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È un Napoli da record. Che, continuando a fare il Napoli, può ancora migliorare

Mai 71 punti in 33 giornate. Senza Higuain. E senza essere la Juventus che ha un’altra struttura di gioco e di giocatori. Ci sono dettagli da limare, uno è Reina. Ma è un rebus non facile da risolvere

È un Napoli da record. Che, continuando a fare il Napoli, può ancora migliorare

Il record di punti in 33 giornate

La notte porta consiglio. Due, tre notti ancor di più. Ed è così possibile, con la forza della lucidità e di un’analisi dettata dal guardare e riguardare le fasi salienti di Sassuolo-Napoli, di quella maledizione neroverde che la truppa di Sarri non riesce a scrollarsi di dosso neppure ad un girone di distanza, riuscire nell’intento di focalizzare ciò che la partita di domenica ci ha detto (davvero) e ciò che invece, secondo troppi, avrebbe detto o confermato.

Iniziamo da qui. Dalle tiritere che fanno da controcanto ad ogni mezzo passo falso del Napoli stagionale, che con il pareggio di domenica ha stabilito il record assoluto di punti in 33 giornate in massima serie: dite 71, gente. Quel numero che ancora i tifosi associano al fantasma in bianconero, senza di cui avremo tutti dovuto assistere all’inizio della fine di quello che in troppi auspicavano essere il grande bluff sarriano: “No Higuain, no party!”. Bugia. Sancita dai fatti e da quel punto in più con annessa idrovora energetica della Champions a far da distrattrice. Da numeri freddi e aridi che collocano il Napoli versione 2016/2017 – per il momento – al vertice della sua ultranovantennale storia.

Con Sarri e con Giuntoli. Con il “sopravvalutato” (cit.) Insigne (e menomale – nota mia – che il tifoso-hater è tale e basta) e con Mertens spostato al centro. Senza Lui con la maiuscola, senza Ferlaino a consegnare buste in Lega fuori tempo massimo, senza Allodi e senza il fin troppo ammirato Luciano Moggi. E senza neppure lui, con la minuscola, senza il quale non si sarebbe più segnato. Non vincerà “tituli”. Vero. Ma poco è possibile fare se il competitor batte ogni record ed ha assurto meritatamente a squadra e società di vertice internazionale.

“Fare come la Juventus”

Ed ecco, quindi, che il tifoso assetato dei famosi “tituli”, accompagnato dall’opinionista da pagina 202-203 del Televideo, propone la sua soluzione tattica. Indefettibile. Fare come loro. Fare come la Juventus. Assurgere a tipologia standard e di principio tattico lo stare in campo dei bianconeri. Che vincerebbero perché giocherebbero male o, addolcendo la cosa, concedendo poco all’estetica e molto alla concretezza. Inutile sottolineare nuovamente quanto il modello-Juve sia del tutto inapplicabile a questo Napoli, sia per caratteristiche tecniche degli interpreti, in grado per loro natura di farsi attaccare senza soffrire per poi ripartire sfruttando forza fisica e spazi concessi dagli avversari, ingolositi dai continui inviti al pressing operati dagli uomini di Allegri, sia per quello stare in campo che solo l’aver calcato palcoscenici internazionali di massimo livello può dare.

Qualche dato sulle presenze in Champions

Basti pensare che la Juve di quest’anno, che non ha concesso neppure un gol al Barcellona da 94 reti (per il momento), in campionato annovera tra le proprie fila due tra i primi trenta calciatori nella storia della Champions, in quanto a presenze: Buffon (113) e Dani Alves (100). Per tacere di quelle del resto dell’organico. Se sommiamo le presenze in Champions dei calciatori che compongono l’undici titolare del Napoli, prima dell’inizio della stagione attuale a quanto arriviamo? Reina a parte, non arriviamo neppure a 30. Ed il calcolo lo si può fare a mente, senza neppure spulciare Wikipedia. E tutto ciò non lo si può comprare e né lo può dare un tecnico.

Il Napoli ha il suo modello di gioco

Ma lo si può acquisire costruendo. Rafforzandosi ai vertici, puntando a prendere parte sistematicamente alla Champions sapendo che, per brand e per appeal, il Napoli paga ancora tanto dazio alla Roma e in primo luogo alle milanesi, che pure guardano la targa da anni. Lo si può fare elaborando un proprio modello tecnico, con campioni da far diventare campioni esperti e adatti a conquistare i tanto cari tituli. E farlo necessariamente attraverso il gioco. Attraverso una proposta tattica che ha portato al record di punti battuto e ribattuto e a pareggiare la prima trasferta del girone di ritorno quando le rose di maggio sono già in fiore. Un modello che è del Napoli perché il Napoli può fare questo calcio e non altri. Così come la Juve può fare il suo calcio e non quello del Napoli. Perché, semplicemente, ha altre caratteristiche.

La presunta fragilità difensiva

Ed è, alla luce di questo, difficile da condividere la tesi della presunta fragilità difensiva del Napoli. Che non concede gli stessi tiri in porta e gli stessi gol della Juventus ma è pur sempre la terza del campionato per gol subiti, cosa che sembra sin troppo sfuggire. Una difesa che – aspetto più importante che fatica ad essere compreso – è la base di quel meccanismo perfetto unanimemente ammirato: se quando, infatti, parte il pressing ultraoffensivo chiamato dall’interno di centrocampo di turno o dal centravanti la linea difensiva non accompagna la copertura della palla – qualità non semplice da rinvenire in dei centrali difensivi – tutto il lavoro di pressione sarebbe inutile poiché, se il pressing viene saltato, si crea un buco tra difesa e centrocampo che costringerebbe gli intermedi a “scappare” in aiuto, con conseguente netto dispendio di energie e quindi sovraccaricati, e gli attaccanti isolati di fatto dal gioco, salvo dover rinculare abbassando il baricentro.

Bonucci e Chiellini non cambierebbero la nostra difesa

Se si osserva qualsiasi partita del Napoli, si noterà che la fase difensiva è assolutamente efficace proprio perché organizzata in modo tale da consentire l’immediato recupero della palla nella zona nevralgica del campo, come da dna azzurro. Soffre di più il Napoli quando è costretto a stare basso o, peggio, decide di abbassarsi. Ma qui la scelta della strategia difensiva c’entra pochissimo ed è un discorso riconducibile alle caratteristiche degli interpreti. Albiol e Koulibaly soffrivano e tanto la struttura difensiva posizionale predisposta da Benitez, in modo pressoché analogo a come hanno sofferto i tre dietro del Barça a Torino contro la Juve, senza filtro e costretti ad un lavoro di mera copertura preventiva che spesso e volentieri gli esponeva ai 3v3 avversari. Invece, la stessa coppia centrale risulta esaltata dal tipo di gioco di Sarri. Provate a trasferire Bonucci e Chiellini, due che amano farsi “attaccare”, in questo sistema tattico. Statene certi: non sarebbe tutto rose e fiori.

Reina

Eppure la percezione di una fase difensiva fragile è lungi dall’essere offuscata. E quel rapporto molto alto tra gol e tiri subiti sposta il mirino su Pepe Reina. Ed è qui che occorre, in sede di mercato operare una seria riflessione che coinvolga tutto lo staff tecnico e societario. Lo spagnolo ha 35 anni da compiere dodici giorni dopo chi scrive ed è indiscutibilmente un leader carismatico, uno dei simboli di questo Napoli, in campo e fuori. Ed ha disputato un primo tempo contro il Sassuolo di spessore notevole: grazie alla sensibilità nei tempi di lettura delle uscite ha neutralizzato la scelta di Di Francesco di mantenere alto un esterno da lato debole (a turno Ragusa e Berardi) per sfruttare le rare occasioni di riconquista palla quando la linea difensiva azzurra era praticamente a centrocampo accompagnando una pressione costante e continua.

Reina non solo ha neutralizzato tre potenziali pericoli da ribaltamento azione, ma ha anche consentito due immediate transizioni positive, sugli sviluppi di una delle quali Hamsik non ha sfruttato una favorevole occasione. Fin qui la delizia, che in pochi notano. Nella ripresa la croce, che notano in tanti. Specie sul secondo gol, l’estremo difensore azzurro avrebbe potuto fare decisamente meglio, sia sulla respinta sul colpo di testa di Cannavaro, apparsa scenica e debole, sia sulla conseguente conclusione di Mazzitelli, non certo irresistibile. Per un film già visto.

E Szczesny

Proprio per questo, Reina deve essere oggetto di un’analisi costi-benefici. Da un suo avvicendamento con Szesczny – un portiere che dà tantissimo tra i pali e meno nell’apporto alla manovra, anche come punto di partenza dell’impostazione, il Napoli ne guadagnerebbe o no? Ed è da questa risposta, che tutti sono chiamati a dare, che può dipendere molto del futuro prossimo. Anche perché con la presenza di un portiere differente – e Sarri lo sa – qualcosa nei famosi “dettagli” dovrebbe necessariamente cambiare.

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