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La Germania insegna che il modello Napoli è l’unico possibile

La didattica che viene dal sistema calcio più moderno ed efficiente ci dice che il Napoli profuma d’Europa, e di cose giuste. Nonostante la retorica della “non vittoria”.

La Germania insegna che il modello Napoli è l’unico possibile

Interagire con il contesto

Mi avete convinto. Non che prima non lo fossi, sia chiaro. È che ora avete rafforzato questa mia adesione, questa mia certezza rispetto al Napoli. Di Sarri, di De Laurentiis. Per molti sono due entità scisse, separate, da considerare al singolare. È vero, perché molto probabilmente – prima o dopo -, il secondo sopravvivrà al primo. Però ora – che è il luogo temporale che mi interessa, e di cui sto parlando – non c’è alternativa. E questi giorni – che sono quello che ho letto, quello che ho scritto – mi hanno convinto. È l’unica strada possibile. È quella buona, per interagire col contesto calcio.

Chi ha il fegato di seguire la mia piccola parabola nel mondo del commento calcistico, sa che può leggermi di tanto in tanto anche su Rivista Undici. In occasione del doppio Napoli-Juventus, ho avuto la possibilità di duettare/dialogare con un mio caro amico juventino (ma non amico di penna, no, nel senso vero del termine, che con lui vado a cena fuori, vinco a bowling e cose così) sul senso dei due progetti. Quello azzurro, quello bianconero. Lui, che è della Juventus, ha scritto così: «Si tratta di due percorsi diversi (perché diversi sono gli obiettivi nell’immediato) ma ugualmente efficaci e in controtendenza rispetto al “vivere alla giornata” così tipicamente e tristemente italiano». Parlava del Napoli (e della Juventus), lo ripeto. L’intero pezzo potete trovarlo qui.

Guardare fuori di sé

Mi avete convinto. Mi hanno convinto. Anche gli operatori di un altro calcio, così simile ma pure così diverso dal nostro. Quel calcio tedesco che vive da sempre nel monopolio di un club, e che con quel club non c’entra niente. In un altro pezzo di Rivista Undici, scritto da un grande esperto di calcio internazionale (Alec Cordolcini), c’è la spiegazione di una lontananza assoluta tra il modello Bundesliga e quello del Bayern Monaco: «Quello bavarese è il club meno indicato, quantomeno a partire dagli anni ’90, per indicare il livello e lo stato di salute del calcio teutonico, in quanto costituisce un modello a sé. Per contro il Borussia Dortmund è la società specchio non solo degli alti e bassi vissuti negli ultimi vent’anni, ma anche delle misure messe in pratica per riprogrammare l’intero sistema attraverso un massiccio upgrade di conoscenze tecniche, metodologiche e gestionali».

E poi tornare a guardare all’Italia

Se ci pensate, in queste parole c’è tutto quello che sono il Napoli e la Juventus, e c’è pure tutto quello che manca al Napoli per arrivare al Borussia Dortmund. Se la Juventus è ovviamente il Bayern, ovvero un club che vive dinamiche di strapotere economico/politico (dove per politico si intende di influenza a tutti i livelli, dai media ai palazzi del potere, soprattutto rispetto al Napoli) e quindi tecnico, il Napoli è un piccolo Borussia. La gestione dell’organico, con la rivoluzione dell’ultima estate, si è conformata a quella dei gialloneri.

È un tentativo unico in Italia, che Spalletti ha preso come esempio assoluto non più tardi di qualche giorno fa. Manca una base giovanile, ma gli investimenti per aumentare il valore della Primavera (Zerbin e Leandrinho in primis) sono confortanti in questo senso; manca la struttura comunicativa, quindi autonarrativa, e una gestione moderna del marketing, ma anche da questo punto di vista si registrano passi in avanti minimi ma significativi (leggere Roberto Flaminio, in questo senso, è illuminante).

Ci sarebbe la parte riferita alle strutture, proprio dal punto di vista edilizio, ma quello è un problema lungo e articolato e complesso. Più difficile mettersi in pari subito, ci vorrebbero un tempo lungo e un depotenziamento della squadra che non siamo e non saremmo disposti ad accettare (più). Il Napoli, da questo punto di vista, si è mosso tardi. Come tutti gli altri club italiani, del resto. Tranne la Juventus.

Rileggere Sacchi

Ma il punto resta il calcio. Il campo. Quello che ho scritto prima, l’inscindibilità (momentanea) tra De Laurentiis e Sarri, verte proprio su questa rivoluzione comune. Che profuma d’Europa, e non solo d’Italia ai massimi livelli. «Non ai livelli della vittoria», ho sentito dire in questi giorni. Se questo deve fermare il progetto, allora mi convincete ancor di più. Non fosse altro che per un semplice motivo di incongruenza storica: quale altro progetto, oltre a quello della Juventus, è stato vincente in Italia negli ultimi anni?

È un altro rimando alla Germania, un calcio che ha prodotto due soli club campioni in otto anni, con sei titoli al Bayern e due al Borussia Dortmund. Ma non un Borussia Dortmund “semplice”, bensì quello della rivoluzione di Jurgen Klopp, del Gegenpressing, una sorta di rovesciamento storico della tattica conosciuta fino all’altro ieri in Bundesliga. Oggi, quello è il riferimento. Un’utopia, come quella sarrista, premiata da una vittoria (breve, il tempo che il Bayern si riorganizzasse) e che comunque non ha mai smosso il mercato dal sell-to-buy.

Ci ha pensato Sacchi, stamattina, a corroborare tutti questi elementi che portano a una tesi. Quella dell’ex ct non è una difesa di posizione di Sarri, quanto una scrittura di coscienza storica. Un’arringa che individua il momento, e spiega che oggi non è possibile fare di più. Di più sarebbe vincere, ma con una Juve di mezzo non è possibile. E pensateci: tra il Napoli e i successi italiani, l’anno scorso e quest’anno, c’è stata solo la Juve. Il Real di Champions è la sottolineatura che serve.

La verità

Il Napolista ha il compito di analizzare e discutere ogni cosa intorno al Napoli. È nato per questo, viene letto per questo. Sarri e le sue parole, De Laurentiis e le sue uscite, i giocatori che vanno in campo e quelli che avremmo preso al posto di chi invece è arrivato. Tutto è opinabile, il calcio è bello per questo. Tutto può essere ritenuto giusto o sbagliato, tutto può portare a una provocazione. Però, come dire: c’è la certezza, da parte di tutti, e fodera ogni analisi, che il cammino intrapreso dal primo attimo del post-Higuain sia quello più giusto. Per il club e la sua dimensione, per il sistema calcio, per il contesto storico.

Il Napoli ha scelto di autodeterminarsi attraverso il campo e i giovani, Sarri è una parte importante di questo progetto e finora ha offerto al Napoli il meglio possibile in fatto di risultati – soprattutto in rapporto agli avvenimenti di queste due stagioni. Difficile controbattere all’assunto di verità di questa definizione, anche se ovviamente non può esserci oggettività.

Il vostro punto

Però, come dire: non si segnalano altre possibilità, altre strade, altri uomini in grado di rappresentarle. E la didattica che arriva da ciò che sta al di là del nostro contesto, conforta queste scelte. L’estero, quell’estero che bramiamo sempre, ci dice che si fa come il Napoli. Insistere, continuare così. Ancora, e riscriverlo pure anche se l’abbiamo fatto mille volte. Mi avete convinto, anche se poi vi arrabbiate “perché non si vince”. Non è quello il punto, ma quello è il vostro punto. Me l’ha spiegato mio padre, subito dopo Napoli-Juventus 3-2. “Tu smetti per un attimo di fare il giornalista, e pensa a un tifoso che voleva vincere la Coppa Italia”. Gli ho risposto che aveva ragione.

Poi ho scritto questo pezzo qui, quello che avete appena finito di leggere ora. Sentivo la necessità quasi fisica di farlo, e di utilizzare Zielinski come foto d’apertura. Sentivo che fosse il mio compito.

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