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De Laurentiis farebbe molto bene al Pd

Il tuo manager non è tuo amico né tuo confidente. It’s just business. Perciò Gianni Mura sbaglia, magari il Pd avesse De Laurentiis. La politica, Formica insegna, è sangue e merda.

De Laurentiis farebbe molto bene al Pd
Aurelio De Laurentiis (foto Ciambelli)

Si parla ancora di Madrid

Questo mio pezzo è a parziale smentita del precedente, scritto tre giorni fa. I critici potranno vederci la classica banderuola senza spina dorsale, i più benevoli un pizzico di onestà intellettuale. Fate voi. Io cerco di non smettere di cercare di capire.

La notte tra mercoledì e giovedì, reduce dalla diretta da Madrid seguita in un pub ai piedi della straordinaria Cattedrale di Santa Maria di Týn, nel cuore della città vecchia di Praga, ascoltando le parole di De Laurentiis ne ho tratto un fastidio immediato. Ho scritto che il procedere per questi strattoni rende il Napoli abbonato alla sconfitta a causa della mancanza dello spirito di servizio che deve riservarsi a una istituzione. In parte lo credo ancora. Ma, da allora, sono accadute alcune cose importanti che non sottovaluto.

Il capo non deve portare la pace

La prima è stata una interessante discussione in rete con una persona – la stessa che “non segue il calcio” e che Gallo cita nel suo articolo – la quale, a proposito dell’accusa di mancanza di cultura aziendale del presidente, se la ride mentre noi mammolette chiediamo al football di rimanere immacolato fuori da ogni logica di mercato. Proprio noi che chiediamo la cultura aziendale siamo estranei a ogni sua dinamica. È piu ambizioso il capo che spinge all’insoddisfazione o quello che dona pace agli animi?

Allora mi è sovvenuto un episodio personale. Ero a capo di un ufficio, da poco. Il mio responsabile, lo stesso che mi aveva proposto quella posizione, brillante e arguto, era uno di quei veri animali da competizione che raramente si ha la fortuna di incontrare sulla propria strada professionale. Un giorno ho un incidente personale, serio. Lo avverto appena posso che ho bisogno di alcuni giorni di riposo. Ne ottengo una mail, la mattina dopo. Ricordo ancora l’incipit: ”Stila un piano per non intaccare l’efficienza e la produttività dell’ufficio”. Non ne fui troppo colpito, la risposta mi parve naturale – forse come a Sarri sono apparse le parole di De Laurentiis – ma gli amici con i quali ne parlai ne ricavarono un certo disgusto per la totale mancanza di umanità.

It’s just business

Oggi ritengo quella mail uno dei migliori insegnamenti professionali mai ricevuti: il tuo manager (e quello era di certo uno dei migliori) non è tuo amico né tuo confidente. It’s just business. Mi sono chiesto, allora, perché io pretendessi che il presidente di un business milionario debba comportarsi diversamente. Debba trovare scuse. Debba rincuorare. La risposta me l’ha data quell’amico in rete: perché il tifo annebbia la mente ed è una terra immaginaria di uomini e donne di fede.

L’opinione di Gianni Mura

La seconda è l’evento del weekend, anche noto come congresso del Pd. Un grande giornalista come Gianni Mura scrive su Repubblica che qualcuno in quel partito, con un minino di senso dell’umorismo, dovrebbe concedere al presidente del Napoli una tessera ad honorem come esperto nel rompere i giocattoli. Mura ha torto marcio, però, e non lo dico io – che cambio spesso idea – ma una compagna molto sottovalutata, e senza tessera, ossia la realtà. È che a tutti noi, ad un certo punto, forse per stanchezza, piace il relax delle postazioni d’onore nelle quali ci si convince a vicenda di essere più esperti dell’uomo al comando, senza avere esperienza immediata. (In Italia questa tendenza si chiama “minoranza interna”).

Il sangue e merda di Rino Formica

Anzi, avendo visto parte del congresso, ritengo che Aurelio De Laurentiis non guasterebbe affatto alla segreteria del Pd, e che assieme ad un mio vecchio pallino – Bobo Vieri, che ho sempre sognato alla presidenza del partito mentre parla in teleconferenza da Formentera – formerebbe un ticket di totale successo nel solco della tradizione dei grandi politici di questo paese. Come Rino Formica, indimenticabile nel suo celebre parallelo tra politica e sangue e merda: “La politica è per gli uomini il terreno di scontro più duro e più spietato. Si dice che su questo campo ha ragione chi vince, e sa allargare e consolidare il consenso, e che le ingiustizie fanno parte del grande capitolo dei rischi prevedibili e calcolabili”. Togliete politica, mettete calcio, e l’equazione è sempre soddisfatta.

Quante storie per due frasi

L’avvenimento che chiude questi giorni è uno scambio di opinioni ad immediato ridosso della partita del Bernabeu. Con un amico, tifoso che vive a Londra, discuto delle esternazioni di De Laurentiis. Io sono forse un po’ scosso. Lui taglia corto. Dice che in Inghilterra si dice di peggio, ma si è più civili perché a fine partita si va tutti al bar ad ubriacarsi e il giorno dopo di cosa abbia detto un presidente non è rimasta traccia in nessun neurone di spettatore. “Giochiamo. E basta”. Forse ha ragione anche lui – vedi, a volte, che le amicizie contano? Forse allentare la morsa del nostro salutismo aiuterebbe a velocizzare lo sviluppo. Ingiorgiamoci con serietà e spirito di servizio, per dimenticare. Giochiamo, e basta.

In definitiva, per vincere bisogna essere anche duri ed inopportuni. Almeno a volte. Gli amici d’oltreoceano ci parlerebbero di Clint Eastwood. Noi potremmo rispondere citando Mario Brega. Sembra inopportuno. Ma entrambi lavorarono con Sergio Leone.

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