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Eusebio Di Francesco, umiltà e gioco in giacca e cravatta

Il laboratorio Sassuolo non è più una sorpresa. Di Francesco sembra pronto per lasciare la provincia e vincere in una grande metropolitana.

Eusebio Di Francesco, umiltà e gioco in giacca e cravatta

Sette vite

Mai in panchina senza occhiali e cravatta: «Gli occhiali li porto perché non vedo niente… Però si, mi piace rappresentare bene me stesso e la società. Non dico che uno in tuta non lo faccia, ma io mi sento più a mio agio così, con questo stile». Eusebio Luca Di Francesco cura l’essere ma non trascura l’apparire, e il suo Sassuolo in campo riesce a coniugare le due cose alla stessa maniera. Palla in verticale, scarico e attacco alla profondità. Guai a fare più di due passaggi in orizzontale. Questa la filosofia di calcio dell’allenatore abruzzese, basata sul collettivo e non sulle individualità.

Più che un uomo sembra un cubo di Rubik con sette vite di colore diverso su ognuna delle sue sei facce: cameriere a Sambuceto nell’attività di famiglia, calciatore professionista, team manager alla Roma, gestore stabilimento balneare a Pescara, direttore sportivo con la Val di Sangro, allenatore, e presidente di una onlus a Piacenza. Senza considerare quelle lasciate a metà di ragioniere e ciclista. Ha la terza media Eusebio, ed è forse l’unico suo rimpianto. Negli anni, da autodidatta però, ha alimentato la sua cultura leggendo molto. In campo invece ha studiato i “classici”: «Montefusco, Vitali, Cagni, Lippi, Scoglio, Orrico, Fascetti. Mi hanno insegnato il valore di tre principali fondamentali: sacrificio, corsa, compattezza del gruppo. (…) Ho citato tutti allenatori italiani. Ma per me un rifermento fondamentale è stato Zeman».

L’allievo e il maestro

«Negli anni con lui alla Roma mi ha insegnato la cultura del lavoro e la curiosità per lo sport. Potrei parlare per ore con lui senza annoiarmi». Il rapporto tra Zeman e Di Francesco é iniziato nel 1997, anno in cui erano alla Roma, e sembra destinato a durare in eterno. Fu proprio lui a trasformarlo da esterno a interno di centrocampo capace di sfruttare i movimenti a convergere di Totti. A domanda diretta: “Si definirebbe zemaniano?” risponde deciso: “sono difranceschiano”. Dal boemo – per sua stessa ammissione – ha rubato qualche idea in attacco, ma non è un tipo che scimmiotta: osserva, prende ispirazione ed arricchisce il suo 4-3-3, unico sistema di gioco anche in allenamento.

Non vuole vivere all’ombra di nessuno, preferisce stare al sole come quando gestiva uno stabilimento balneare a Pescara. Un distacco, quello dal suo maestro, educato, sottovoce, senza urlare. Quando lasciò il Pescara fu proprio lui a consigliare alla società di prendere Zeman al suo posto, riaccendendo così i riflettori di una Zemanlandia-bis.

Tempo e spazi

«Il calcio è tempo e spazi». Ripete spesso Di Francesco alla sua squadra. Nel tempo l’allenatore ha collezionato: una promozione in A con il Sassuolo (2013), una promozione in B con il Pescara (2010) e due esoneri e mezzo: con Lanciano (2008) Lecce (fatale la sconfitta per 4 a 2 contro il Napoli nel dicembre 2011) e Sassuolo (esonerato a gennaio 2014 e richiamato a marzo dello stesso anno). Spazio potrebbe trovarlo altrove, magari con una cosiddetta big. Anche se nel contratto – in scadenza a giugno 2019 – c’è una clausola di tre milioni di euro, il Sassuolo sembra essere disponibile al dialogo.

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