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A Napoli siamo così. Ma così come?

Riflessione sulla città, su una condizione. E una domanda: ma quando parliamo di Napoli, di cosa parliamo? A Napoli succede questo, a Napoli siamo così. Ma così come?

A Napoli siamo così. Ma così come?

Caro Napolista,

Io questa storia della napoletanità non la capisco. O la sto confondendo, sia chiaro. Ma quello che ho vissuto a Napoli è stata una storia contraddittoria. Come minimo.

Sono nato nel 1973, anno del colera. Qualcosa dovrebbe dire. Se penso alla mia infanzia, fino alla terza media, mi vedo come un oggetto fuori fuoco comunque. Materdei era flagellata dall’immondizia e dalla droga. L’eroina. Ricordo giocare a pallone nel parco. Ricordo quelli che andavano a fare gli scippi e lasciavano le borsette vuote. Ricordo il mio primo muro: il cancello nelle due entrate del Parco Soave. Casa mia era quella nella quale per entrare dovevi scendere le scale ma poi avevi un balcone.
Ricordo la Casa dello scugnizzo. Ricordo di un prete spretato che cercava di aiutare i tossici.

Tossici che terrorizzavano i ragazzini. Ricordo di essere stato menato buono e meglio quando andavo a scuola ma non li ho mai reputati atti di bullismo. Perché i miei compagni di scuola venivano menati buoni e meglio dai loro genitori. Ricordo che per molti dei miei compagni di scuola il sogno era di lavorare in una fabbrica di pellame. Ricordo il lunedì a scuola dove mi raccontavano che erano stati alla prima comunione del cugino o al matrimonio dello zio. E c’erano Bibi e Coco’. E le risate.

Comunità, famiglia

Ricordo Alledellandia dove nessuno ci andava perché costava troppo mentre a Capodimonte era tutto gratis perché’ bastava portare il Super Santos. Ma questo molto raramente perché per arrivare al bosco (??) ci si metteva troppo tempo. Ricordo le risse. E ricordo che non c’è mai stata una vera idea di comunità ma al massimo di famiglia. Gli amici, certo. Ma ti dovevi fidare del cugino. Anche se era quello che spacciava.

Ricordo il terremoto dell”80 e i doppi turni. Ricordo una bellezza nascosta. Ricordo mio padre che mi porta a vedere la mostra a Capodimonte sul ‘600 napoletano e la sua estasi nel descrivermi particolari di un quadro di secondo ordine perché c’erano tante figure. Un particolare curioso. L’altra sera mia moglie mi ha raccontato che suo padre, avvocato, non leggeva mai. E io che ricordo mio padre leggere sempre, sempre e sempre finché ha avuto forza nelle braccia prima di andare a dormire. Leggere selezione del Readers Digest a Napoli e Topolino a Ischia perché Selezione non arrivava a Ischia ma a Napoli. E comprare il Mattino e poi la Repubblica ogni giorno. Per poi scoprire che aveva anche libri. Si era comprato il libro con gli atti della commissione Warren. E l’autobiografia di Speer. E i libri sulla seconda guerra mondiale di Shearer. E tutto questo perché mio nonno lo portò a vedere Hitler a Napoli.

Tutto questo e tanto altro per farmi una sola domanda: ma quando parliamo di Napoli, di cosa parliamo? A Napoli succede questo, a Napoli siamo così. Ma così come?

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