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Il calcio italiano ha un problema: non è competitivo

«La Serie A è un campionato poco allenante», disse un giorno Fabio Capello. Oggi, durante Empoli-Napoli, abbiamo capito cosa significasse questa frase.

Il calcio italiano ha un problema: non è competitivo

È solo campo, è solo calcio

Nessun complottismo. Nessuna squadra favorita, nessuna “spinta” politica ambigua. Parliamo di calcio, di campo, di quello che abbiamo visto oggi. Lo sapete, io mi occupo fondamentalmente di tattica e di analizzare il gioco, sul Napolista. E oggi ho visto due cose davvero brutte, al Castellani: l’Empoli e il Napoli. Intese come concetto, come senso rispetto al campionato.

Mentre scrivo, scorrono sul mio televisore di casa le immagini di Sampdoria-Juventus. Siamo 0-1 all’intervallo, la Juve ha sfiorato almeno altre tre volte il gol. Al momento, è una vittoria bella e meritata della squadra di Allegri. Però è pure una partita vera: la Samp è meno forte della Juventus, eppure sta affrontando bene la partita, ha creato un po’ di pericoli sparsi e sparuti, ha cercato di tenere il campo. Personalità, organizzazione, buoni giocatori. Una squadra perfettamente da nono posto, che è effettivamente la classifica della Sampdoria. Possibile che la Juve alla fine vinca, non del tutto imponderabile l’idea del pareggio. L’esatto contrario di quanto successo a Empoli. Dove una squadra troppo meno forte del Napoli gioca nella sua stessa categoria. E, ancora più grave, il Napoli stava rischiando di pareggiare la partita.

L’Empoli

Scriviamo prima dell’Empoli non perché questo sia il problema più pesante. No, è che dalla differenza (eccessiva) di censo tecnico tra le due squadre nasce la difficoltà del Napoli – che il Napoli poi aggrava con un pessimo atteggiamento mentale. Ci spieghiamo, mi spiego: l’Empoli (esattamente come Palermo, Pescara e Crotone) abusa letteralmente del suo posto nel campionato di Serie A. Un Napoli distratto, al piccolo trotto e solo raramente brillante, nel primo tempo, ha segnato tre gol e sbagliato un rigore. Un Napoli vero, tipo quello visto a Roma, avrebbe segnato cinque gol in scioltezza. Pur con tutti i suoi difetti.

In un torneo che ha sempre fatto della competitività (di tutte le partite, in tutte le partite) la sua forza, vedere addirittura quattro squadre in questa situazione è una malinconia infinita. È un errore, una tristezza, una perdita di appeal tecnico, spettacolare e quindi economico. È una volontà nemmeno tanto velata di assecondare e non colmare il gap tra le prime e il gruppone delle altre, e non ci riferiamo solamente alla Juventus.

La Juventus è solo la punta dell’iceberg. Lo stesso Napoli, che pure ha i suoi problemi – ne parleremo tra poco -, si ritrova a dieci punti dalla prima in classifica con una proiezione di 82 punti in classifica. Lo stesso punteggio dello scorso anno, con la Juventus che avrebbe (ha) la possibilità di aumentare ancora il vantaggio. Nel frattempo, però, ci sono tre squadre già praticamente retrocesse; e tra la quinta in classifica e l’ottava ci sono nove punti.

Il problema, quindi, diventa duplice: troppe squadre con valori bassi e troppe squadre che si ritrovano già ora senza reali obiettivi sportivi. Senza motivazioni, senza mordente. L’Empoli è un caso borderline, non si sa se sia o meno in lotta per la salvezza. Dipende da quello che succede alle sue spalle, inteso come classifica.

E qui, proprio qui, si innesta il problema del Napoli: non riuscire a giocare bene, a esprimersi bene, contro squadre molto più scarse.

Il Napoli

Eccolo qui, il problema a pioggia. Un po’ ne abbiamo già scritto, lo ripetiamo: una squadra troppo meno forte del Napoli gioca nella sua stessa categoria. E, ancora più grave, il Napoli stava rischiando di pareggiare la partita. Allarghiamo il concetto: ha rischiato di pareggiare la partita dopo averla dominata nel primo tempo. Senza giocarla nemmeno al massimo. Accelerando tre volte in tutto. Proprio in questo momento, mentre scrivo, il Pescara ha subito il secondo gol a Bergamo. Ha segnato Grassi. Penso basti, come esemplificazione.

Il Napoli, in questo momento, ha dieci punti di distacco dalla Juventus. Quattro di questi li ha persi contro Pescara e Palermo. Se sostituiamo il Palermo (partita maledetta, ci sta nel corso di un anno) con il Sassuolo, ci ritroviamo nella stessa condizione di cose. Nella stessa realtà parallela. La stessa realtà parallela in cui, pur avendo perso contro l’Atalanta (due volte), contro la Roma, contro la Juventus, e aver pareggiato quattro partite invece che sei, il Napoli si presenterebbe a meno sei alla vigilia dello scontro diretto. Con la possibilità concreta di riaprire il campionato, portandosi a tre punti dall’irraggiungibile Juventus.

La squadra di Sarri ha dei problemi, anche se pochi, e secondo chi scrive sono solo ed esclusivamente mentali. Di approccio a certe partite, a certi momenti delle partite. E il fatto di non essere in testa, o comunque subito dietro la Juventus, è allo stesso tempo un merito bianconero e un demerito di questi ragazzi. Che giocano benissimo; che hanno scelto di percorrere la squadra giusta; che hanno sempre fatto quello che dovevano fare, in campo e fuori. Ma che, però, devono crescere. Nel senso più profondo della parola. Diventare calciatori e quindi squadra di altissimo livello. Nella testa.

La Lega e il Napoli

Non è colpa della Lega se il Napoli non è in testa alla classifica. È però colpa della Lega proporre un campionato squilibrato, non competitivo, che tende a favorire i più forti e a penalizzare i più deboli. Parliamo della riduzione delle squadre? Sì, e assolutamente sì. Non sono un nostalgico, anzi rifiuto più che mai la mitizzazione di un passato che non era molto diverso dal presente, in cui vincevano comunque i più forti. Ma se un sistema non funziona, perché non produce uno spettacolo aperto fino alla fine, e perciò appetibile e vendibile, il sistema va cambiato. Semplicemente. Lo disse anche Capello, una volta, con parole non proprio musicali: «La Serie A è un campionato poco allenante».

Stessa cosa nel Napoli, anche se in piccolo. Questa squadra è terza con vista sul secondo posto, per i dettagli di cui ieri ha parlato Sarri non è a poca distanza dalla Magna Juve. Ci pensino, tra uffici della Filmauro e Castel Volturno. Siamo a tanto così dall’eccellenza, si completi il lavoro stuccando la consapevolezza, smussando gli angoli, sistemando le convergenze mentali. Il problema è tutto lì, e lo leggi oggi in una partita vinta ma che in realtà sembra quasi persa. Il sistema funziona, deve cambiare una certa percezione del gioco. Che non vuol dire cambiare o dover cambiare in corsa l’approccio tattico, ma andare in campo per pensare di vincere. Di doverlo fare, perché oggi è davvero possibile. Questo pezzo è un investimento su questa squadra, è una manifestazione di fiducia.

Per capire cosa intendiamo, vi riportiamo una dichiarazione di Toni Kroos. «La costanza negli allenamenti e nel rendimento è il fattore che distingue i fuoriclasse dai grandi giocatori. I primi sono decisivi sempre, in ogni momento riescono a dare il meglio. Il mio obiettivo è diminuire il numero di partite giocate male. Se l’anno scorso sono state dieci quest’anno devono essere cinque». Toni Kroos, tra le altre cose, ha vinto due Champions League e una Coppa del Mondo. Non è un caso, probabilmente.

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