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La bonifica di Bagnoli e i titoli allarmistici: non si può depurare la natura

Bisogna stabilire i valori naturali di fondo, prima di poter dire che i limiti sono stati superati. In Toscana è stato fatto (lo prevede la legge), a Bagnoli mai. L’arsenico è vulcanico, impossibile eliminarlo.

La bonifica di Bagnoli e i titoli allarmistici: non si può depurare la natura
L'area ex Italsider a Bagnoli

La spina di pesce

Ogni volta che mi capita di leggere od ascoltare notizie sulla “bonifica” di Bagnoli, il mio pensiero volge, automaticamente, alla nota storiella napoletane della “spina di pesce”. Per i non autoctoni, ne faccio un breve riassunto.

Un dottore ha, tra i suoi clienti, un pescatore. Il poverino soffre di un problema che si ripresenta periodicamente: il piede gli si gonfia facendo infezione. Ogni volta ricorre all’opera del suo medico curante che riesce a sgonfiargli il piede. Il poverino, non essendo abbiente, ricompensa il dottore col pescato frutto del suo lavoro.

Un bel giorno, il dottore va fuori e si fa sostituire dal figlio. Allo studio, si presenta il pescatore col solito fastidioso gonfiore al piede. Il giovane dottore lo visita, si accorge di una spina di pesce conficcata nel piede del pescatore e gliela estrae, risolvendo definitivamente il problema al suo paziente.

Torna il padre ed il figlio, orgoglioso del suo lavoro, gli chiede: “papà, è venuto il pescatore, possibile che in tanti anni non ti sei mai accorto che aveva una spina di pesce conficcata nel piede?”

“E tu che hai fatto?”, “come che ho fatto, papà, gliel’ho tolta!”. “Bravo, abbiamo finito di mangiare pesce!”.

La perizia shock su Bagnoli

L’aneddotica popolare napoletana, come al solito, descrive un concetto meglio di qualsiasi giro di parole: esistono problemi che non conviene risolvere, altrimenti si finisce di…. “mangiare pesce”.

E veniamo alle ultime notizie apparse in questi giorni sulla stampa. Ne prendo una a caso, tanto sono tutte dello stesso tenore: “depositata perizia shock su Bagnoli: la bonifica ha danneggiato i suoli”.

Leggo l’articolo e trovo frasi del tipo: “il 100% dei campioni prelevati in aree a destinazione d’uso residenziale non è conforme (molte volte con superamenti di oltre 10 volte il limite), i due terzi circa dei campioni prelevati in aree a destinazione d’uso commerciale (4 su 6) non è conforme (molto spesso con superamenti di oltre 10 volte il limite).

Il limite di che?

Il limite di che, ci sarebbe da chiedersi? Il “limite” di legge che era tale solo fino al 2006, il “limite” da raggiungere previsto dal progetto di bonifica o che? Per avere una risposta, si dovrebbe poter leggere il quesito posto dal giudice al Ctu (consulente tecnico d’ufficio).

Ma, volendo affrontare il problema per risolverlo, tralascerei tutta la storia del procedimento e della sequenza di norme susseguitesi e verrei, direttamente, a quella che è la norma attuale sin dal lontano 2006, vale a dire, da oltre dieci anni (sic!).

Come prima cosa, mi preme indirizzare l’attenzione del lettore sul deprecabile utilizzo del sistema informativo basato sulla frase “tot volte il limite”, mediaticamente valido, ma giuridicamente e scientificamente privo di significato.

“Tot volte il limite”: è la classica manipolazione informativa adottata in tema di terra dei fuochi et similia.

Esistono le Concentrazioni Soglia di Contaminazione

Intanto, oggi, dalla promulgazione del Dlgs 152/06, nell’ambito della valutazione ambientale ai fini delle eventuali bonifiche, non si parla più di “limiti”, bensì di Concentrazioni Soglia di Contaminazione (Csc), “soglie di contaminazione”, definite, come dato di riferimento medio, a livello nazionale, in due tabelle, una per i suoli (tabella 1) distinta per utilizzo del sito: verde pubblico o residenziale e commerciale (parte a e parte b) ed in una tabella (tabella 2) per le acque sotterranee.

L’articolo 242 della parte IV del suddetto Dlgs 152/06 dispone che “al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito – omissis – od all’atto dell’individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento – omissis – qualora l’indagine preliminare accerti l’avvenuto superamento delle Csc, anche per un solo parametro – omissis – nei successivi trenta giorni presenta – omissis – il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all’Allegato 2 alla parte IV del presente decreto”.

“Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (Csr), il soggetto responsabile sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito.”

Il crono-programma della bonifica

Il crono-programma del progetto di bonifica deve precisare, in particolare, gli interventi per la bonifica e le misure di prevenzione e messa in sicurezza relativi all’intera area, con specifico riferimento anche alle acque di falda.

Di seguito si riporta uno schema semplificativo di cosa prevede la norma:

Il primo passaggio, per consentire una corretta valutazione dei dati analitici è, dunque, la definizione delle Csc di riferimento, vale a dire di quelle soglie il cui superamento indica la potenziale contaminazione.

Cosa è accaduto in Toscana

Queste derivano dai valori tabellari e dalla verifica dei valori di fondo naturali od antropici cui le Csc andrebbero equiparate (vedere, ad esempio, cosa è stato fatto in Toscana), dopodiché, se i valori riscontrati con le analisi chimiche superano non solo le Csc, ma anche i valori di fondo, si fa l’analisi del rischio utilizzando appositi software in cui si immette una serie di parametri (tipo di frequentatori, tempo di frequentazione, vie di esposizione etc.). Si definiscono, in tal modo, le Csr (ripetiamo, Concentrazioni Soglia di Rischio) le quali sono da interpretare, queste si, come “limiti” al di sotto dei quali, ove superati, bisogna scendere mediante la bonifica.

Ora, come visto, mentre nei Siti di interesse nazionale della Toscana i valori di fondo sono stati definiti già nel 2010, qui da noi si continua a lasciarli nell’indeterminatezza causa di interpretazioni quando non equivoche, strumentali.

La conoscenza dei valori di fondo, in particolare naturali, nei suoli e nelle acque di falda è una questione di importanza primaria per valutare il reale stato di inquinamento di un sito. Come si fa, senza, ad interpretare i valori analitici come soglia, o meno, di contaminazione? che senso ha, analizzare i suoli o le acque, senza questo fondamentale passaggio preliminare?

Come per la Terra dei fuochi

Invece, incredibilmente, a dieci anni dall’entrata in vigore del Dlgs 152/06, si parte con le analisi dei suoli (http://www.invitalia.it/site/new/home/chi-siamo/area-media/notizie-e-comunicati-stampa/bagnoli-via-libera-del-tribunale-all146analisi-dei-suoli-.html) senza aver definito i Valori di Fondo!

La problematica l’abbiamo affrontata più volte nell’ambito di articoli sulla questione terra dei fuochi (https://www.ilnapolista.it/2016/06/terra-dei-fuochi-cavolfiori-foglie-gialle-2/).

Dopodiché, capita che interpretiamo come “contaminate” acque con valori di arsenico tipici delle aree vulcaniche, creiamo “barriere idrauliche” per non farle defluire a mare (forse per evitare di “avvelenare” pesci che da sempre vi hanno convissuto), e mettiamo in funzione impianti per depurale. Depurare la natura: una fatica di Sisifo inutile oltre che produttiva, questa si, di inquinamento, con la necessità di smaltire gli appositi filtri carichi di arsenico.

I valori di arsenico riscontrati nelle acque sotterranee di Bagnoli in base ai quali si è deciso di fare le suddette opere, variano dai 50 ai 250 mg/l. Nella nota Arpac protocollo 45101 del 17/07/2015, richiamata nel suddetto articolo, per l’area flegrea è riportato un valore naturale compreso tra i 50 ed i 500 mg/l cioè, volendo utilizzare il suddetto sistema informativo, “da 5 a 50 volte il limite” (CSC=10 mg/l).

Ancora, volendo dare un’idea della valenza sanitaria di questo modo di fare informazione, possiamo dire che un’acqua è potabile (dunque non c’è rischio per chi la ingerisce) anche se ha 200 volte il limite di legge (CSC) per il triclorometano (=30/0.15): è acqua potabile! Se poi, invece di “triclorometano”, utilizziamo il suo nome comune “cloroformio” aumentiamo il pathos.

La colmata dei veleni

E che dire di quella che, fino a pochi mesi fa, è stata definita la “colmata dei veleni”? Una colmata costituita da scarti di demolizioni e di fonderia (loppa) assolutamente inerti. (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/15_giugno_09/foto-d-epoca-colmata-bagnoli-composta-materiale-inerte-a26baf7a-0e7d-11e5-a7eb-790a64c61d73.shtml) talmente innocui che se ne ipotizza il trasferimento in altri porti tra cui lo stesso porto di Napoli. (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/16_dicembre_07/i-detriti-colmata-bagnoli-saranno-sistemati-porto-napoli-deebfa6e-bc45-11e6-bd7e-a162dcaf3b9d.shtml). Insomma, sulla scorta di una vulgata di inesistente “avvelenamento”, si decide di spendere decine di milioni di euro per garantire ai cittadini napoletani qualche centinaio di metri di spiaggia. Siamo sicuri, e qui ci rivolgiamo in particolare al sindaco, che tra le priorità dei napoletani, ci sia quella di andarsi a fare il bagno a Bagnoli?

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