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La Top 11 del Torneo di Viareggio: Leandrinho, Setola, Diop il nuovo Koulibaly e altri gioiellini

Gli undici calciatori che si sono messi più in luce nel Torneo che si giocheranno in finale Sassuolo ed Empoli.

La Top 11 del Torneo di Viareggio: Leandrinho, Setola, Diop il nuovo Koulibaly e altri gioiellini
Leandrinho al Torneo di Viareggio

Saranno il Sassuolo ed un Empoli trascinato dal jolly tascabile Hamed Junior Traorè (2000) a contendersi la sessantanovesima edizione del Torneo di Viareggio, nel suggestivo scenario dello Stadio Torquato Bresciani. Un esito impronosticabile alla vigilia, soprattutto per quanto concerne gli emiliani, probabilmente la sorpresa più grande insieme alla Spal dell’esterno brasiliano Gabriel Strefezza (1997), ma che conferma i dubbi su una formula francamente da rivedere: la rincorsa all’ultimo atto, infatti, è diventata giocoforza una prova di resistenza atletica a discapito della mera qualità tecnica, effetto ineludibile di un tour de force estenuante che ha costretto i protagonisti ad affrontare ben sette incontri in due settimane scarse.

Se alle storture di un calendario troppo compresso aggiungiamo la concomitanza degli impegni con le Nazionali Under 17 ed Under 19 (quest’ultima purtroppo eliminata dall’Olanda) nelle rispettive Fasi Elite degli Europei di categoria, variabile che ha rimaneggiato le rose e le relative rotazioni nelle strategie di molti allenatori, si comprendono facilmente le perplessità avanzate dagli osservatori al seguito.

Lo Zenit tradito dal regolamento

Parecchio confuso anche il regolamento predisposto per ridurre parzialmente l’incidenza del fattore-stanchezza: nel corso del vernissage con i suddetti toscani (1-1 al triplice fischio dell’arbitro), lo Zenit San Pietroburgo ha espletato le sette sostituzioni concesse in cinque momenti diversi del match, nonostante le norme vigenti ne predisponessero solo quattro. La conseguente sconfitta a tavolino comminata dal giudice sportivo (0-3) ha compromesso quindi sul nascere le velleità di una formazione che aveva invece riscosso consensi unanimi per la coralità latente e la compattezza di un 4-3-3 ben allestito dall’ex reggiano Igor Simutenkov, con una manovra armonica stimolata dalla verve del falso nueve kazako Yerkebulan Seydakhmet, classe 2000.

Nell’ecatombe di favorite consumatasi nei primi due turni ad eliminazione diretta, hanno deluso in particolare i campioni in carica della Juventus e l’Inter del capocannoniere Karlo Butic (1998), mentre l’ottima Atalanta di Walter Bonacina ha pagato oltremisura lo scotto di un esiziale calo fisiologico, al pari di un’ingenuità del sino a quel momento impeccabile Alessandro Bastoni (1999), centrale difensivo di sicuro avvenire. In attesa della finalissima di mercoledì 29 marzo, ecco la nostra Top 11 (4-3-2-1 il modulo):

portiere: Tommaso Cucchietti (Torino) – 1998

Quando scattano gli ottavi di finale, sembra che la porta granata diventi stregata per chi si azzardi a violarne l’incolumità dagli undici metri; se nell’edizione precedente, infatti, l’ex-pupillo di Moreno Longo era riuscito ad ipnotizzare l’empolese Alessio Zini per strappare una qualificazione piuttosto sofferta al turno successivo, stavolta ha deciso di superarsi neutralizzando ben quattro dei cinque rigori con cui gli increduli sudamericani del Grêmio Osasco hanno provato ad aggiudicarsi la medesima lotteria in coda al pareggio nei tempi regolamentari (1-1). Un pomeriggio da eroe meritatamente vissuto da un guardiano dei pali dallo stile essenziale e poco appariscente, figlio di un naturale senso della posizione che raramente lo costringe a dover sfoderare miracoli per occludere eventuali falle su un lato scoperto e che infonde sicurezza ai colleghi del pacchetto arretrato, vieppiù nelle situazioni di palla inattiva. Resta qualche lieve imbarazzo nell’andare giù rapidamente negli interventi ravvicinati o sulle uscite basse, ma non è un caso che sia stato aggregato in varie circostanze alla prima aquadra da Siniša Mihajlović.

Tommaso Cucchietti

terzino destro: Carmine Setola (Fiorentina) – 1999

Prelevato in prestito dal Cesena per partecipare alla manifestazione con la maglia viola, questo jolly di fascia che può disimpegnarsi su entrambi i lati del campo ha colto immediatamente l’occasione di farsi apprezzare dai suoi nuovi tifosi, ribaltando le sorti del match d’esordio con i tignosi argentini del C.A.I. ed innescando con le sue scorribande la rimonta dallo 0-2 con due cross al bacio per l’altro subentrante Gabriele Gori, bravo dapprima ad incornare in prima persona ed ottenere il momentaneo pareggio per poi lavorare di sponda e permettere a Joshua Pérez di firmare il definitivo 3-2.

Originario di Cerreto Sannita e cresciuto nella scuola calcio Sporting Guardia Sanframondi, il giovane campano si è trasferito in Romagna con la famiglia dieci anni orsono e nella stagione in corso è già riuscito ad esordire tra i professionisti con i bianconeri, schierato titolare da Andrea Camplone nella trasferta di La Spezia valida per la quindicesima giornata del campionato cadetto (19 novembre 2016: 1-0 il punteggio per i padroni di casa). Ad oggi, sembra molto più adatto ad operare come esterno in una linea a cinque.

Carmine Setola

difensore centrale: Ismaila Diop (Ascoli) – 1999

Rassegna amara per i marchigiani, incapaci di sopravvivere alla tonnara della fase a gironi seppur da imbattuti, molto accorti nel concedere alle avversarie un unico gol, nella fattispecie la letale zampata del figlio d’arte Carlo Manicone su invito di Alberto Picchi che ha vanificato il graffio di Edoardo Tassi e permesso agli empolesi di conquistare la prima piazza. I bianconeri possono però consolarsi con la “scoperta” di questo poderoso virgulto nativo di Dakar, un concentrato di esplosività ed esuberanza fisica che sfiora il metro e novanta d’altezza e che ha sorpreso gli addetti ai lavori con l’aggressività negli anticipi ed il dominio del gioco aereo contro lo Zenit e gli statunitensi dell’Athletic Union. Il senegalese, approdato in Italia nel febbraio 2016 grazie all’appoggio logistico garantitogli a Biella da uno dei suoi dieci (!) fratelli, è ancora tutto da sgrezzare per quanto concerne talune letture naïf (in primis nel posizionamento) ed uno scarno bagaglio tecnico, non ancora sufficiente a permettergli la sfrontatezza esibita nelle uscite palla al piede dalla retroguardia, ma c’è un evidente potenziale su cui intervenire.

Diop

difensore centrale: Edoardo Bianchi (Empoli) – 1999

Vantare un curriculum già ricco di trasferimenti eccellenti senza neanche aver raggiunto la maggior età potrebbe far storcere il naso agli osservatori più scettici, ma per costoro forse sarebbe d’uopo osservare la cerniera pressoché impenetrabile edificata da Edoardo in coppia con il serbo Nikola Pejovic, dimostrando peraltro di aver recuperato completamente dalla frattura al metatarso d’inizio stagione. Merito innanzitutto di una serena ed autoritaria consapevolezza nei propri mezzi ed un’ansia di emergere non comune, quegli stessi attributi che gli hanno suggerito in passato di mettersi alle spalle i percorsi intrapresi con Lazio, Roma e Juventus, alla ricerca di chances più vantaggiose sul piano professionale e che invero talvolta lo istigano a concedersi qualche rischio eccessivo nell’abbandonare leziosamente il cuore della terza linea. La stazza ridotta non tende ad inficiarne il tempismo in elevazione, mentre l’agilità nei recuperi costituisce un’arma irrinunciabile da sfoggiare nell’uno contro uno. Dopo tanto girovagare, l’ambiente toscano sembra rappresentare il trampolino di lancio ideale per le sue ambizioni, e chissà che i rimpianti dei club precedenti non aumentino nell’immediato futuro…

terzino sinistro: Kevin Kesley de Souza (Grêmio Osasco Audax) – 2000

Una prima avventura in Versilia più che dignitosa per i Vermelhinhos, giacché nel 2012 non era ancora avvenuta la fusione con l’altra società paulista dell’Audax, ossia il vivaio in cui si è formato l’attuale romanista Bruno Peres. Esaminando il roster a disposizione dello spregiudicato entrenador Lucas Macorin, che ha scommesso sul medesimo zoccolo duro che la scorsa estate alzò la SuperCupNI nel cielo di Coleraine (Irlanda del Nord) destando stavolta qualche perplessità riguardo all’utilizzo troppo parsimonioso della virtuosa mezzapunta Matheus Saldanha, da quelle parti non hanno smarrito la prerogativa di coltivare fluidificanti dalle spiccate attitudini propulsive. Kevin si è infatti ben comportato da classico lateral izquierdo di matrice verdeoro, le cui doti nelle progressioni fronte alla porta sono inversamente proporzionali alla lucidità nelle diagonali di recupero dal proprio binario di competenza. Il fiore all’occhiello di quattro prestazioni individuali tutto sommato convincenti resta il modo in cui ha messo in crisi il dirimpettaio granata Simone Auriletto, costringendo Leonardo Rivoira ad uscire sistematicamente in raddoppio su di lui per limitarne le ampie falcate.

centromediano: Samuele Damiani (Empoli) – 1998

L’assenza della sua regia, geometrica e razionale, si è avvertita parecchio nel turno preliminare, benché Davide Buglio abbia provato a farne le veci, mentre il metronomo livornese risolveva le noie muscolari che ne hanno rallentato l’approccio all’evento. Come un diesel, il motore della creatura di Alessandro Dal Canto ha innalzato il proprio rendimento allorquando è stato lanciato nella mischia da interno destro questo organizzatore atipico, che riesce a dirigere l’orchestra azzurra seppur partendo decentrato, eccellendo nel controllo delle dinamiche di possesso e nel gioco ad un tocco, poiché in grado di intravedere le linee di passaggio più adatte da percorrere un paio di secondi in anticipo rispetto alla ricezione della sfera. Bagnato il debutto con la conquista e la trasformazione del penalty decisivo alle spese del Milan (1-0), Samuele ha perfezionato l’intesa con lo stantuffo Davide Zappella da ingranaggio imprescindibile di una catena laterale dove di fatto si è decisa la semifinale con il Bruges (3-0), infiocchettando l’ultima rete di Zini con una perla di tacco che ha strappato applausi a scena aperta.

mezzala destra: Senne Lynen (Club Brugge) – 1999

Il coach Sven Vermant ha dovuto rinunciare a ben nove tasselli “rapiti” in corso d’opera dai selezionatori delle Nazionali, trovandosi costretto a riparametrare i contorni dell’ordito originale senza rinunciare alla volontà di sviluppare una proposta tattica a trazione anteriore, imperniata sulle discontinue folate di Ahmed Touba, Noah Fadiga e Indyana Van Camp, le bizze del già “esperto” croato Fran Brodic e l’inusitata vena realizzativa del rincalzo Rik De Kuyffer, sgraziato ma efficace giustiziere di Juventus e Napoli (2-0). L’apparente temerarietà del progetto si è normalizzata in rapporto all’introduzione di un equilibratore occulto nel settore nevralgico del rettangolo verde, nella fattispecie questo uomo d’ordine originario di Borsbeek e cresciuto nel Lierse sino al 2014, versatile nel tamponare e ricucire con semplici ma non banali appoggi di alleggerimento indirizzati ai compagni più intraprendenti, in virtù di un’intelligenza posizionale (finanche negli intercetti) ed una visione periferica del gioco che ne compensano l’andatura un filo troppo compassata.

Lynen

mezzala sinistra: Abel Francisco Romero (Club Atlético Belgrano) – 1999

Los Piratas si sono presentati per la terza volta consecutiva ai nastri di partenza della Viareggio Cup annoverando tra le proprie file una pletora di picchiatori per scortare un unico giocatore di calcio; suona certo ingeneroso liquidare in tal maniera il tanto agognato raggiungimento della fase ad eliminazione diretta dei Celestes, ma al contempo è doveroso biasimare la condotta generale di una compagine che ha innalzato oltremodo il livello di agonismo, a maggior ragione in un contesto giovanile in cui i principi basilari del fair-play dovrebbero prevalere sulla dittatura del risultato a tutti i costi. E stendiamo un velo pietoso sull’indecorosa rissa da saloon a corollario dell’eliminazione contro la Spal… Senz’altro più stimolante concentrarsi sulla maturità di questo centrocampista normotipo già presente dodici mesi fa e completo in ambo le fasi, a suo agio tanto nel determinare con avveduti movimenti l’altezza delle linee di pressione sul portatore di palla avversario quanto negli inserimenti profondi in verticale sulle ripartenze veloci. Da sottolineare, inoltre, la discreta capacità balistica dalla media e lunga distanza.

trequartista: Christian Capone (Atalanta) – 1999

Debutta in punta di piedi dalla panchina e nel breve volgere di sei giri di lancette innesca il match-winner Musa Barrow dipingendo una palombella millimetrica a seguito di un sontuoso stop d’esterno (2-1 sul Grêmio Osasco), provoca il goffo autogol nigeriano prima di infilare l’angolo basso con un destro a giro direttamente su punizione nell’impegno susseguente (3-1 all’Abuja), suggella la goleada ai danni dell’Ancona (8-0) con una doppietta per poi indirizzare l’esito degli ottavi con un tiro dai venticinque metri e la specialità della casa, una rifinitura chirurgica a premiare il solito gambiano (Perugia piegato 4-0), persino nell’unica sconfitta con il Torino nobilita l’uno-due con Emmanuel Latte Lath e sfiora l’immediato raddoppio cogliendo la traversa su iniziativa personale: servono altre motivazioni per spiegare chi sia il nostro MVP della kermesse? Al netto dei limiti di natura fisica e forse tattica (la tenuta atletica tende a scemare nell’arco dei novanta minuti, e difetta nel cambio di passo per riciclarsi in ottica futura partendo da caselle più defilate in ipotetici tridenti d’attacco), le intuizioni del gioiellino di Vigevano sono da predestinato.

Christian Capone

trequartista: Leandrinho Leandro Henrique do Nascimento (Napoli) – 1998

Per ovvi motivi l’ultimo arrivato è apparso spesso e volentieri avulso alla manovra e poco inserito negli schemi di Giampaolo Saurini; la rinomata peculiarità di svariare lungo tutto il fronte offensivo alla costante ricerca del taglio giusto in profondità lo ha costretto a girare a vuoto, e certo le condizioni critiche dei manti erbosi (?) in cui questi ragazzi sono costretti ad esibirsi non ne hanno incoraggiato la propensione ai virtuosismi più raffinati, seppur sovente scenografici. Insomma resta intatta la consapevolezza che il percorso d’integrazione del prospetto di Ribeirão Claro debba seguire ulteriori tappe tra le ombre di un inevitabile periodo di adattamento, ma tutto ciò non deve lasciarne sottovalutare i lampi intermittenti che per movenze, coordinazione nello stretto e cambi di direzione appartengono sin da adesso ad una categoria superiore. Il graduale ingresso nell’undici titolare ha in parte ovviato alla sterilità dei partenopei, che hanno piegato in successione il Bari ed il Bologna delle ficcanti ali Aaron Tabacchi e Orji Okwonkwo per centrare un piazzamento tra le prime otto, obiettivo raggiunto solo nel 2003 e nel 2015 in questo scorcio di nuovo millennio.

centravanti: Gianluca Scamacca (Sassuolo) – 1999

Un inizio in sordina, per non dire balbettante, sfociato poco a poco in quel crescendo che ha consentito ai neroverdi nel prosieguo di recitare l’inedito ruolo di ammazza-grandi, appoggiandosi al proprio totem di riferimento appena la posta in palio è aumentata, dopo aver costruito le fortune principali sul leader arretrato Luca Ravanelli. D’altronde non era agevole evitare di finire inghiottiti nella morsa dei marcatori che lo hanno ben sorvegliato negli impegni del Girone 5, alla luce peraltro di un disegno tattico improntato sul congelamento dei ritmi, che al di là dei ricami prudenti di Federico Abelli o gli strappi di Simone Franchini ha isolato il romano nella lotta all’interno dell’altrui metà campo, sovente troppo lontano dal bersaglio grosso e “supportato” solo da lanci lunghi mal calibrati. L’incornata che ha trasformato in prezioso pareggio con la Fiorentina il traversone dalla banda mancina di Andrea Masetti ed il destro al fulmicotone che ha incrinato le certezze dell’Inter son stati squilli necessari per scuotere l’umore un po’ indolente di Gianluca, voglioso di archiviare in fretta la recente parentesi biennale al PSV Eindhoven, offuscata in parte dalla convivenza con l’omologo Sam Lammers.

Scamacca

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