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La scuola Viviani, dove educano i ragazzi ai sentimenti: «Il tempo della lezione frontale è finito»

Intervista alla preside Maria d’Ambrosio. Una scuola con attività per bambini disagiati e lezioni interattive con quelli in ospedale: «I genitori? Terribilmente protettivi».

La scuola Viviani, dove educano i ragazzi ai sentimenti: «Il tempo della lezione frontale è finito»

Maria D’Ambrosio, classe ’58, è una donna vulcanica e sorridente, ma anche molto formale e severa. Dirige la scuola Viviani, in via Manzoni, da tre anni, dopo una lunga esperienza alla scuola Gigante di Anacapri.

Ci accoglie nel plesso della scuola dell’infanzia e primaria, tra disegni dei bambini alle pareti e piccoli alunni che sembrano disciplinatissimi e subito ci mostra documenti, libri, depliant e fascicoli prodotti dai suoi piccoli alunni che spiegano in termini concreti l’attività della scuola.

Viviani. Preside

La preside Maria D’Ambrosio

Ci illustra anche nel dettaglio il sito istituzionale, accompagnandoci nella lettura «Perché sennò – dice – sembra che uno parli di aria fritta, invece lei deve vedere quello che facciamo».

Il lavoro sul curricolo verticale

Una dirigente scolastica entusiasta del suo lavoro, dei suoi allievi e dei docenti, un vero turbine che per noi rimanda ogni altro appuntamento per lasciarci, dopo due ore di colloquio, pieni di fascino e meraviglia.

Viviani. La presidenza

Ci spiega che la Viviani è un istituto comprensivo, che comprende scuola dell’infanzia, primaria e secondaria: «Lavoriamo molto sul curricolo verticale, cioè facciamo attività a 360 gradi con i bambini dai 2 anni e mezzo (gli anticipatari) fino ai 13 anni, attività in comune per tutti i cicli di studio. In pratica si analizzano le esigenze della platea e poi il collegio dei docenti, grazie all’autonomia scolastica, cerca di dare ad esse delle risposte concrete con un’offerta formativa adeguata».

Le esigenze della platea

Che tipo di utenza raccoglie la sua scuola e quali esigenze ha la platea?

«La nostra è una fascia medio-alta, che richiede uno studio molto approfondito sulle discipline. Abbiamo degli ottimi risultati con le prove Invalsi, i nostri alunni partecipano a gare nazionali, abbiamo una vasta offerta per le lingue e gare di matematica con la Bocconi».

La sostenibilità

Esiste un leit motiv dell’attività complessiva della sua scuola?

«La sostenibilità, a tutti e tre i livelli: il nostro punto di partenza, ciò che ispira il percorso e anche il punto di arrivo. Se guarda il grafico che ho pubblicato sul sito è evidente».

Viviani. La sostenibilità

Lo sviluppo delle competenze sociali

Ci spiega meglio le attività comprese nella sostenibilità?

«Si parte dallo sviluppo delle competenze sociali, quindi educazione alla legalità, al benessere ed all’affettività ed educazione all’inclusione. Per farlo operiamo con carabinieri, magistratura e polizia. Vengono da noi e incontrano i ragazzi della primaria e delle medie, i bambini dell’infanzia sono troppo piccoli, ma anche per loro ci sono regole molto ferree».

Del tipo?

«Sono molto autonomi. Già a tre anni conoscono gli spazi della scuola e sono in grado di muoversi in essi, sanno vestirsi e svestirsi e riporre le loro cose al posto giusto. La giornata è scandita in momenti precisi, secondo uno schema molto rigido. I bambini sono fantastici. Ormai sono tanti anni che faccio la dirigente negli istituti comprensivi e non cambierò: mi piace vederli crescere e osservare come diventano da grandi».

Come si pongono i ragazzi di fronte alle forze dell’ordine che incontrano a scuola?

«Sapesse come si aprono, nonostante si trovino di fronte uomini in divisa! Ci incontriamo tutti in teatro e poi li lasciamo a chiacchierare con loro – resta solo un’insegnante – e i ragazzi raccontano le loro esperienze, le situazioni che vivono. È incredibile come parlino con un estraneo».

I ragazzi non parlano con i genitori

Vuol dire che i ragazzi parlano più con gli estranei che con i genitori?

«Sì, anche per una questione legata all’età. La preadolescenza, e ancora di più l’adolescenza, è il momento del distacco dalla figura genitoriale, che poi viene recuperata più avanti. E poi c’è anche il problema dei genitori separati e dei conflitti che nascono in conseguenza della separazione. Il distacco non avviene tanto in prima media, quanto in seconda e in terza: è un momento in cui i ragazzi devono diventare autonomi e non vogliono né vedere né sentire i genitori, non vogliono neppure che vengano a scuola.

«Ecco perché, ad un certo punto della scuola media, i genitori dicono spesso che non riconoscono più i figli. Ma se sono genitori bravi e disponibili, e mantengono sempre l’autorevolezza – tanta – che ci vuole, quindi non un rapporto amicale, che non va bene, allora le cose non sono così drammatiche».

Viviani. Interni

Educazione al benessere e all’affettività

La scuola si occupa anche di educazione al benessere e all’affettività. Che vuol dire?

«Si tratta di incontri e attività per educare i ragazzi ai sentimenti. Spesso non sanno riconoscere le emozioni e quindi non sanno viverle né gestirle. In questo ambito rientra il ‘Gruppo programma adolescenti GPA’, un programma che svolgiamo con la I municipalità, alle medie. Prevede incontri durante i quali delle psicologhe trattano con i ragazzi, in classe, tutte le problematiche legate alla preadolescenza, dalle emozioni all’amore.

«Qui facciamo anche educazione sessuale, sa? Sempre con specialisti, biologi e medici, in accompagnamento al programma di scienze tradizionale. E lavoriamo anche con altre scuole. Ad esempio abbiamo il progetto ‘Principessa Azzurra’, con il Mercalli, la Tito Livio e la Poerio: i ragazzi scelgono un tema da trattare, come la violenza di genere, e svolgono un lavoro di gruppo. Fanno ricerche, filmati, pubblicano anche i loro lavori. In questo modo si fa italiano, arte, informatica, educazione tecnica e lingua. I ragazzi vengono stimolati e imparano a costruire cose dalle loro competenze».

Il lavoro sull’inclusione

La sua scuola fa un grande lavoro anche sull’inclusione. Ce lo racconta?

«Sì, è una parte fondamentale per noi, perché abbiamo tanti ragazzi speciali, tra diversamente abili, Bes e Dsa. Abbiamo uno sportello di ascolto per la dislessia e tante iniziative per l’autismo, tra cui anche la flipped classroom, la classe capovolta, in cui la lezione parte dai ragazzi e il docente diventa un tutor. Il nostro dipartimento di sostegno fa un grande lavoro.

«L’anno scorso, nell’ambito della classe capovolta, abbiamo pubblicato anche un libro ad un ragazzo diversamente abile, un autistico grave. Disegnava sempre mostri, era bravissimo a disegnare e così, all’ultimo anno, abbiamo deciso di fare questa cosa. Alla fine si è scoperto che i mostri erano divinità greche e latine e lui ha raccontato tutti i collegamenti quando ha presentato il libro, di persona, disegnando davanti a tutti. Ha avuto un successo straordinario, e non è facile per un ragazzo autistico. È stato aiutato ed accompagnato dai compagni, naturalmente, è stato un lavoro di classe. Qui abbiamo ragazzi bravissimi perché ci sono docenti che li sanno guidare: non si può più fare lezione frontale e basta».

Viviani. Pareti

L’inserimento dei bambini speciali nella società

A scuola avete molti bambini ‘speciali’?

«Sì, parecchi. E alcuni molto gravi. Per questo siamo tanto attenti all’inclusione. Abbiamo anche un bel progetto che coinvolge le psicologhe dell’Asl Napoli 1, partito già l’anno scorso con l’Asl Vomero ma che adesso abbiamo dato la nostra disponibilità a diffondere sul territorio. È rivolto ad alunni speciali molto gravi, in genere autistici. L’idea è di coinvolgere le famiglie dei loro compagni di classe e fare in modo che li accolgano anche solo per un pranzo, un pomeriggio o un cinema, insomma cerchiamo di farli uscire di casa.

«Sono cose che sembrano banali ma per questi ragazzi è un po’ più difficile viverle, perché sono speciali. Abbiamo invitato a questi incontri con le psicologhe i genitori e vorremmo portare il progetto anche alle superiori perché i nostri ragazzi sono comunque piccoli e devono essere sempre accompagnati».

E le famiglie come hanno risposto?

«Sono venute in poche, ma pian pianino stiamo cercando di fare qualcosa, di gettare dei semi. I genitori non sono poi così burberi, qualcuno disponibile c’è, glielo dobbiamo solo suggerire. La scuola è una comunità, abbiamo una grossa responsabilità, oltre ad una casistica di ragazzi estremamente diversificata che ci rende una piccola società. Se non lo facciamo noi nella scuola, chi lo fa?

«Sull’inclusione lavoriamo davvero tanto, anche con il progetto Scuola Viva, bandito dalla Regione Campania per le scuole a rischio e per l’inclusione. Ci siamo rientrati e abbiamo attivato una serie di iniziative in collaborazione con le associazioni del territorio».

I rapporti con il territorio

Tutti questi rapporti con il territorio è lei ad instaurarli, a cercarli?

«Sì, sono io che li vado a cercare. La verità è che qui ho trovato una grande risposta da parte dei docenti e allora mi sono attivata. Lavoro tanto per questo, l’ho sempre fatto. Abbiamo anche dei progetti di educazione ambientale e di prevenzione per le dipendenze. Quest’ultimo in particolare si chiama ‘Unplugged’, lo facciamo con l’Asl ed è rivolto alla secondaria: riguarda le dipendenze dal gioco, dalle droghe e dal tabagismo.

«Ci occupiamo anche di sicurezza: il Miur ha chiesto di introdurre corsi per il primo soccorso. I ragazzi, di fronte a un piccolo incidente, anche domestico, sanno almeno chi chiamare e cosa fare, imparano a muoversi in caso di emergenza. Ma facciamo davvero tante cose: Marevivo, l’orto didattico, all’interno del nostro giardino, il progetto ‘Apprendisti ciceroni’ in collaborazione col Fai. Abbiamo un’offerta molto variegata, tutta dettagliata sul nostro sito».

La Scuola in ospedale

E poi c’è la Scuola in ospedale…

«Sì, è un progetto a cui sono molto legata. Alcune delle nostre maestre da anni lavorano al Pausilipon e, ahimè, abbiamo anche molti alunni in ospedale, malati oncologici, anche gravi. Abbiamo una nostra aula in ospedale e anche la possibilità che i bambini ricoverati, anche non nostri alunni, si colleghino con le nostre classi qui a scuola attraverso una particolare lavagna interattiva.

«È una cosa che ha voluto il presidente Napolitano perché il Pausilipon è un’eccellenza e nessuna scuola in Campania aveva questo tipo di interazione con i bambini ricoverati. È un progetto che gestiamo con Telecom e con l’ospedale. Quando i bambini ricoverati sono in condizione di collegarsi con noi, fanno lezione con la classe. Non succede tutti i giorni, naturalmente e purtroppo da qualche mese il servizio è fermo per dei problemi legati ai lavori in ospedale, ma riprenderemo presto».

Viviani. Aranceto

Al Pausilipon organizzate anche eventi di beneficenza?

«Abbiamo un grande giardino, con un ricco aranceto. In genere cerchiamo di utilizzare le arance per le spremute ai ragazzi, per non farle marcire. L’anno scorso invece, i ragazzi le hanno raccolte e vendute per beneficenza. Con il ricavato abbiamo comprato una lavatrice con asciugatrice e un gioco interattivo per il reparto oncologico. Era una cosa che serviva alle mamme ricoverate con i loro figli, ce lo hanno detto loro. Sono bellissime quelle mamme, mi commuovo solo a pensarci».

Il cellulare in classe a otto anni

Restando nel campo del sociale, a scuola organizzate anche iniziative contro il bullismo?

«Rientrano nei corsi sulla legalità, anche se in questa scuola non registriamo casi di bullismo: abbiamo incontri su bullismo e cyberbullismo, con la Polizia Postale, perché i nostri ragazzi sono ormai totalmente digitali e dobbiamo tenerne conto. Si fanno interventi una volta l’anno alla secondaria, ma abbiamo fatto anche qualcosa con la primaria perché oggi già a partire dalla terza elementare i bambini hanno i cellulari…».

Cioè a otto anni portano il cellulare in classe?

«Sì, lo chiedono gli stessi genitori. Molti bambini vengono con il pulmino e i genitori vogliono che i figli siano reperibili, anche se ovviamente lo sono già qui a scuola. Ai bambini comunque è vietato utilizzarli, anche se non gli vengono propriamente ritirati, almeno alle elementari: il cellulare deve stare in cartella, non può essere utilizzato».

Il sistema di raccolta dei cellulari alle medie

Alla secondaria invece vengono requisiti?

«Alla secondaria il telefonino lo hanno tutti, a volte anche due, dispositivi molto all’avanguardia. Sì, li ritiriamo: abbiamo visto che non basta dirgli di tenerlo spento. Abbiamo un regolamento di istituto molto rigido che mettiamo a punto ogni volta che ci accorgiamo che c’è la necessità di fare degli interventi più puntuali.

«Abbiamo istituito un sistema di raccolta molto ben organizzato: all’ingresso in aula i ragazzi depositano gli apparecchi in alcuni contenitori che poi portano con sé quando vanno in altri ambienti, laboratori o palestra. Il contenitore viene affidato ad uno di loro per la supervisione, per responsabilizzarli. Il docente non può certo fare il babysitter».

L’offerta formativa

Che tipo di offerta formativa ha la sua scuola?

«Puntiamo molto sulla matematica, molto sport, con tornei studenteschi anche con altre scuole del territorio, canottaggio. Diamo grande importanza al potenziamento delle competenze artistiche, con scrittura creativa, musica e teatro, che fino all’anno scorso riguardava solo i bambini dell’infanzia e della primaria, mentre quest’anno lo stiamo sperimentando anche alla secondaria, con l’associazione ‘Il regno di Oz’. Credevo non ci sarebbe stata risposta e invece abbiamo dei risultati eccezionali».

Esiste, nella scuola, una sezione musicale?

«No. Ma l’associazione ‘Tecne’ da anni il pomeriggio lavora con i nostri ragazzi delle medie e da due anni anche con i più piccoli, in particolare per i cori».

Le lingue straniere

E l’offerta formativa di lingue straniere?

«Grande attenzione all’inglese, con il Kangaroo e corsi con madrelingua fin dalla scuola dell’infanzia. Li organizziamo con scuole napoletane molto quotate: siamo un po’ selettivi. Abbiamo anche l’Imun, una simulazione dei lavori dell’Onu che facciamo con un’associazione americana.

«È un’attività a scelta dei genitori: ogni anno rappresentiamo un paese, studiamo la sua politica e facciamo tutto un lavoro a riguardo, con un madrelingua. Alla fine partecipiamo a una manifestazione che riunisce ragazzi da tutto il mondo. Poi c’è il percorso Clil, grazie al quale alcuni docenti di varie discipline, dopo aver frequentato un apposito corso, sviluppano dei pezzi delle loro materie direttamente in inglese».

Viviani. Ingresso

E come seconda lingua?

«Francese e spagnolo, ugualmente ripartiti, cerchiamo sempre di equilibrare».

I genitori e le chat di classe

Preside, ma come sono davvero i genitori della sua scuola?

«Eh, terribili. Come le ho detto prima la nostra è una platea medio-alta con ragazzi molto seguiti, anche troppo. Per la maggior parte sono figli di professionisti, poi ci sono anche figli di artigiani, negozianti e commercianti e poi, ovviamente, una fascia più bassa, che è la prima che coinvolgiamo. Ma i ragazzi sono tenuti sotto una campana di vetro.

«L’eccesso di protezione è la causa principale del disagio adolescenziale. Noi cerchiamo di spezzare questo corso, di snellire certi processi, di collaborare con i genitori, ma anche, a volte, di tenerli lontani. Li interpello per ogni attività che organizziamo, cerco di coinvolgerli, ma per altri versi ho anche chiuso la scuola ai genitori, che volevano entrarvi con grande invadenza. Il genitore deve fare prima il genitore poi ha rapporti con noi e viene coinvolto, ma solo nei momenti istituzionali, quando è necessario. Vede un genitore girare per la scuola? No. Perché dobbiamo frenare la loro voglia di entrare così, di forza, nella vita dei figli».

In questo discorso rientrano anche le chat?

«Sul punto sono molto severa. I genitori usano troppo le chat e i social network ma io ufficialmente non le guardo e non voglio sapere niente. Se vogliono comunicare con noi come istituzione devono farlo secondo i canali ufficiali.

«Creano molti problemi, diffondono informazioni sbagliate e danno un esempio negativo: il ragazzo deve avere un rapporto con l’istituzione, deve essere educato ad averlo e deve essere parte integrante della società civile. Ci deve essere fiducia e questa non può essere sminuita con una chat. Su questo siamo severissimi. A volte anche i genitori devono essere educati».

Viviani. Esterno

La struttura opera di un architetto svizzero

Dopo due ore di colloquio, la preside ci accompagna a visitare il plesso che ospita la scuola media, a qualche metro di distanza rispetto alla primaria. L’impatto, lo ammettiamo, è straordinario. «È una scuola unica sul territorio napoletano – ci racconta – È stata costruita da un architetto svizzero, Dolf Schnebli, che ha progettato costruzioni tutte uguali in Europa e negli Stati Uniti. Ex scuola svizzera, qui tutto è studiato in particolare per ricevere illuminazione naturale, anche in palestra, grazie ai lucernai sul soffitto».

Viviani, palestra

Una struttura composta di ambienti che digradano sulla collina verso valle, con il mare in lontananza, con un’alternanza degli spazi che consente la fruizione del panorama da ogni aula. «Le aule sono in mattoni e legno, come vede, con ampie vetrate e pannelli che regolano la luce. Abbiamo anche un anfiteatro all’aperto, nel cuore della struttura».

Viviani. Anfiteatro

«Una scuola felicemente inserita nel verde con spazi distribuiti in modo tale da rendere ancora più gradevole il fine pedagogico. La Viviani sembra quasi una cartolina sospesa sul mare.

 

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