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La Young Top 11 del campionato olandese – L’erede di Milik e gli altri talenti di un calcio in crisi

SCOUTING NAPOLISTA – Una selezione di giovani di un campionato in difficoltà eppure sempre pieno di promesse seguite dai top club: da Karsdorp a Dolberg

La Young Top 11 del campionato olandese – L’erede di Milik e gli altri talenti di un calcio in crisi

La crisi del movimento olandese e dell’Eredivisie

Se Amsterdam piange, Bruxelles (ogni tanto) se la ride, chioserebbe sardonicamente un redivivo Aristodemo montiano. Il workshop/provocazione Belgische Supporter Worden, un invito lanciato sui social network da alcuni tifosi delusi affinché si sostenessero i Diavoli Rossi durante gli ultimi Europei in terra transalpina per rielaborare il lutto della mancata qualificazione Oranje, a prescindere dal retrogusto di boutade chiarisce meglio di qualsiasi analisi sociologica la frustrazione patita da un movimento in crisi, che sembra quasi procedere in direzione ostinata e contraria rispetto alle lungimiranti politiche gestionali approntate dai vicini.

Il crollo verticale dell’Eredivisie, precipitata al tredicesimo posto del ranking continentale 2017 e sopravanzata finanche dalla Süper Lig turca nella proiezione inerente alla stagione successiva, fornisce dati inequivocabili sul graduale decadimento della massima divisione olandese; era da trent’anni, infatti, che il torneo autoctono riusciva quantomeno a mantenere la propria posizione all’interno della top ten a seguito dei peggiori piazzamenti di sempre (diciannovesimo nel 1986 e quindicesimo nel 1987), sulla falsariga del cambio di marcia innestato dalle epiche pagine scritte da Johan Cruijff, Guus Hiddink e Louis van Gaal a cavallo tra il volgere al termine degli Ottanta ed il primo lustro dei Novanta (sei allori internazionali conquistati, per tacer delle finali sfumate al cospetto di Porto, Malines, Nacional Montevideo e Juventus).

Che fine ha fatto l’Arancia Meccanica?

Sicuramente la stretta imposta sui bilanci dei club professionistici dalla Federazione nel 2010 ha contribuito alla progressiva perdita di competitività del mercato interno, giacché i rigidi tetti salariali impediscono di trattenere i giovani promettenti, creando un danno tanto alle squadre quanto al potenziale di calciatori che affrettano il proprio percorso di crescita individuale per privilegiare l’aspetto economico immediato, a discapito di una maturazione non ancora completata (chi ha detto Jordy Clasie e Memphis Depay?), ma l’aspetto che preoccupa maggiormente gli osservatori è l’anacronistica resistenza al cambiamento di una scuola che ha rappresentato in passato un laboratorio tattico all’avanguardia, precursore ed al contempo ispiratore delle innovazioni più brillanti ammirate nel calcio moderno.

Non è un caso che gli unici risultati degni di nota raggiunti dalla Nazionale, nella fattispecie il doppio podio consecutivo (e fortunoso, va detto) che ha concluso le campagne Mondiali sia in Sudafrica che in Brasile, siano stati colti dagli stessi allenatori capaci di vincere le ultime coppe europee targate Netherlands, e soprattutto resi possibili dall’abiura dei dogmi strategici peculiari a quelle latitudini, in primis l’ossessione per il possesso palla ed il 4-3-3 come marchio di fabbrica imprescindibile.

Gli esteti hanno storto il naso

Gli esteti hanno (giustamente) storto il naso, sconcertati dalla presenza di due waterdrager intimidatori nel settore nevralgico del rettangolo verde (i famigerati de Jong e van Bommel) imposti da Bert van Marwijk o la retroguardia a cinque mascherata con cui il succitato “santone del collettivo” ha abusato in contropiede delle praterie iberiche, ma è innegabile che oggi ci si ritrovi impantanati a metà del guado in quella necessaria ricerca di una terza via tra un pragmatismo esasperato, seppur foriero di episodiche soddisfazioni, e le stantie elucubrazioni sul total voetbal che incantò il mondo, impossibile però da resuscitare con indegni scimmiottamenti teorici; d’altronde, le carte d’identità di Robben, Sneijder e Van Persie parlano chiaro, e non ci saranno sempre la sciagura nomata Felipe Melo o un esausto Rafa Márquez a premiarti ben oltre i tuoi meriti…

Attestato il livellamento verso il basso della qualità complessiva degli interpreti, entro i confini dei Paesi Bassi si continua a perseguire in larga misura un’utopica proposta di gioco inattuale nell’epoca del gegenpressing, contraddistinta da un abbozzo atrofizzato di calcio posizionale a ritmo ridotto e senza sbocchi, dove aggredire gli spazi in profondità sembra quasi sacrilego ed in cui l’unico scopo diventa la tessitura di una sterile, onanistica ragnatela di passaggi orizzontali nelle zone meno pericolose del campo; eccettuati taluni sprazzi nelle idee applicate da John van den Brom o John Stegeman, o le variazioni sul tema del rombo sperimentate con sagacia da Erik ten Hag, tuttora si fatica ad intravedere segnali stimolanti in ottica futura.

Un De Klassieker lungo nove mesi

Per fortuna restano i talenti, seppur tecnicamente inferiori alle generazioni che hanno nobilitato in precedenza un bacino contestuale giocoforza limitato (mai dimenticare che si sta parlando di una realtà territoriale di sedici milioni di abitanti); mentre il Feyenoord raccoglie i frutti di un lavoro certosino, gratificato da un filotto di ben cinque Rinus Michels Award (un riconoscimento assegnato al miglior settore giovanile nazionale: basti pensare al modo in cui Albert Stuivenberg attinse a piene mani dai virgulti di Rotterdam nel biennio 2011-2012, consentendo a Tonny Vilhena di vincere due Europei Under 17, un’impresa riuscita solo al portoghese Hugo Leal), e dimostrandosi finalmente all’altezza di aggiudicarsi uno Schaal che manca in bacheca dal 1999, è doveroso salutare con speranza il ritorno a discreti fasti del De Toekomst, quel vivaio dell’Ajax apparentemente inariditosi nelle secche dell’improduttività.

Al monitoraggio del panorama straniero, che ha consentito ai dirigenti di scovare Onana, Davinson Sánchez, Mateo Cassierra, David Neres, Amin Younes, Václav Černý ed il richiestissimo Dolberg nel consueto setacciamento transcontinentale, si sta affiancando il virtuoso scalpitio di prodotti coltivati nella propria fucina come il terzetto del 1997 Donny van de Beek, Abdelhak Nouri e Frenkie de Jong, il classe ’98 Deyovaisio Zeefuik o i ‘99 Matthijs de Ligt ed il funambolico figlio d’arte Justin Kluivert.

Trascinati dalla leadership silenziosa ma tremendamente efficace di Davy Klaassen, e dalle perle annidate nel sinistro fatato del marocchino Hakim Ziyech, i Lancieri di Peter Bosz hanno riaperto una lotta per il titolo che sembrava ormai archiviata alla vigilia dello scontro diretto vinto il 2 aprile in casa (2-1), candidandosi inoltre con spregiudicata autorevolezza al raggiungimento di una semifinale nelle coppe europee mai più assaporata negli ultimi diciott’anni, dopo aver dominato per larghi tratti la partita d’andata con lo Schalke 04 (2-0 il responso).

Prestazione da favola

In attesa di scoprire chi si aggiudicherà l’avvincente testa a testa per detronizzare il PSV Eindhoven di Phillip Cocu (verosimilmente tagliato fuori, tenuto in corsa solo dalla matematica), vi proponiamo una Top 11 dei giovani talenti che si sono distinti in questo campionato (modulo 4-3-1-2):

portiere: André Onana (Ajax) – 1996

La mancanza di alternative credibili, con tutto il rispetto per i mediocri Mickey van der Hart (1994, Zwolle) e Joël Drommel (1996, inviato a farsi le ossa in Tweede Divisie dal Twente), è emblematica di un ricambio generazionale che procede complessivamente a rilento, costringendoci a proporre tra i pali lo stile rivedibile di un estremo difensore che spesso sembra maggiormente concentrato ad impressionare i fotografi con voli plastici un po’ forzati, ma tutto sommato efficaci, e che paga il difetto comune di molti omologhi moderni, ossia l’eccessiva confidenza nel gioco con i piedi (esiziale lo svarione costato due punti a Groningen). L’elastica esplosività nei tempi di reazione, al pari degli spostamenti repentini ed un apprezzabile coraggio nelle uscite basse, sono i fiori all’occhiello di questo prodotto della Fundación Samuel Eto’o, sbarcato in Europa da Nkol Ngok sette anni orsono e strappato a La Masia catalana nel gennaio 2015.

Non è stato affatto agevole ricevere l’eredità di Jasper Cillessen, trasferitosi proprio a Barcellona all’indomani dell’inopinata eliminazione nei preliminari di Champions League (clamoroso 1-4 rimediato a Rostov, in Russia), eppure il camerunense si è guadagnato via via la fiducia dei compagni, reggendo con la sfrontatezza tipica della verde età le pressioni di una piazza esigente e rendendo inutile la presenza in rosa del più esperto Tim Krul, costretto in inverno a cercar spazio ad Alkmaar.

Anatomia di un giovane portiere

Il retaggio della papera con cui ha bagnato il proprio esordio in Eredivisie, spianando la strada all’impresa corsara del Willem II (20 agosto, 1-2 all’Amsterdam ArenA), è presto sbiadito alla luce del rigore neutralizzato a Leon de Kogel otto giorni più tardi, che ha messo in cassaforte il risultato a Deventer (3-0) ed inaugurato un bottino di ben quattordici clean sheet stagionali su ventotto apparizioni, sostanzialmente il 50% delle partite disputate sino ad oggi nella massima divisione nazionale.

terzino destro: Rick Karsdorp (Feyenoord) – 1995

Basterebbe sottolineare le ambasce paventate domenica scorsa dai rispettivi rincalzi Bart Nieuwkoop (1996) e soprattutto Miquel Nelom al MAC PARK Stadion di Zwolle (2-2 il risultato al triplice fischio arbitrale) per intuire l’importanza del martello di Schoonhoven e di Terence Kongolo (1994) negli accorti meccanismi di coach Giovanni van Bronckhorst; mentre il secondo è incaricato di coprire con prudenza sul lato opposto le iniziative di Eljero Elia, stringendo spesso e volentieri verso il centro per coadiuvare gli stopper Botteghin e van der Heijden, Rick ha insindacabile licenza di arare la fascia con la peculiare falcata, ampia e poderosa, che gli permette di assurgere al ruolo di ala destra de facto in aggiunta a Steven Berghuis e di predisporsi alla rifinitura con traversoni tagliati e precisi, figli di un passato da centrocampista.

La ventina di assist vincenti disseminati nel suo triennio da professionista (cominciato nell’agosto 2014, beneficiando della fiducia di Fred Rutten), insieme alla prima firma individuale sul tabellino dei marcatori apposta in occasione del pareggio casalingo con l’Heerenveen (2-2, una lesta ribattuta sul penalty sbagliato da Dirk Kuyt), non devono però condurre a sminuirne i progressi evidenziati in fase passiva (c’è ancora parecchio da limare ça va sans dire, specie sulle scalate) ed in particolar modo nell’occupazione più frequente delle zone interne, ampliandone l’influenza nella manovra grazie anche alla capacità di parteciparvi con pochi tocchi.

difensore centrale: Jeremiah Israël St. Juste (Heerenveen) – 1996

La ridotta stazza fisica (185 x 71) continua a rappresentare un handicap per la delicata posizione ricoperta, al pari delle aspettative di chi in Frisia si era lasciato andare a facili entusiasmi sul suo conto, azzardando scomodi e oggettivamente sproporzionati paragoni con Frank Rijkaard, allorquando ancor undicenne fu scovato nel SV Marum (2007), club amatoriale gravitante nell’orbita degli storici rivali del Groningen. Cionondimeno, negli ultimi mesi lo spavaldo Jerry si è ripreso il proprio posto nel cuore della retroguardia Superfriezen, scrollandosi di dosso le scorie di un’annata negativa e dell’incubo ad occhi aperti vissuto al cospetto del Feyenoord il 18 ottobre 2015; a seguito di quell’umiliante sconfitta (2-5), infatti, il suo mentore Dwight Lodeweges si era dimesso, mentre il successore Foppe de Haan aveva deciso di reimpostarlo da metodista qualche metro più avanti per accantonare lo spaesato Branco van den Boomen.

In realtà, tra le righe della mini-rivoluzione tattica si annidava anche una parziale bocciatura delle sue abilità da difensore pulito nei tackle in recupero ma lezioso e soggetto ad ondivaghe amnesie, dovute principalmente alla superficialità nelle letture preventive in marcatura ed alla ricerca esasperata dell’anticipo a tutti i costi. Il nuovo corso inaugurato da Jurgen Streppel gli ha così restituito la prediletta casella di sweeper, incaricato di avviare l’azione dalle retrovie, per quanto resti da correggere l’incoscienza che lo istiga troppo spesso ad abbandonare la propria zona di competenza con uscite palla al piede eleganti (vedasi lo splendido coast to coast che ha chiuso la pratica Heracles in ottobre) ma eccessivamente pericolose.

difensore centrale: Rick van Drongelen (Sparta Rotterdam) – 1998

Discorso diametralmente opposto a quello pocanzi concluso; se i vezzi di una vaga ricercatezza estetica talvolta tendono ad inficiare il rendimento del raffinato St. Juste, il rude vigore nei contrasti ed una gamma di fondamentali tecnici piuttosto rozzi costituiscono i limiti precipui di questo marcatore mancino tignoso e volitivo, già piuttosto smaliziato in rapporto alla scarsa esperienza in curriculum.

Non a caso, è il capitano della selezione Under 19 di Maarten Stekelenburg che si presenterà ai nastri di partenza degli Europei di categoria (2-15 luglio in Georgia) da miglior difesa del lotto, siccome soltanto il rumeno Adrian Petre è riuscito a scalfirne gli equilibri nei sei impegni di qualificazione disputati. Stanato in Zelanda (FC Axel) ancor quattordicenne, Rick è stato lanciato nella formazione-tipo biancorossa agli albori del girone di ritorno che ha legittimato la trionfale promozione dei Kasteelheren nel 2015/2016, allorquando Alex Pastoor ha scommesso sul pragmatismo di un ragazzo che non dimostra alcuna remora nel ricorrere alle maniere spicce nel corpo a corpo, ove opportuno, e rifugiarsi finanche nel rinvio a campanile per sbrogliare le matasse più intricate a ridosso dell’area piccola.

Ad ogni modo, sarebbe d’uopo accantonare la saltuaria idea di dirottarlo sugli esterni in ottica conservatrice, vieppiù in rapporto alle titubanze nei derby autunnali con Excelsior (2-3) e Feyenoord (1-6) e l’incapacità di accompagnare lo sviluppo dell’azione dalle retrovie.

terzino sinistro: Django Warmerdam (PEC Zwolle) – 1995

La polivalenza è uno dei tratti distintivi della politica formativa perseguita nelle strutture giovanili ajacidi, laddove l’assimilazione di concetti utili a svolgere varie mansioni sul rettangolo verde spesso si rivela essere il segreto principale per il consolidamento a livello professionistico. Una lezione rimandata a memoria persino dal vulcanico Ron Jans, il quale nel tentativo di arginare una preoccupante emorragia di risultati scaturita in un pessimo bimestre (due miseri punticini ottenuti nei sette impegni in calendario tra il 5 novembre ed il 15 gennaio) ha deciso di riproporre l’esperimento già avviato da Andries Ulderink e Jaap Stam nello Jong Ajax in Eerste Divisie, riconvertendo il mediano di Voorhout in laterale di spinta sull’out mancino per accantonare il balbettante Calvin Verdonk (1997), disastroso contro il Groningen (pesante 0-4 casalingo alla quattordicesima giornata).

Tale avvedutezza decisionale sta pagando discreti dividendi in questa seconda parte del campionato, giacché il numero ventuno si sta disimpegnando egregiamente soprattutto nelle sovrapposizioni, al netto di un’indole che tuttora lo induce a convergere troppo verso il centro piuttosto che ricercare la via del cross; valga come esempio la sgroppata indisturbata con cui ha perfezionato il ribaltamento di fronte dei Blauwvingers, per raccogliere l’invito di Mustafa Saymak e regalare un’indispensabile vittoria in quel di Deventer (3-1 sul Go Ahead Eagles, 19 marzo).

centromediano: Joey Pelupessy (Heracles Almelo) – 1993

Ci permettiamo una piccola “forzatura anagrafica” rispetto all’intento primigenio di limitarsi agli Under 23, sperando non ce ne voglia il rozzo atletismo del frangiflutti Derrick Luckassen (1995, AZ Alkmaar) o il playmaking essenziale ed un filo troppo scolastico garantito dal coetaneo Jorrit Hendrix (PSV Eindhoven), ma sarebbe un peccato continuare a sottovalutare tale figura di direttore d’orchestra oscuro dalle origini molucche, la cui chirurgica precisione nei passaggi (la migliore tra tutti i centrocampisti militanti nel Regno, sul mero piano statistico) è inversamente proporzionale alla fama goduta entro i confini patri.

Top

La scarsa considerazione mediatica è dovuta in prima istanza al disciplinato espletamento delle proprie funzioni di organizzatore bloccato sulla prediletta mattonella di vertice basso, incaricato di sovrintendere allo sviluppo del palleggio di uscita dal pacchetto arretrato Heraclieden, un lavoro ragionevolmente corroborato da lanci millimetrici atti a ribaltare il fronte di gioco a seconda delle esigenze contingenti, consentendo così a capitan Thomas Bruns di proiettarsi sul lato debole avversario per foraggiare il tridente istituito da John Stegeman. Senz’altro un maggior coinvolgimento negli scambi offensivi lo aiuterebbe a guadagnarsi gli onori della cronaca, magari sfruttando le rasoiate dalla distanza con cui talvolta attenta al bersaglio grosso.

mezzala destra: Lewis Renard Baker (Vitesse) – 1995

Un esercito di trentasette tesserati sparsi in dieci differenti Paesi del globo, in un’immaginaria mappa che parte dalla Valle del Cauca, nella costa pacifica della Colombia centro-occidentale, per arrivare sino all’affaccio sul Mar Mediterraneo della Turchia meridionale: suscita meraviglia snocciolare il rendiconto dei calciatori di proprietà del Chelsea costretti a ricercare altrove una ribalta, nell’attesa (o illusione?) di poter strappare un’effettiva chance allo Stamford Bridge in quell’ipotetico avvenire che appare ogni giorno più lontano.

Probabilmente l’esiguo apporto dinamico, la pigrizia in fase di non possesso e l’ingenuo dispendio di risorse atletiche nell’arco dei novanta minuti non aiuteranno il box to box di Luton ad avanzare la propria candidatura per una maglia nel roster dei Blues, eppure la sua capacità di coordinarsi (da fermo o in corsa) e di calciare indifferentemente con entrambi i piedi botte al fulmicotone potrebbero renderlo un’arma preziosa persino in Premier League, e non solo sulle situazioni di palla inattiva.

I ventidue mesi ormai trascorsi ad Arnhem ne stanno affinando la predisposizione a lasciarsi coinvolgere con maggior continuità nelle pieghe del match, sollecitato dall’intesa naturale sul medesimo versante d’azione con l’assist-man kosovaro Milot Rashica (1996); saranno proprio i loro scambi lungo la catena destra a costituire le fondamenta su cui Henk Fraser proverà ad edificare il monumento del primo storico trofeo nel palmarès giallonero, preparando la finalissima di KNVB Beker al De Kuip contro l’AZ Alkmaar (30 aprile).

mezzala sinistra: Yassin Ayoub (Utrecht) – 1994

Un beffardo destino continua a relegarne in una sorta di cono d’ombra silente lo standard prestazionale che ha pochi eguali tra i pari ruolo, in combutta con una certa dose di sfortuna che si diverte ad accanirsi sulla sua voglia di emergere, ignorando l’importanza capitale dei compiti da equilibratore svolti sin dalle esaltanti avventure con l’Olanda Under 17 nel 2011. Nato ad Al Hoceima e trasferitosi da bambino insieme alla famiglia nei dintorni di Amsterdam, ha forgiato il proprio carattere di instancabile combattente fronteggiando un mix di avversità e scetticismo.

Scartato dall’Ajax nel 2008 a causa di alcune intemperanze comportamentali, tre anni dopo gli organi federali decisero di frenarne in via precauzionale il cammino intrapreso ad Utrecht, spaventati dalla lieve forma di aritmia cardiaca riscontrata in alcuni test medici sostenuti nella preparazione agli entusiasmanti Europei in Serbia, laddove il suo raziocinio in ambo le fasi permise ai più celebrati Depay, Vilhena, Ebecilio, Achahbar e Willems di esaltarsi in una macchina a trazione anteriore che sbaragliò la concorrenza.

Normolineo tonico e compatto (175 x 70), insieme al solido centravanti Sébastien Haller (1994) costituisce la pietra angolare dello scacchiere biancorosso per quanto concerne le giuste distanze da mantenere in campo, sopperendo alle cessioni eccellenti di Timo Letschert e Bart Ramselaar (PSV, 1996): mentre il francese con la sua fisicità offre ai compagni un punto di riferimento avanzato attorno a cui muoversi in sincronia, favorendo così il recente inserimento di Gyrano Kerk (1995) nelle rotazioni dei titolari, il satanasso dai natali marocchini determina con aggressività non comune l’altezza delle linee di pressione sul portatore di palla avversario, riuscendo a vivacizzare le ripartenze con un sinistro piuttosto geometrico e proponendosi in prima persona nelle triangolazioni veloci.

trequartista: Gastón Rodrigo Pereiro López (PSV Eindhoven) – 1995

Bagnare il debutto da titolare sul terreno della rivale di sempre con una doppietta da applausi, chiarificando le gerarchie in classifica sin dall’ottava giornata di campionato (4 ottobre 2015, 2-1 sull’Ajax), aveva fornito già un chiaro indizio sulla bontà dell’investimento sostenuto dai Boeren, perspicaci nel versare l’esigua somma di sette milioni di euro nelle casse del Nacional Montevideo per bruciare sul tempo una nutrita pletora di pretendenti ed aggiudicarsi la pepita più rilucente nello scrigno uruguagio, contemplata nell’inverno precedente durante il Sudamericano Sub-20.

Ma la conferma sul piano realizzativo, con la doppia cifra raggiunta nuovamente in stagione ed un’integrazione ormai completata con i ritmi del calcio europeo, ha fugato i dubbi residui sul valore di questo jolly d’attacco, autentico spauracchio per i Lancieri se pensiamo allo splendida rifinitura in lob morbido con cui ha permesso a Siem de Jong di strappare un insperato pareggio esterno lo scorso dicembre (1-1).

Pur prediligendo svariare lungo tutto il fronte offensivo senza occupare una posizione definita per lasciarsi guidare dall’istinto, in memoria dei trascorsi da elemento di raccordo ibrido tra la seconda punta ed il fantasista tradizionale, adesso può essere ritenuto un profilo da visionare con attenzione per chi voglia scommettere su un’ala destra sui generis perfetta in un tridente, letale quando parte defilato per accentrarsi sul piede forte (il sinistro) e mirare all’angolino lontano dello specchio di porta, fatta la tara dell’abulica ritrosia sugli aiuti al fluidificante che opera alle proprie spalle ed un bagaglio ipotetico colpevolmente inespresso (se non a tratti, vedasi l’impegno di coppa con il Roda a settembre) nel gioco aereo, dal momento che avrebbe sufficienti argomentazioni da esibire a riguardo, ben sintetizzate dai centottantotto centimetri d’altezza precocemente sviluppati.

attaccante: Enes Ünal (Twente) – 1997

Se non sorprende particolarmente imbattersi nei nomi del possente centravanti di manovra danese Nicolai Jørgensen, una delle migliori mosse azzeccate dal Feyenoord nelle recenti contraddittorie sessioni di mercato, o degli scafati Ricky van Wolfswinkel e Reza Ghoochannejhad, scorrendo la lista dei top-scorers stagionali potrebbe suscitare un certo clamore quello di tale stiloso prototipo di finalizzatore, nelle cui movenze felpate sembra talvolta di rivedere le estemporanee bizze iridescenti del connazionale İlhan Mansız.

Eppure trovare la via del gol non è mai stato un problema per il talentino di Osmangazi, specie quando messo nelle condizioni di non agire spalle alla porta da punta statica, costretta a farsi rispettare nelle sponde e catalizzare i traversoni provenienti dalle retrovie, un utilizzo reso vano dall’inadatto tempismo negli stacchi da terra per colpire di testa, evidente lacuna che si porta dietro sin dagli esordi in Süper Lig con il Bursaspor e che gli impedisce di imprimere la potenza necessaria nell’impatto con la sfera.

Sul resto del repertorio, invece, si registrano i progressi esponenziali già intravisti nello scorcio di Eerste Divisie trascorso a Breda tra febbraio e giugno 2016, e che dovrebbero suggerire al Manchester City (società proprietaria del cartellino) di valutare la possibilità di uno step di crescita più probante: fluidità negli incroci di galleggiamento attorno alla linea del fuorigioco, gran perizia nella ricezione sul primo controllo, opportunismo al punto giusto sui palloni vaganti (finanche in acrobazia) e naturale inclinazione a crearsi da solo le opportunità di andare in rete tanto dalla media quanto dalla lunga distanza, con un tiro secco e ben calibrato (chiedere informazioni agli estremi difensori di Telstar, Groningen, Willem II o Ado Den Haag, impallinato democraticamente al De Grolsch Veste su velenosa punizione diretta così come al Kyocera Stadion sul suggerimento in percussione di Mokotjo) praticamente con ambo gli arti inferiori.

attaccante: Kasper Dolberg Rasmussen (Ajax) – 1997

Ricciolo a venire incontro sulla lenta discesa di Nick Viergever, scarico immediato su Jairo Riedewald per girarsi in una frazione di secondo e ricevere nuovamente il pallone, domato con interno destro orientato prima di mandarlo ad insaccarsi nell’angolino basso dai trenta metri con atarassica nonchalance; sono bastati cinquantotto giri di lancette a far crollare l’arroccamento del PAOK Salonicco nel terzo turno preliminare di Champions League (1-1, 26 luglio), ma soprattutto per comprendere che il sostituto ideale di Arkadiusz Milik fosse già stato individuato da quel rabdomante di gemme scandinave chiamato John Steen Olsen, lesto nel segnalare due anni orsono tale diamante grezzo nascosto nell’ungdomshold del Silkeborg. Si tratta di Kasper Dolberg, giovane centravanti danese dell’Ajax. Il Napolista l’ha già presentato qui.

Kasper Dolberg compilation

Le sontuose realizzazioni multiple ai danni di Roda, Zwolle e NEC Nijmegen (da antologia l’uno-due rapido made in Denmark improvvisato con Lasse Schøne per sbloccare il punteggio sui rossoneroverdi, impreziosito da un regale addomesticamento della sfera con il petto e la coscia per poi scagliare un bolide imprendibile sotto la traversa) sciorinate nel prosieguo del tragitto annuale hanno solo ribadito la sensazione di essersi imbattuti in un progetto di campione, con margini di miglioramento ancora da disvelare.

La pulizia del gesto tecnico, le doti coordinative per nulla ostacolate dalle lunghe leve, la facilità disarmante nello stoppare qualsiasi tipo di appoggio ed andar via nello stretto per eludere l’anticipo del marcatore diretto con inoppugnabile sensibilità di tocco appartengono ad una categoria superiore, sebbene l’eccessiva sicumera in tali risorse talvolta lo induca ad estraniarsi in vicoli ciechi solipsistici di immane difficoltà esecutiva, gli stessi colpi ad effetto gratuiti che nello Jong Ajax sconfinavano sovente nella pretenziosa fumosità. Per giunta, tatticamente ha palesato un range di movimenti ridotto se raffrontato al predecessore polacco (con cui condivide lo scarso impiego del piede debole, seppur opposto), adempiendo alle consegne di Bosz che non prevedono si sfianchi invano per offrire ampiezza alle soluzioni di passaggio come ai tempi di Frank de Boer, ma piuttosto che si proponga maggiormente sull’asse verticale di centro.

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