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La sociologia del Napoli, pubblico, giocatori e presidente: il calcio sedotto dal business

Una lettura degli ultimi fatti intorno al Napoli: le dichiarazioni di Adl e lo status di presidente, il pubblico e i calciatori ormai solo attori.

La sociologia del Napoli, pubblico, giocatori e presidente: il calcio sedotto dal business
Aurelio De Laurentiis (foto Ciambelli)

Status e ruolo

Durante questo mese di febbraio, di impegni serrati e ardui del Napoli, la nostra amata squadra del cuore, mi sono fermato a riflettere, interrogandomi su un quesito di origine epistemologica: qual è il significato dell’essere tifoso? Le basi concettuali della sociologia riguardano due parole essenziali nel computo successivo delle teorie: status e ruolo. Il tifoso è uno status o diversamente un ruolo? La differenza sta nel fatto che lo status si occupa, il ruolo si svolge.

Tralasciando esempi, è ben comprensibile che chi legga stia già ricercando nella sua memoria esempi attinenti che facilitino la comprensione. Associare il tifare all’uno o all’altro comporta successivamente una serie di comportamenti, un pattern, termine tanto caro ai funzionalisti.

Differenze

Se l’essere tifosi è uno status ciò impone una continua, o meglio, quotidiana e tacita rappresentazione del comportamento sopracitato. Una sorta di istituzionalità quasi sacra, per certi versi assoluta, petrinologica, solenne, causa ed effetto della determinazione riferita, ovviamente, alle sorti dell’amata squadra.

Diversamente si può dire del tifare in quanto ruolo. Non più causa o effetto della determinazione ma molto più facilmente partecipazione. Il tifoso interpreta il proprio ruolo attraverso la presenza (fisica o meno) a tale determinazione (l’evento sportivo) senza poter però in alcun modo incidere proprio attraverso quell’insieme di comportamenti fortemente influenzanti nel caso dello status e l’interpretazione in un modo o nell’altro condiziona anche gli attori (reali) della rappresentazione e cioè i calciatori che operano l’evento.

Riconoscere il dominus magnus

In sintesi: se realmente i calciatori, con tutte le critiche che spesso vengono rivolte loro riguardo la vita o le ricchezze etc, pensassero ai tifosi come soggetti investiti di una condizione per certi versi statutaria, ritengo che assisteremmo a una diversa rappresentazione sportiva. Per fare un esempio: nell’arena i gladiatori si ammazzavano certamente per compiacere anche l’imperatore ma il era il popolo, in quanto soggetto agente, il vero referente, il dominus magnus.

Attualmente il tifoso, nella sua pretenziosità, semplicemente si arroga un diritto, un status che non gli compete, lo sport è una manifestazione puramente egoistica da un punto di vista esecutivo: si compete per se stessi non per chi guarda. Banalmente, restando nel ragionamento, se i calciatori avessero la concezione del tifoso come dominus magnus non si lascerebbero andare a esacrabili atteggiamenti: proteste con l’arbitro, simulazioni, risse etc.

Libertà

In tal senso l’unica figura che occupa uno status è, senza dubbio, il presidente. E ovviamente si fa riferimento alla squadra di calcio. In tutta onestà ritengo che la tolleranza è ipocrita, finta, non esiste la tolleranza, è completamente avulsa dall’essere umano. Non c’è nulla di strano nelle dichiarazioni fatte da De Laurentis in occasione delle partite di Champions, se vi fosse tolleranza non si sarebbe gridato allo scandalo così come mi è parso di leggere sui giornali cartacei e non. In quanto dominus magnus ha tutto il diritto di criticare un proprio dipendente per una prestazione che non ha condiviso e soprattutto di esporre le sue opinioni in merito a determinati eventi, dichiarare i propri pensieri, dire che tal dei tali è juventino o disquisire dell’odio che sente addosso. Senza scomodare Voltaire: la libertà è l’espressione più ardua del pensiero.

Certamente si potrebbe obiettare che ha scelto male tempi e luoghi, a mio avviso è un giudizio che ha poco merito per le seguenti ragioni: proprio il virtù del fatto che il tifoso svolge un ruolo che decade col termine dell’evento sportivo non può e non deve risentirsi della manifestazione dialettica di un soggetto che, per status, può e deve attuarla. In secondo luogo, in un certo senso la questione meridionale, a livello concettuale, vive in certi retaggi; è indubbio.

Attori e comparse

Non doveva dirlo! Urlerebbe qualcuno o parecchi a cui rispondo: nella concezione nordcentrica politicamente giustificata in Italia e soprattutto antropologicamente incisa nella pubblica opinione il politicamente corretto (espressione divenuta di moda solo di recente) lascia l’interpretazione companilistica come l’unica plausibile ma, purtroppo, il pregiudizio è sempre maggiore per chi lo subisce. Gli schiavi, nati da schiavi, non immaginavano esistesse altra condizione possibile da quella di essere proprietà del padrone. Il popolo napoletano si porta dietro da decenni i suoi stereotipi e in certi atteggiamenti, che personalmente detesto, ne fà folclore, e chiedo ai lettori di generalizzare il può possibile questa mia affermazione. Da intellettuale ritengo che la vera e storica unità d’Italia (ma così come in altre situazioni storiche esogene) sia stata compiuta nel tempo dalla gente, molto spesso povera gente, l’abbraccio tra nord e sud l’ha compiuto la grande emigrazione post-bellica.

Il calcio, lo dico a malincuore e un patetico romanticismo, non è più lo sport che probabilmente solo i nati nell’ottocento e inizi del novecento hanno apprezzato; dopo gli anni ottanta anche lo sport si è fatto sedurre dal business, gli atleti sono divenuti attori, i può bravi ovviamente, quelli normali semplicemente comparse.

Il distacco

Da tifoso sto lavorando, da qualche tempo ormai, su un distaccamento emotivo rispetto all’evento. Certo, l’identificazione esiste, esisterà sempre ma il calcio Napoli è solo la squadra della mia città, un elemento oltretutto distante (ora come ora) dalla realtà. Mi annovero, mi rifugio (meglio quest’ultima espressione) tra coloro che pensano che nel capoluogo campano funzioni soltanto il calcio, lo ammetto e, senza timore alcuno, lo rivendico sapendo già che la spocchiosa intellighenzia napoletana storcerà il naso borbottando improperi.

E d’altronde chi ritiene ancora che i calciatori siano bandiere, beh, come potrebbero interpretare i cosiddetti “mal di pancia” di Mertens, Insigne che prima battono cassa e poi baciano la maglia. Tutti attori o quasi tutti, lo ribadisco, protagonisti e comparse.

Il calcio è solo il calcio, il resto è altra cosa.

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