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L’ultrà Grancini ha chiarito meglio di Agnelli il ruolo di Dominello nella Juventus

La sua è stata una scalata fulminea. Proteggeva la Juventus all’insaputa di Agnelli. Ricorda la vicenda Mangano lo “stalliere” di Arcore

L’ultrà Grancini ha chiarito meglio di Agnelli il ruolo di Dominello nella Juventus

Le pressioni di Elkann

È come se il suo destino fosse segnato. Per usare una brutta espressione: “È un morto che cammina e non lo sa”. Aspettando l’udienza preliminare del processo Alto Piemonte, nei corridoi dello stesso Palazzo di Giustizia, a Torino, ieri si scommetteva che Andrea Agnelli non sarebbe arrivato a fine maggio. Insomma, che il cugino John Elkann lo avrebbe fatto dimettere prendendo lui la presidenza della Juventus. Del resto, in casa Agnelli e Fiat, il “canadese” di Chieti, Sergio Merchionne, quando si è trattato di intervenire ha fatto fuori Luca di Montezemolo nominandosi presidente della Ferrari.

Chissà se nella decisione di Elkann vi sia la gestione disastrosa della Juve sotto il profilo dei suoi rapporti con le curve degli ultras, ma non è peregrina questa ipotesi se consideriamo che la condanna della giustizia sportiva sembra decisa. E con la condanna la sospensione dei propri ruoli degli imputati, dal presidente Agnelli ai dirigenti D’Angelo in testa.

L’interrogatorio di ieri

E ieri, che è stato interrogato dal gip Marson, il presidente della Juve ha dovuto ammettere che Rocco Dominello, «un uomo garbato», l’aveva incontrato diverse volte, anche se per pochi minuti, anche se mai da solo. Poco cambia ai fini del processo penale contro la ‘Ndrangheta a Torino, giacché non è mai stata presa in considerazione l’ipotesi di incriminare per favoreggiamento Andrea Agnelli o i dirigenti Juventus per i loro rapporti con Dominello appunto.

L’ultrà Grancini è stato più efficace

Solo che ieri è apparso molto chiaro, grazie alle dichiarazioni di Loris Grancini, che Rocco Dominello, l’uomo «venuto dal nulla» era riuscito a scalare molto in fretta la montagna dei biglietti da poter vendere e dunque sin dalla finale di Coppa Italia del 2012, Napoli-Juventus, si era imposto sulle curve rissose, rumorose, violente imponendo la forza dell’autorità riconosciuta. Per la Procura, la ‘Ndrangheta (alla insaputa della Juve) attraverso Rocco Dominello (e il padre Saverio) era riuscito a impossessarsi della gestione della curva per poter guadagnare fiumi di denaro con la vendita di abbonamenti e biglietti, insomma con il bagarinaggio.

Lo “stalliere” di Arcore

Rocco Dominello come Vittorio Mangano, lo «stalliere» di Arcore morto nel 2000 che fu “ospitato” nella tenuta di Arcore appunto, a metà degli anni Settanta, da Silvio Berlusconi. Una bandierina del Regno di Cosa nostra, secondo gli inquirenti palermitani, per far sapere ai vari gruppi di sequestratori siciliani e calabresi, che quella tenuta era sotto la protezione di Cosa nostra.

Erano gli anni dei sequestri di persona e tramite  Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi avrebbe incontrato i boss di Cosa nostra per chiedere protezione. Anche Rocco Dominello risolve alla Juventus il problema della protezione, in questo caso della pacificazione della curva. Non più disordini, scioperi, proteste, multe. La pax garantita da Rocco Dominello, ritenuto dalla Procura di Torino, un uomo della cosca Pesce di Rosarno, è un prezzo da pagare con la cessione dei biglietti da vendere con il bagarinaggio.

Un business per la ‘ndrangheta

Ieri nei corridoi del Tribunale di Torino c’era chi si chiedeva perché mai alla ‘Ndrangheta, che dispone di fiumi di miliardi di euro con il narcotraffico, interessi un piccolo business. Intanto, perché tanto piccolo non è. Dominello dice che ci guadagnava tremila euro al mese, Grancini che il gruppo milanese dei Viking solo mille euro a partita, la moglie di un boss dei Bravi Ragazzi, trentamila euro a partita. Difficile fare una stima ponderata del business. Di certo tanti soldi. Di certo la conferma, che è una condanna nel processo sportivo, che la Juventus sapeva del bagarinaggio. E che lo aveva scelto come male minore.

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