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Allegri ha riportato la difesa al centro del villaggio. Difendersi non è una vergogna

Lo sport affascina perché è una metafora della vita. E nella vita ci si difende e si cambia per migliorarsi. Così ha fatto Allegri (l’esempio è Pjanic) che ha riscoperto un concetto che sembrava scomparso.

Allegri ha riportato la difesa al centro del villaggio. Difendersi non è una vergogna
Allegri e Pjanic

L’eterno dibattito

Se l’eterno dibattito sul modo di arrivare alla vittoria nel calcio non troverà mai un punto di definizione (parliamo, ovviamente, della sfida filosofica tra i cultori del bel gioco e i fautori del “risultato” che poi è il fine ultimo dello sport agonistico insieme con il miglioramento di sé) la doppia sfida tra Barcellona e Juventus e l’esito di questa Champions League ci suggeriscono di guardare dietro. Alla difesa. Anzi, alla percezione del concetto di difesa nel calcio postmoderno. Che era stato in qualche modo demonizzato dagli ultimi anni di guardiolismo imperante. Non che il dispositivo difensivo del tecnico catalano non fosse funzionale allo scopo (non si vincono due Champions senza difesa), qui parliamo di narrativa. Di sensazioni, commenti, opinioni.

Michael Johnson

Ebbene: la sensazione è che la Juventus abbia riportato il senso della difesa al centro del villaggio. Un po’ l’operazione avviata dall’Atletico Madrid di Simeone, riportata e rapportata ai valori italiani e tipicamente italiani della squadra di Allegri. Anzi, verrebbe da dire del suo club. Quello per cui “vincere è l’unica cosa che conta”. Oggi, come spiegato già questa mattina, si fa attraverso l’uccisione del calcio posizionale. L’uccisione difensiva del calcio posizionale. Una contro-evoluzione che ha in qualche modo depotenziato il mito di “bellezza per forza” costruito negli ultimi anni. Ma nessuno ha mai legato lo sport esclusivamente alla bellezza. Se così fosse stato, allo sgraziato Michael Johnson non sarebbe stato consentito di correre i 200 e i 400 metri piani. Il calcio è uno sport con delle sue regole. Senza i giudici con le palette a valutare la prestazione estetica. Altrimenti il calcio non avrebbe avuto il fascino che ha avuto e che tuttora ha.

Forza mentale

La Juventus è passata attraverso la consapevolezza di se stessa. Delle proprie doti, di quelle che sono le caratteristiche migliori dell’organico. Dello sviluppo di un modello tattico basato sui suoi punti di forza. Che sono soprattutto mentali: garra, applicazione tattica, capacità di lettura difensiva. La costruzione della squadra è partita da qui, il talento degli uomini offensivi ha completato il mosaico. L’ha reso vincente, perché bisogna segnare per vincere. Ci ha pensato Dybala, all’andata, se parliamo di Champions. Ci hanno pensato gli altri, Higuain in testa, per un campionato dominato. Senza discussioni.

Allegri ha lavorato per arrivare a questo risultato

Il lavoro di Allegri, in questo senso, è stato eccezionale. Tutto teso al risultato, magari non sempre spettacolare. Ma era quello che serviva per portare la Juventus lì dove voleva essere. In semifinale di Champions League, che poi la differenza con la finale (di Cardiff, in questo caso) è minima. Sono due partite. Gli episodi, insomma. Quelli che finora sono stati indirizzati benissimo da una grande costruzione tattica e dei calciatori. Ed è importante sottolineare come sia stata una strada fortemente voluta da Allegri. La Juventus di inizio stagione era molto più spettacolare (Fiorentina, Sassuolo) ma anche molto più vulnerabile. Allegri ha spiegato ai suoi il cammino da percorrere per provare a vincere. Quindi per migliorarsi.

L’esempio è Pjanic

L’esempio massimo, in questo senso, è Miralem Pjanic (ma potremmo dire anche Mandzukic). Da mezzala/trequartista di scarsa continuità, lo ricordano così a Roma, si è trasformato in centrocampista completo. Utile alla causa, bello a vedersi, con la personalità giusta per cercare la giocata di alto livello anche in situazioni critiche. Come a Barcellona, ieri sera. Una partita di umiltà e di quantità. La vicinanza con Khedira l’ha aiutato, l’ha responsabilizzato. In fase di creazione del gioco, in fase difensiva.

La difesa è una parte essenziale dello sport

Si torna alla filosofia, allora. Sul discorso che la difesa sia una parte fondamentale del gioco del calcio. Non un aspetto di cui vergognarsi. La difesa, la fase difensiva sono una parte essenziale di questo gioco. Come di altri. Come della pallanuoto, della pallacanestro, del pugilato. Di tutti gli sport. Perché lo sport è anche – e soprattutto – capacità di saper soffrire. Lo sport viene esaltato perché è una metafora della vita. Maradona è stato Maradona perché ha preso quella fottuta palla (cit.) e l’ha messa in porta due volte, in due modi ineguagliabili, contro gli odiati nemici dell’Inghilterra. Muhammad Alì è diventa Muhammad Alì perché, dopo aver detto no al Vietnam, ha incassato pugni e cazzotti da Foreman e poi l’ha fatto cadere come un sacco vuoto. Lo sport diventa leggende quando va all’essenza della vita.

L’Inter del triplete

E la difesa fa parte della vita. La bistrattata difesa – povero Giuanbrerafucarlo – ci ha fatto vincere l’ultimo Mondiale. E in realtà anche quello precedente nel 1982. L’Inter ha vinto il triplete grazie alla difesa. E anche noi, lo scorso anno, scrivemmo di come la rivoluzione del Napoli di Sarri fu prima di tutto difensiva. L’equilibrio del tecnico toscano, subito dopo le difficoltà del secondo anno di Benitez, aveva permesso agli azzurri di colmare il gap con il secondo posto, con la Roma. Un certo tipo di equilibrio che quest’anno è mancato, ne abbiamo parlato tantissime volte, per vari motivi. E dalla ricerca del quale bisognerà ripartire, al mercato e come lavoro sul campo, per migliorare ancora. Lo stesso Milan di Arrigo Sacchi, per parlare del padre del guardiolismo, era basato sulla difesa, sull’occupazione del campo, sull’esasperazione del fuorigioco: infatti subiva pochissimi gol.

Migliorarsi

Ma non è del Napoli che vogliamo parlare. La difesa fa parte del calcio, ne è una componente essenziale. E ovviamente vincere non è l’unica cosa che conta. Migliorarsi, però, sì. Tendere al miglioramento sì. Compiere una metamorfosi per raggiungere l’obiettivo sì. Nella famosa finale di Wimbledon tra Borg e McEnroe, lo svedese scese a rete un’infinità di volte. Stravolse il suo gioco per raggiungere l’obiettivo. Si mise alla prova. È questa l’essenza dello sport. Perciò affascina tanto. Tanti psicoterapueti dicono che in fondo va da loro chi reagisce allo stesso modo a una data situazione. Basta una volta in cui reagiamo in maniera diversa e si schiudono universi che non avremmo mai immaginato.

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