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Come si allena la mentalità? Dietro i 50 gol subiti dal Napoli, c’è anche una mancanza di strategia

Sarri ha le sue responsabilità ma non tutto si può risolvere con il campo. Manca un indirizzo societario, un’identità, che consenta di crescere anche fuori.

Come si allena la mentalità? Dietro i 50 gol subiti dal Napoli, c’è anche una mancanza di strategia
Insigne e Casemiro in Napoli-Real Madrid (Cuomo)

Il peso dei gol subiti

Un dato di fatto inconfutabile: il Napoli non è primo o secondo in classifica, oppure ai quarti di finale di Champions, per il numero di gol subiti. È una frase ovvia, lapalissiana, ma ovviamente va analizzata oltre la superficie. Vogliamo dire che il Napoli ha (già) incassato troppe reti per puntare a vincere. Sono 50 in stagione in 40 partite giocate, media 1.25, come scritto dal Napolista qualche giorno fa e come ribadito oggi dalla Gazzetta dello Sport. Troppi, appunto.

Su queste pagine ne abbiamo parlato in tutte le salse. Nel senso: dei gol subiti, abbiamo detto praticamente tutto. Ne abbiamo parlato in base al tempo di gioco (il Napoli ha raccolto 36 palloni dal sacco nei secondi tempi); in base ai tipi di errore che portano al gol avversario (palle inattive ed errori in costruzione bassa); abbiano analizzato la situazione più sofferta in fase di non possesso (palle laterali). A questo, possiamo aggiungerci anche il dato relativo alle squadre che hanno segnato al Napoli: tutte, in questa Serie A. Tranne Genoa, Cagliari e Inter (le ultime due sono state affrontate una sola volta). Anche Empoli, Palermo, Crotone e Pescara hanno violato la porta di Reina. Persino lo Spezia.

La testa

Come dire: non è un caso. Non può esserlo. Anche se potrebbe sembrare, guardando i numeri difensivi. Il Napoli è ancora e sempre la seconda miglior squadra in Serie A per numero di tiri concessi agli avversari. Sono 10, solo la Juve fa meglio con 8.7.

Eppure, il Napoli subisce tanto, tantissimo. Troppo, l’abbiamo già detto, per poter pensare di avvicinare seriamente la Juventus. Del resto, una squadra che permette di scrivere cinque-dieci articoli sui gol subiti è una squadra che non difende bene. Oppure, dato che le cifre dicono altrimenti, che “non difende sempre bene”. Quel “sempre” fa una grande differenza e spiega esattamente qual è il vero problema del Napoli – tra l’altro, “segnalato” in tutti i pezzi che vi abbiamo linkato sopra. Parliamo, ovviamente, della testa. Sarri l’ha sempre definita e declinata come “mentalità”. Stiamo dicendo la stessa cosa.

Il Napoli che subisce gol dalle piccole, negli stessi momenti della partita, nelle stesse situazioni che puntualmente si ripetono, e che sono spesso riconducibili ad errori individuali ed estemporanei, più che a pure mancanze difensive e sistemiche. Tutta roba riconducibile alla testa, appunto. Tutta roba che deve essere risolta se vogliamo davvero pensare in grande, nel senso di vincere qualcosa.

Allenatori e giocatori

Sarri come Benitez, lo dicono i numeri. Come per il tecnico spagnolo, esattamente per quello toscano: il Napoli sembra subire gol come se non ci fosse una soluzione reale al problema. Per Sarri, l’emorragia di quest’anno fa riferimento alle dinamiche tattiche innestate dalla cessione di Higuain e dal successivo infortunio di Milik. Si è determinata la necessità di una squadra più veloce e verticale, più offensiva se vogliamo (9 gol realizzati in più in campionato, effettivamente). Ma pure più sbilanciata.

È una definizione del problema che possiamo accettare. Nel senso: è verosimile, è possibile, ma è solo una parte. Quella riferita al campo, quella che l’attuale tecnico del Napoli cura al meglio. Forse, pure meglio di chiunque altro. È solo che il calcio non è solo questo. C’è una componente di aggressività e grinta e cattiveria – termini che ovviamente scegliamo qui in accezione non negativa ma “agonistica” – che fa la differenza. E che, in qualche modo, “supplisce” a mancanze tecniche o tattiche. Prendiamo Bonucci e Chiellini, ad esempio. Non parliamo di due difensori “puri” molto più forti di Barzagli, eppure bilanciano alcune abilità con la loro forza mentale. Una cosa che è cresciuta perché è stata allenata: Bonucci, nel 2010, è arrivato in bianconero dal Bari. E oggi è considerato uno dei migliori al mondo nel suo ruolo.

Quindi, e ovviamente, c’entra anche la guida tecnica. Sarri ha idee bellissime, le applica alla grande, parla di calcio benissimo e altrettanto benissimo sa farlo, il calcio. Ma lo riscriviamo: non tutto può essere risolto solo con il lavoro sul campo. C’è una parte di indagine e miglioramento psicologico che va curata. Che va curata di più. Certo, da parte loro hanno responsabilità anche i calciatori. Koulibaly è un esempio, in questo senso. Lo stesso Albiol, che è un ex Real Madrid, non è sempre esente da colpe. Però rappresenta l’appiglio del reparto, l’uomo di esperienza e carisma. Non è un caso che sia lui. E qui comincia ad essere chiamata in causa anche la società.

La guida (che manca)

Non è solo una questione di calciomercato. Della serie: è probabile che con Kompany al posto di Koulibaly o di Chiriches, certi gol non sarebbero stati incassati. È probabile, non certo. C’è anche altro, ma questa è più una sensazione: il Napoli non ha una linea guida in questo senso. Non ha un’identità di gioco dettata dall’altro, non ha uno stile guidato e imposto. Ci verrebbe da dire “come la Juventus”, ma possiamo andare anche oltre. Il Milan di Berlusconi era “costretto” a giocare in un certo modo. Persino con un certo modulo, pena l’odio presidenziale. Possiamo cercare in Europa: il Real Madrid ha dei principi di gioco fissi, idem il Barcellona. Se scendiamo più in basso, troviamo il Borussia Dortmund. Il Benfica, il Porto. Da qualche tempo, il Monaco.

La percezione riguardo al Napoli è che tutti  (chi arriva, chi c’è, chi c’è stato) abbia o abbiano avuto una propria dimensione di lavoro. Che tutto sia demandato agli uomini di turno. Certo, tra Benitez e Sarri la continuità è un tantino diversa rispetto a quella precedente tra Mazzarri e Benitez. È un tantino migliore. Però sembra mancare quella sorta di linea continua che permetta a Koulibaly (un esempio su scala pluriennale) di crescere come mentalità al di là del posizionamento della difesa. Al di là della linea alta di Sarri oppure dell’attesa più passiva ricercata da Benitez. Non parliamo di omologazione degli allenatori: Allegri non è Conte e l’eventuale Spalletti o Sousa non sarà Allegri. Parliamo, però, di un imprinting radicato che possa aiutare un calciatore a migliorare di anno in anno. E di tecnico in tecnico. Questo compito spetta alla società.

Sarri è una possibilità

Da questo punto di vista, l’idea che Sarri possa planare con (relativa) tranquillità sulla sua terza stagione al Napoli dovrebbe in qualche modo essere d’aiuto. Il terzo tentativo con gli stessi calciatori, o giù di lì, potrebbe (dovrebbe) garantire uno studio accurato dei problemi e una proposta importante riguardo le soluzioni. Le premesse sembrano buone, in questo senso: il club sembra aver accontentato le richieste del tecnico nelle ultime due sessioni di mercato, ha scelto una strada e pare volerla percorrere al netto dei rischi e dei giudizi contrari. Bene così. Nella speranza che Sarri impieghi meno tempo per metabolizzare la bontà delle campagne acquisti.

Insomma, potrebbe finire la fase di “demand” assoluto, di rimbalzo continuo di responsabilità. Anzi, dovrebbe finire. Sarebbe un passo in avanti importante, per la società: stabilità, programmazione e in qualche modo anche rivelazione di verità sull’allenatore. Ovvero, comprensione definitiva della e sulla consistenza di Sarri come tecnico di altissimo livello. E dei calciatori, ovviamente, che sarebbero inquadrati in un regime tecnico-tattico definito, preciso. Inviolabile, magari. Così si coltiverebbe la famosa mentalità. Si crescerebbe. Tutti, tutti insieme.

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