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Il Napoli dei giovani è l’Europa del calcio, come Monaco e Borussia Dortmund

La Champions e le “classi sociali” del calcio europeo ci dicono che il progetto del Napoli è al passo con la borghesia del pallone. L’obiettivo? Provare a vincere, come sempre.

Il Napoli dei giovani è l’Europa del calcio, come Monaco e Borussia Dortmund

Finalità

Sotto un articolo del Napolista, su Facebook, è apparso un commento che mi ha colpito. Il pezzo in questione era quello sul parallelismo tra Real Madrid-Napoli e Manchester City-Monaco, e diceva pressappoco questo: «Bisogna capire quali siano, alla fine, gli obiettivi di Napoli e Monaco». Il resto del contributo parlava di tattica, io mi sono soffermato su questa prima frase. E mi sono chiesto: ma in un contesto economico-sportivo, quali sono gli obiettivi di un club se non quello di “provare a vincere”? Conviene a livello di prestigio, conviene a livello economico.

Seppure il proprietario di una squadra di calcio volesse “solo guadagnarci”, che è un po’ l’accusa che il tifoso medio rivolge alla generazione dei presidenti di oggi (De Laurentiis, Lotito, Cairo, Della Valle, ma anche Agnelli a Torino e la famiglia Edwards a Manchester), non avrebbe altra strada che quella: provare a vincere, appunto. Solo che c’è un problema di fondo: vincono in pochi. Di solito, uno solo. Quello più forte. Quello più ricco.

La Champions

Alla fine di questa prima tornata degli ottavi di Champions, c’è una sensazione duale. La rappresentano, a modo loro, due gruppi di due squadre: da una parte ci sono il Napoli e l’Arsenal, dall’altra il Psg e il Monaco. Le partite delle prime due, sconfitte onorevoli o disonorevoli contro le grandi potenze economiche del calcio europeo, ci dicono che la forbice tra la media borghesia del calcio europeo e la ricca nobiltà si sta allargando; le partite delle altre due, invece, raccontano che i progetti possono bastare, a volte, per colmare dei gap giganteschi. Progetti ricchissimi (Psg) portano a vincere 4-0 contro il Barcellona, progetti meno ricchi ma pieni di hype (Monaco) portano ad accarezzare l’impresa contro il Manchester City e poi a un naufragio nel mare dell’inesperienza. Il Napoli ha fatto più o meno lo stesso percorso.

Certo, episodi e contingenze sono fondamentali. Il rigore di Falcao avrebbe potuto stringere ancora di più la forbice, esattamente come il tiro di Mertens; un altro gol del Real, o magari il Psg che non gioca la partita della vita, avrebbero potuto allargarla a dismisura. Avrebbero potuto confermare le distanze.

Progetti

La Champions, però, riesce a dare un’indicazione comune: l’Europa del calcio va in una certa direzione, almeno per quanto riguarda la gestione “sportivo-manageriale” dei club. Il calcio europeo, oggi, si fa coi giovani. Si fa come il Napoli, mettendo insieme campagne acquisti orientate ad un’età sempre più verde. O allo sfruttamento del settore giovanile, ove possibile. Prendiamo il Monaco, oppure il Borussia Dortmund: 25,2 di età media per entrambe, il Bayer Leverkusen fa addirittura “meglio” (o “peggio”, a seconda dei punti di vista) con 24,9. Subito prima, il Psg degli sceicchi: da Ibrahimovic e David Luiz, colpi multimilionari e dall’età avanzata, fino a Draxler e Kimpembe. I francesi hanno un’età media inferiore a quella del Napoli, 25,6 contro 26,8, e battono 4-0 il Barcellona.

Lo stesso Manchester City è un mix tra giovani di belle speranze, gli arrivi voluti da Guardiola, e i mostri della vecchia guardia. Con il tecnico catalano, sono arrivati Sané, Gabriel Jesus, Stones. I Citizens sono ancora la squadra più vecchia della Champions, ma stanno iniziando un percorso a ritroso. Per svecchiarsi, per mettersi al passo con i tempi.

Il Napoli rientra perfettamente nel primo gruppo. Quello dei Monaco, dei Borussia Dortmund, dei Bayer Leverkusen. Club il cui fatturato permette solo la strada della valorizzazione dell’organico, della logica player-trading. L’obiettivo è provare a fare il massimo investendo e reinvestendo in calciatori, giovani e forti, che andranno a rimpolpare le rose dei top club. Quelli con il fatturato più alto. Al Napoli, in quattro anni, sono bastate tre cessioni pesanti: Lavezzi, Cavani, Higuain. Il Borussia Dortmund, nello stesso arco temporale, ha venduto Perisic, Kagawa, Götze (poi tornato alla base), Mkhitaryan, Hummels, Gündogan. Stessa storia nel principato di Monaco, nonostante i soldi di Rybolovlev: Kondogbia, Martial, James Rodriguez, Abdennour. Le cessioni degli ultimi tre anni.

Sicurezza

Sostenibilità e contestualizzazione. I club del calcio europeo devono provare a fare questo, anzi fanno questo. Ognuno nell’esercizio delle proprie possibilità. Quindi: Napoli, Monaco, Borussia Dortmund, Lione, Porto, Benfica sono la borghesia. E cedono e riacquistano, soprattutto giovani. In alcuni casi riesce il miracolo (Dortmund in finale di Champions e campione di Germania), in altri no. Poi ci sono il City e il Psg, progetti intermedi che stanno riscrivendo se stessi seguendo la logica dei giovani. Giovani, ma costosi: il Napoli, ad esempio, non avrebbe mai potuto prendere il fortissimo Sané o Draxler. Man City e Psg sì, l’hanno fatto e sono stati proprio loro a firmare le imprese in questi ottavi di finale. È l’evoluzione del modello a livelli più alti.

Poi, infine, ci sono i top club. Quelli riconosciuti, quelli che prendono i migliori e basta. Perché possono anche non rientrare dalle spese, non c’è problema. Il Real Madrid, il Bayern Monaco, il Barcellona. E la Juventus, che ha scelto questa strada un po’ sicura e un po’ rischiosa. Certo, tutte loro hanno e fanno delle eccezioni: il Madrid ha preso Rodriguez ancora giovanissimo, il Barça ha la cantera, il Bayer ha ricoperto d’oro Renato Sanches e la Juve ha “indovinato” Dybala dopo Pogba. Che è un po’ la sua assicurazione per il futuro. Nel frattempo, però, si acquistano solo i grandi campioni: Bale, Suarez, Higuain, Pjanic, lo stesso Hummels. Rientra perfettamente in questo gruppo il Manchester United: il club più ricco del mondo può permettersi Pogba, Ibrahimovic, Mkhitaryan. Prende pure Bailly, certo, ma il giovane difensore ex Villarreal è un’eccezione.

Vincere (forse)

Paradossalmente, e come scritto, è la strada più sicura. Ma è anche la più rischiosa: perché una cosa è essere competitivi, e loro lo sono senza dubbio. Un’altra è vincere, che alla fine ci riesce sempre e solo uno. Il fallimento è dietro l’angolo, sempre. E dopo, rientrare non è facile. È la storia dell’aristocrazia contro il popolo che si ingegna, è un’Europa che studia da grande e i grandi che provano a tenerla a bada con il solito modello del tutto e subito. C’è chi può, e chi non può. Il Napoli fa parte del secondo gruppo, ma lo fa come meglio non potrebbe. È questo il suo obiettivo. Lo dice l’Europa.

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