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Quanto è diversa Napoli da quella raccontata negli stanchi dibattiti sulla città

Un articolo pubblicato sei mesi fa sul Corrmezz / Napoli non è risorta, perché non è mai morta. La lente del dibattito intellettuale è ferma ai canoni del Novecento.

Quanto è diversa Napoli da quella raccontata negli stanchi dibattiti sulla città
L'amica geniale
Pubblichiamo questo scritto di Massimiliano Virgilio uscito sul Corriere del Mezzogiorno il 10 settembre del 2016

Napoli non è risorta, perché non è mai morta

Io non credo che Napoli sia risorta, anche perché credo che non sia mai morta. Mi par più da animali morenti, in verità, l’eterno dibattito sulla città in termini generici e umorali, focalizzato su categorie novecentesche non più valide. La verità è che la maggior parte di ciò che oggi è Napoli non vive più in quel fazzoletto di città che chiamiamo “centro”, forse la maggior parte di ciò che oggi è Napoli non sta nemmeno più a Napoli, ma nella sua sconfinata dimensione metropolitana che ha una popolazione almeno doppia a quella che ne abita il ventre. È in questi luoghi che bisognerebbe andare a verificare la fine del post-terremoto o l’inizio della rinascita, è qui che bisognerebbe star di casa per cogliere le dinamiche della nostra contemporaneità, non solo quelle negative.

I linguaggi più interessanti sono nati nelle periferie

Tanto per dirne una. I linguaggi più interessanti nati a Napoli negli ultimi dieci anni sono quelli sviluppatisi nelle periferie dei writer, della musica rap, delle azioni sociali, delle pratiche pedagogiche, della cultura non assistita, degli immigrati che riprendono gli antichi mestieri, dei giovani tagliati fuori da ogni discorso e che non si arrendono, degli imprenditori senza politici di riferimento. Proprio laddove l’idea di comunità ha smarrito prima il suo senso, lì si è cominciato a ricostruire più rapidamente che altrove.

La lente del dibattito intellettuale

E invece la lente del dibattito intellettuale tende sempre, a mio avviso in maniera miope, a inquadrare lo stesso centro privo di centralità, gli stessi quartieri, le stesse stagioni politiche, gli stessi presunti o reali rinascimenti, lo stesso terremoto, fornendo una rappresentazione della città limitata e fuori sincrono. Come se di città ne esistesse una soltanto, e non dieci, mille, un milione.

La naftalina nei nostri discorsi

C’è della naftalina nei nostri discorsi che andrebbe eliminata. Il che implica un’altra questione, quella generazionale, di cui bisognerebbe tener più conto quando si parla di Napoli. E di giovani, a Napoli, ce ne sono di tutti i tipi. Eppure bisognerebbe conoscerli, parlarci, studiarli, chiedere a loro per riuscire a tirar fuori un’idea, ancorché parziale, di come sta la città veramente. Nel 1980 avevo un anno di vita, quindi finora la mia esistenza si è svolta tutta nel post-terremoto. E come la mia quella di molti miei coetanei.

Quelli (tanti) che sono andati via

Non a caso la più grande migrazione di massa di giovani al Nord o all’estero, dopo quelle del secolo scorso, si è svolta in questi ultimi anni sotto i nostri occhi. Gli amici con cui sono cresciuto e che hanno trovato possibilità di una vita piena a Napoli si contano ormai sulle dita di una mano. Anche se la città stesse risorgendo, non torneranno più. Per diverse generazioni questa sensazione di essere cresciuti come degli sfollati è stata costitutiva del proprio orizzonte psichico e sociale, è la normalità, è il mondo così come lo conosciamo. Senza dimenticare, naturalmente, che essere terremotati o sfollati per davvero è ben altra cosa.

Napoli resiste sempre

Al contempo, c’è un’altra verità che non bisogna tacere. Napoli resiste sempre. Che sia bene o male amministrata, questa è una dote che va riconosciuta ai napoletani, o almeno alla parte di essi che ogni giorno si sveglia e cerca di realizzare qualcosa di buono per se stessi e per la collettività. E ce ne sono. Così come ce n’è una metà che ogni mattina si sveglia e cerca di distruggere quello che l’altra parte ha edificato.
Napoli è una tela di Penelope che non aspetta la notte per essere sciolta, ma nemmeno ogni mattina bisogna ripartire da zero. La città è in movimento positivo e negativo. Non c’è una linea netta in quel che ci accade attorno. Il ventesimo secolo è finito e ha portato per sempre con sé l’idea di crescita e di decrescita lineare. La nostra era digitale, invece, procede per movimenti sussultori e circolari, non è detto che si vada avanti o indietro, si esprime sottoforma di caos organizzato. Paradossalmente, nel caos, Napoli e i napoletani hanno carte da spendere migliori rispetto a quelle di tanti altri.
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