed uno sul viale del tramonto, l’ex campione dell’Inter Luisito Suarez che cercavano di mettere la buonanima di Carlo Petrini e il fisico da bisonte di Maraschi in condizioni di segnare. E poi tre meteore che mi facevano impazzire perchè le loro figurine uscivano raramente. Uno aveva il nome che rimandava ad avventure in terre lontane e ai fumetti del passato, Spadetto, l’altro era biondino e delicato e si chiamava Ermanno Cristin e l’altro ancora era Giorgio De Giorgis (ma se mi chiamo De Giorgis, come posso chiamare mio figlio Giorgio?).

Una menzione particolare la merita qui anche Dante Mircoli. Chi era costui? Era forse l’unico giocatore straniero che io ricordi dei primi anni ’70, quando le frontiere erano chiuse. La sua carta d’identità diceva “nato a Roma ma naturalizzato argentino”. La Samp, non sappiamo per quale sotterfugio, lo aveva preso dall’Independiente, ma dopo due anni lo rispedì al mittente. Insomma Nicolini cresce tra questi marpioni e questi giocatori che fanno la serie A da sempre e diventa l’altro biondo del centrocampo fino a guadagnarsi il nomignolo di ‘Netzer’, il fine giocatore tedesco tutto zazzera e capelli lunghi. Biondi naturali, of course.

Prima di Napoli

Debutta in Serie A a 19 anni, nel 1973/74, e mette su 5 presenze. L’anno dopo ne colleziona 7 e l’anno dopo ancora 14. Nella Samp, la sua squadra del cuore da sempre, non trova più spazio e viene ceduto al Catanzaro dove fa quattro splendidi anni. Una continuità di rendimento altisssima, fioccano i 7 e gli 8 in pagella, un dinamismo accoppiato ad una discreta tecnica, una visione di gioco intelligente ne fanno uno dei centrocampisti più in vista del campionato, un moto perpetuo, un cursore dai sette polmoni.

La bionda mezzala tuttofare aveva giocato in quattro occasioni contro il Napoli, sempre col Catanzaro, prima di venirci a giocare. Nell’ultima di campionato 1978/79 al San Paolo era risultato addirittura decisivo perchè gli azzurri vinsero 1 a 0 proprio con una sua autorete. L’anno dopo, ancora a Fuorigrotta, Nicolini siglò il gol del pari dei calabresi per 1 a 1 rispondendo alla rete di Tesser. Nell’ultima e malinconica partita del torneo fu uno dei protagonisti della vittoria del Catanzaro che vinse contro un Napoli fiacco e demotivato da una salvezza conquistata sul filo di lana.

Il Napoli di Krol e la maledizione di Malizia

Infaticabile e generoso Nicolini è corteggiato, tutti sanno che il suo processo di maturazione è in fase avanzata, che le sue dirompenti cavalcate fanno salire il tasso agonistico della squadra, chi lo prende ha tra le mani un centrocampista completo e di rendimento. Juliano acquista Krol per fare grande il Napoli, riprende Pellegrini per fine prestito dall’Avellino, Marangon a coprire la fascia sinistra ma anche lui, il biondino genovese in mezzo al campo.

E così, con Castellini in porta, Ferrario e Bruscolotti sugli attaccanti avversari, Celestini, Guidetti e Vinazzani in mezzo al campo, Pellegrini e Damiani, con Musella da rincalzo, più i tre acquisti estivi, il Napoli sfiorò lo scudetto. Inutile rinvangare l’amara gara col Perugia persa in casa, il fenomeno appare ancora oggi paranormale. E paradossale. Come fece la palla a non entrare? Ce lo chiederemo come un mistero di Fatima, anzi di… Malizia.

Dopo l’esperienza napoletana, condita da 29 presenze ed una rete contro la Roma al San Paolo, Nicolini, che aveva giocato già per 4 anni con Samp e Catanzaro, va ad Ascoli e ci rimane altri 4 anni e lì, in provincia, trova la sua consacrazione. Dalla città marchigiana passa poi al Bologna dove rimane un biennio e poi va a chiudere la carriera ancora in Calabria, in serie B coi giallorossi, vecchio amore. Forse, però, 18 anni di calcio professionistico non cancelleranno quell’unico anno napoletano. Se il Napoli avesse vinto lo scudetto anche Nicolini “Netzer” sarebbe stato intervistato in qualche simpatica ricorrenza. Un trentennale, un quarantennale, chissà.

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