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L’umanità di Sarri, con Paolo Condò: «Sento la responsabilità verso le persone che stimo»

Recensione sullo speciale Sky “Mister Condò”, anche al di là delle parole di Sarri. Che picchetta il bracciolo e parla di tutto, dal talento a Bokowski.

L’umanità di Sarri, con Paolo Condò: «Sento la responsabilità verso le persone che stimo»

Abbiamo guardato in anteprima “Mister Condò”, la produzione Sky che racconta gli allenatori più importanti del nostro campionato. La puntata che domani sera andrà in onda (dopo Bologna-Napoli, ndr) sulla piattaforma satellitare fa il ritratto di Maurizio Sarri.

Arteteca

Maurizio Sarri è uno che non si sta mai fermo. Per gran parte dell’intervista con Paolo Condò, il tecnico toscano tortura letteralmente il bracciolo della poltrona su cui è seduto. Lo picchetta con la mano, l’accarezza, lo esplora da cima a fondo. Da molte parti, si legge che una persona che non riesce a controllare i propri movimenti è una persona a disagio, almeno in quel momento. Sarri dà questa sensazione, anche se le sue risposte sono precise, concordanti, lineari rispetto alla domanda e a quello che sembra il suo pensiero comune sulle cose, sul calcio, sulla vita.

Indossa una camicia e quello che sembra essere un cardigan, un outfit che è a metà tra la tuta con cui siamo abituati a vederlo e il doppiopetto che ci si aspetterebbe da lui. Parlerà anche di questo, Maurizio. Mentre si fa venire l’arteteca con un povero bracciolo di legno. Di quelli tipo intarsiati, con il bordo a uncino.

Maurizio sembra a disagio anche perché assume posizioni scomode mentre parla. Non siamo esperti di prossemica, ma il fatto che sia inquadrato tutto – non come in conferenza, dove c’è il tavolo che maschera il quarto di sotto – ci dà una dimensione più ampia. Ci permettiamo di presumere queste cose, di scriverle, perché dopo mostrerà di essere più calmo, più ordinato nella seduta. Il contesto era diverso.

Parole

Le dichiarazioni di Maurizio Sarri in questa intervista le avete lette un po’ dappertutto. Alcune le abbiamo anticipate anche noi (qui). Ci limiteremo, in questo pezzo, a segnalare alcuni passaggi che per noi sono importanti. Anche, se non soprattutto, in relazione a quello che abbiamo visto. Questa è una recensione che vuole essere – modestamente – come quella dei film, in cui si guarda tutto, non solo ai dialoghi. Ci hanno colpito diverse cose, pur nell’ambito di una normalità che è tipica del Sarri comunicatore. Che non è banalità o mancanza di strategia, ma sembra soprattutto spontaneità

L’inizio della carriera di allenatore, per esempio, viene raccontato con parole che potrebbero essere comuni a tutti i lavoratori del mondo. Quelli indecisi, che sono dubbiosi su una scelta che coinvolge tutti. La vicinanza tra calcio e realtà: «La responsabilità di dirlo a mia moglie era più forte rispetto a quella che sentivo verso mio padre. Per fortuna ho una famiglia che è stata completamente d’accordo con me, da subito. Mia moglie mi ha consigliato di fare questa cosa immediatamente, qualora ritenessi che questo era il modo per avere serenità. Mio padre mi disse le stesse parole, fui molto felice».

Monte dei Paschi, ieri e oggi. Fa male a un ex impiegato (Banca Toscana, la banca in cui lavorava Sarri, era parte del gruppo Mps ndr) sentire che oggi quel nome è accostato ai mali d’Italia: «Fa un brutto effetto, fa male. Parliamo di una grande realtà, importante per tutta la Toscana e per il Paese. Se penso a tutti i ragazzi che lavoravano con me… non so se la storia sia finita benissimo».

Parole/2

Il lavoro dei montatori di Sky è duplice, se non triplice. Le domande di Condò e le risposte di Sarri, il racconto attraverso alcune vignette, immagini suggestive di Napoli accompagnate da canzoni con anni di riferimento. Un po’ il percorso di Federico Buffa e i suoi racconti, più basati sulle risposte del personaggio che sull’aneddotica e sulla storia. Un’introspezione ampia, più vicina allo spettatore ma forse meno spettacolare. C’è del bel rock, comunque. Nel 201ì6, si arriva al pop contemporaneo. Questione di gusti, ma con Sarri ci sta meglio il primo.

C’è il racconto della prima parte della carriera, della Toscana, del calcio dilettantistico e delle differenze con la Serie A o la Champions. Una di queste, però, in realtà non esiste: «Ho avuto dei calciatori non professionisti molto professionali, e dei professionisti non molto professionali». Ci sono altre narrazioni distorte: «Io o lavoravo quasi allo stesso modo di adesso. La richiesta di grande applicazione e intensità era la stessa di oggi. Il pensiero sui dilettanti è strano, anche perché il calcio che si gioca è lo stesso. Il campo è uguale, la testa è uguale, cambiano le qualità tecniche e quelle fisiche. Il dovere di un tecnico è organizzare le squadre tatticamente, e lì riesci a trovarne alcune. L’enorme differenza di cui si parla, in realtà non c’è. Cambiano le pressioni, ma qui dipende dal carattere del soggetto. Ogni allenatore può reggerla o meno».

Responsabilità

Uno dei concetti su cui Sarri è più prodigo di parole è quello della responsabilità. Verso gli altri, innanzitutto, e qui parla in maniera sentita. Lo percepisci, voleva proprio dirla questa frase: «Ho bisogno di avere vicino a me persone che stimo, a cui voglio bene. Devo sentire di voler fare il mio lavoro anche per loro, mi sento più responsabilizzato per loro che per me. Se mi affeziono ad una persona in modo forte, mi sento obbligato a fare bene per lui. Quando questo mi succede, come ad Empoli, mi fa rendere di più. Mi piace il senso di responsabilità, mi sento obbligato con chi mi vuole bene». In questo punto, Sky fa partire foto di abbracci. Con Callejon, con Higuain – ovviamente.

Le parole sul Pipita le avete già lette, mi ha fatto incazzare come un figlio e cose così. Noi però ci aggiungiamo una cosa. «Gonzalo è un ragazzo particolare, ha bisogno che tutto giri in un certo modo per rendere». Probabilmente, Sarri è quello che ha capito meglio di tutti Higuain. E non è solo una questione di gol segnati, di rendimento. Quando vedrete Gonzalo strattonare e abbracciare Allegri come strattonò e abbracciò Sarri a Bergamo, verrete a dircelo. Avrete ragione voi.

Su Insigne, stessa cosa: «Lorenzo è un ragazzo solare, si sta bene con lui, ha sempre il sorriso. A volte va ricondotto al giusto modo di comportarsi e pensare, ma è uno a cui ti affezioni. Da lui pretendo molto, ha talento, ma può fare di più». La responsabilità del talento. Di Insigne verso se stesso, di Sarri verso Insigne e verso gli altri. Lo capisci quando dice che «gli allenatori devono lasciare che i campioni esprimano il talento che hanno nel dna». A questo punto, Sky inserisce in maniera malvagia perché perfetta, e perfetta perché malvagia, le immagini di Higuain. Bravi, idea scontata. E in questo caso, scontata non vuol dire brutta. Assolutamente no. È perfetta, lo abbiamo già scritto.

Etichette/1

L’altro concetto su cui ci siamo soffermati è quello delle “etichette”. Sarri l’ha detto spesso, non gli piacciono. In qualche modo, lo ripete anche adesso. Non è piccato, sembra parlarne più serenamente rispetto a quanto fatto trasparire in un’intervista a Repubblica mentre era tecnico dell’Empoli (qui). Quella frase fu il nostro modo per fargli gli auguri di compleanno.

Condò gli chiede come si fa ad arrivare dalla Sansovino al Real Madrid con la tuta. Forse, intendeva dire nonostante la tuta. Sarri risponde così: «È stata dura, ma sono soprattutto luoghi comuni. Non si valuta una persona da piccoli particolari, ma dalla persona in assoluto. Io metto la tuta perché faccio un lavoro da campo, mi sembra ridicolo andare sul campo col vestito da cerimonia. Poi, se devo rappresentare la società metto la divisa sociale. In questo il presidente non ha mai battuto ciglio. Ho fatto tutto a modo mio, qualcosa ho pagato perchè le etichette si pagano, ma su tanti aspetti ho avuto ragione».

Di Sarri su De Laurentiis, probabilmente avrete letto. Le incazzature, la tranquillità, il fatto di avere il dovere di salvaguardare la società dal punto di vista economico. E il ribadire che Sarri non fa il mercato perché non chiede. Una forzatura autonarrativa che, evidentemente, piace tanto al mister del Napoli. Un’autoetichetta, e ci perdoni. Abbiamo detto solo cose belle, finora. Nessuno è perfetto.

Etichette/2 e caffè

La seconda parte del suo trattato sulle etichette è visibile durante i titoli di coda. Condò e Sarri sono a un tavolo, Sarri ha tolto gli occhiali e Condò legge citazioni di Bukowski. Maurizio si scioglie, confessa di amare molto lo scrittore maledetto. È tutto più rilassato, più intimo. Sarri magari sa che c’è la telecamera accesa – deve saperlo per forza – ma sembra dimenticarsene. Sorride, ed è strano. È tranquillo, e pure questo è strano.

Arriva un caffè, e Maurizio e Paolo si parlano con serenità mentre il primo agita la bustina di zucchero monouso e il secondo già sorseggia. «Sono stato criticato ed etichettato, a volte giustamente altre meno. Ma non stato condizionato. Sono fatto così, forse per questo sono arrivato in serie A a 56 anni. La gente pensa sempre alla Champions, allo Scudetto, ma in realtà dentro al cuore hai una partita in un paesino vicino Siena, al termine della quale hai festeggiato una promozione. Ecco, quella partita ti trasmette ancora un’emozione gigantesca. Si finisce per pensare che l’emozione sia proporzionale all’importanza dell’evento. Non è così».

L’umanità di Sarri è un pregio tanto quanto un limite. Ognuno può declinarla come vuole, vederla come vuole. Nel secondo contesto, Sarri è un’altra persona. Beve il caffè e non picchetta sul bracciolo. Vorrà dire qualcosa, vuol dire qualcosa. È umanità, quello che traspare più di tutto da questa intervista. È Sarri, semplicemente.

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