ilNapolista

La solitudine di Allegri ultimo resistente al calcio Playstation (e cosa ci è piaciuto di Sarri)

Ormai l’estetica ha preso il sopravvento sul risultato. L’allenatore della Juventus se ne frega. Quello del Napoli rilascia dichiarazioni molto intelligenti sul futuro suo e del Napoli.

La solitudine di Allegri ultimo resistente al calcio Playstation (e cosa ci è piaciuto di Sarri)

Quoque tu Sconcerti

È da tempo in atto un mutamento dell’analisi e del giudizio relativo alle partite di calcio. Sempre più legato all’estetica, come se si parlasse di uno spettacolo. Una metamorfosi che stamattina, all’indomani di Napoli-Juventus, ha indotto persino un giornalista della vecchia guardia come Mario Sconcerti a scrivere un passaggio come questo: “Ma è stato evidente che (la Juventus, ndr) ha cercato il minimo nella convinzione bastasse. Ed è stato un errore, il Napoli è stato più forte, ha recuperato e quasi dominato”. Come se la Juventus avesse perso la partita. Ahinoi non è andata così.

Tutto nacque con Guardiola

È una metamorfosi che probabilmente affonda le radici nel Barcellona di Guardiola ancor più che nel Milan di Sacchi. Non ce ne voglia il grande Arrigo, ma il suo Milan soltanto raramente era bello a vedersi. Era una squadra intensa – termine caro all’uomo di Fusignano – e soprattutto con una forza mentale straordinaria, oltre ovviamente ad avere signori calciatori in rosa. Come del resto li aveva il Barcellona di Guardiola. Che giocò e vinse la Champions del 2009 (oltre alla Liga e alla Coppa del Re) con questa formazione dalla cintola in su: Iniesta, Busquets, Xavi, Henry, Eto’O, Messi.

La lezione di filosofia di Allegri

Torniamo a noi. E a Massimiliano Allegri, uno dei pochi baluardi del calcio che fu, potremmo dire del pallone. Di quello sport che non era diventato ancora come le elezioni politiche, quelle che il giorno dopo sembra che abbiano vinto tutti. Ciascuno può girare la frittata a proprio piacimento. Un tempo il risultato era la stella polare, un faro nella notte del commento calcistico. Adesso decisamente meno. Ieri, in sala stampa, Allegri ha tenuto una lezione di filosofia. «Nel calcio non s’inventa niente. Una squadra è forte quando sa adattarsi alle caratteristiche della partita. Se sa difendersi quando c’è da difendersi e sa attaccare quando c’è da attaccare. Così si vincono gli scudetti. Quando si aprono gli almanacchi, non si trova scritto “quella sera hanno giocato in difesa”, si legge il nome del vincitore».

Come l’Inter di Mourinho

Ovviamente portava acqua al suo mulino il buon Max. Povero, si è visto quasi aggredire per aver giocato una partita difensiva e aver portato a casa un punto prezioso in uno stadio difficile, contro la terza in classifica e tutto sommato senza nemmeno una parata straordinaria di Buffon. E, se vogliamo dirla riprendendo le parole di Ottavio Bianchi – uno dei pochi a non essersi lasciato contagiare dal calcio modello Playstation –  sulla Juventus incerottata: Allegri ha fatto giocare Asamoah, Marchisio e Lemina rispettivamente quattordicesimo, sedicesimo e diciassettesimo nella classifica dei minuti giocati dai bianconeri in Serie A. Un punto voleva e un punto ha ottenuto. Come peraltro faceva l’ultima squadra che ha vinto qualcosa: l’Inter di Mourinho, come ha giustamente ricordato Roberto Liberale.

Zeman e Ferlaino

Eppure ci furono anni, era il duemila, in cui Napoli non ragionava così. Un Napoli decisamente più debole di questo perse in casa alla prima giornata contro la Juventus per 2-1 dopo un primo tempo da stropicciarsi gli occhi per la bellezza. Poi i valori in campo emersero. E il giorno dopo, il Mattino intervistò il copresidente Corrado Ferlaino (l’altro era Giorgio Corbelli) che bacchettò l’allenatore – un certo Zdenek Zeman – per la velleità del bel gioco e perché le partite durano novanta minuti.

Il Napoli ha giocato una buona gara, anche buonissima

Sono trascorsi 17 anni e l’estetica nel giornalismo calcistico sembra aver preso il sopravvento. Nella sostanza, il Napoli ha giocato una buona gara, anche buonissima. Ha reagito con carattere a una situazione non prevista: un gol dopo sei minuti. Ha lentamente conquistato il campo e poi definitivamente il pallino del gioco. È andato al tiro uno, due, tre, quattro volte. Senza peraltro sporcare le mani a Buffon. Poi ha pareggiato e colpito un palo. Merita i complimenti, non c’è dubbio. Ma siamo sicuri che la Juventus abbia avuto paura di perdere? La risposta crediamo che sia no. Forse la Juventus, in Italia, si sente talmente superiore dal punto di vista mentale da non sfibrarsi più di tanto. È un pugile che riesce a tenere a bada l’avversario appoggiandogli semplicemente la mano in testa. Raramente viene coinvolta nei corpo a corpo.

Il Napoli deve decidere cosa fare da grande

Il Napoli, lo avremo detto decine di volte, deve anche decidere cosa vuole fare da grande. Se vuole crescere, deve dichiarare che l’estetica non può bastare. A meno che De Laurentiis non compri Eto’O, Messi, Henry, Iniesta e Xavi. Che pure sarebbe un’idea. Quello di Khedira è il gol 51 incassato dal Napoli in questa stagione, il numero 33 in Serie A, quanto quelli subiti da Milan e Atalanta. La Juventus in campionato ne ha presi venti. La Roma 26. La Lazio 31 (anche l’Inter ma ha una partita in meno). La Lazio appunto. La squadra che ora è quattro punti dal Napoli e che affronteremo domenica sera all’Olimpico in un match che non dobbiamo assolutamente perdere e che, se vincessimo, chiuderebbe probabilmente definitivamente il discorso per il terzo posto. Nella speranza che si riapra quello per il secondo.

La nostra è un’ottima stagione

Perché, sia chiaro, la stagione del Napoli è un’ottima stagione (fin qui da nove). Una signora Champions in cui si è ricavato il massimo. Un campionato di alto livello e una semifinale di Coppa Italia ancora aperta. Ci sono tutti gli ingredienti per terminare una stagione ancor più positiva di quella dello scorso anno. Innanzitutto perché ripetersi è sempre più difficile. E poi perché, di fatto, lo scorso anno abbiamo giocato soltanto su un fronte: il campionato. Quindi è un Napoli che è cresciuto. E tanto. È cresciuto anche Sarri. Che, ne siamo certi, prima o poi mollerà – in parte lo sta già facendo – questo ancoraggio all’estetica calcistica. Abbiamo particolarmente apprezzato le sue dichiarazioni rilasciate alla Rai:

«Ad oggi non c’è niente che faccia presagire un mio addio al Napoli. Il contratto c’è, ma io voglio che chi lavora con me sia contento. Se il presidente è contento resto volentieri, e stasera l’ho visto molto sereno e sorridente. La squadra ha qualità, ma non è cinica. Serve un po’ di esperienza nei profili più giovani, anche se c’è da capire quanta personalità abbiamo in squadra». E ancora: «Io negli ultimi anni sono cambiato tantissimo. Come modulo, come interpretazione e filosofia di gioco. Dato che non mi sento un imbecille, penso di avere ancora qualche miglioramento in canna».

Questo è il Sarri che ci piace

Lo abbiamo detto più volte: è questo il Sarri che ci piace. Intelligente la dichiarazione sul rapporto tra lui e il presidente. Devono essere contenti entrambi. Dev’essere chiaro a Sarri che il Napoli di fuoriclasse non ne può comprare. Può comprare i Rog, gli Zielinski, i Diawara, i Milik. E deve decidere se gli fa piacere o meno. Senza rimpiangere Higuain per mesi. Perché se gli facesse piacere, Sarri sarebbe l’allenatore giusto al posto giusto. Nonché l’allenatore ideale per compiere quei miglioramenti ancora necessari.

Cosa serve per crescere

Ma serve saper soffrire nei momenti di difficoltà. Proprio come accade nel ciclismo. Sul muro di Grammont. Se molli, se quando sei in difficoltà scarichi la responsabilità, al traguardo non ci arrivi mai. Noi vogliamo Sarri così, sempre così. Che magari, come ha fatto ieri in sala stampa, chiede che non gli sia detto il vincitore del Giro delle Fiandre («l’ho registrato»). Lo apprezziamo meno quando ripete che nessuna squadra ha messo sotto così la Juventus. È quel calcio delle statistiche che non può piacere a un uomo vintage come lui (pur se molto innovativo).

Infine, per evitare ogni malinteso, nessuno poteva chiedere a Sarri di battere la Juventus o di eliminarla dalla Coppa Italia. Però gli si può chidere concentrazione, anche mediatica, sui passi in avanti ancora da compiere. Non solo dalla società.

ilnapolista © riproduzione riservata