ilNapolista

Al Santobono, Pasqualino dà lezioni di filosofia

“Andare oltre si può” è un progetto di arte e solidarietà per sostenere iniziative rivolte ai più piccoli. Questo è un racconto di tratto dal libro ‘In cammino”.

Al Santobono, Pasqualino dà lezioni di filosofia

Andare oltre si può è un progetto in cui arte e solidarietà si incontrano per creare nuove opportunità e sostenere iniziative rivolte ai più piccoli. A tutti. Senza pregiudizi.

Il progetto ha auto-prodotto “In Cammino”, un libro in cui diversi autori italiani raccontano in poche pagine storie di inclusione, di egualitarismo, di accettazione e di amore per la diversità. Gli autori hanno prestato la loro penna per solidarietà, senza ricevere alcuna ricompensa.

Io ho abbracciato l’iniziativa con un breve racconto dal titolo “Il mio nome è Pasqualino… forse”.

Il libro costa solo 12 euro e il ricavato andrà in beneficenza a sostegno dell’associazione i cui componenti come Mariarosaria Amendola e Gina Truglio meritano tutta la nostra attenzione per l’impegno che profondono per questi nobili fini. (Vincenzo Imperatore)

Il mio nome è Pasqualino… forse!

Ho sempre preferito, nel trade off della vita, il cimitero all’ospedale. Perché al cimitero soffrono solo le emozioni di chi rimane mentre all’ospedale, oltre alle emozioni, soffre anche il fisico di chi forse andrà via. E non riesco a sopportare l’idea della sofferenza. Sono talmente vile e debole che pur di non vedere il patimento, evito, laddove possibile, anche di tentare di confortare chi vive il dolore. Sono inadeguato. L’inadeguatezza poi raggiunge una totale incapacità, un vero e proprio blocco psico-fisico, quando si tratta di entrare in un reparto pediatrico di un nosocomio.

La vita però talvolta ti violenta. E per un banale incidente capitato a mia figlia Alessandra mi sono ritrovato a sperimentare il tormento di vivere dieci giorni di ospedale. Esattamente un anno fa, durante una lezione di danza classica, Alessandra scivola e si procura, un po’ maldestramente, il distacco dell’epitrocleo, un piccolo rilievo osseo all’estremità inferiore dell’omero.

La stanza numero 11

Arriviamo all’Ospedale Pediatrico Santobono di Napoli una mattina piovosa e fredda che acuiva il senso di dispiacere e malessere. Ci sistemano in una stanza a 4 letti completamente vuota. La stanza numero 11. Eravamo i primi ospiti di quella che sarebbe divenuta poi la meravigliosa suite di una scena determinante della mia esistenza. In attesa dell’intervento chirurgico cui sarebbe stata sottoposta il giorno dopo Alessandra, lascio mia moglie e mia figlia e ritorno al mio lavoro. Attraversando i corridoi dell’ospedale pediatrico mi imbatto in un infernale percorso di cartelli di indirizzamento che mai avrei voluto leggere: reparto oncologico, chirurgia interna, malattie infettive, ecc. Scappo, mi rifiuto di affacciarmi in quelle stanze, cerco immediatamente l’uscita così come durante i sogni cerchiamo il risveglio per scacciare gli incubi. Perché, per me, non esiste la sofferenza dei bambini, è contro natura, mette in discussione ogni mia certezza sull’esistenza di Dio.

Dopo qualche ora telefono a mia moglie Matilde per sapere “lo stato dell’arte” degli accertamenti clinici e con voce sommessa, tralaltro coperta dalle urla strazianti di un bambino, mi dice che nella stanza è arrivato un ragazzino che si è fratturato il femore. Mi aggiunge “….è un bambino particolare, si chiama Pasqualino…” e mi saluta.

Un bambino “particolare”

Quell’aggettivo, “particolare”, nel vocabolario di casa nostra individua un bambino complesso, semplicemente complesso.
Nel tardo pomeriggio rientro all’ospedale, varco la porta della stanza numero 11 e saluto Alessandra. Matilde, mia moglie, e’ seduta invece accanto al letto posto di fronte a quello di nostra figlia. Coccola, scherza e distrae un bambinone di circa 100 kg tentando di lenire gli atroci dolori derivanti dalla frattura del femore. Dall’altro lato del letto e’ accomodato sulla poltrona riservata al parente dell’ammalato un giovane assistente sociale, Carlo.

“Ecco il papà di Alessandra” esordisce Matilde con il suo tipico entusiasmo e buonumore e, nel presentarci, aggiunge “E lui è Pasqualino!”
“Ue’ Pasquali’ …” mi sforzo di essere allegro e normale e mi avvicino per porgergli la mano così come si fa tra uomini. Mi guarda e con una espressione facciale che diverrà poi tipica, occhio destro semichiuso e relativa guanciotta tirata all’insù, della sua diffidenza nei confronti delle persone che non gradisce mi fa: “…..ciao sono Salvatore…”. Cerco di scherzare dicendogli: “ma come Salvatore? Matilde mi ha detto che ti chiami Pasqualino …”.

“Mi chiamo Salvatore”

Irritato e dolorante, stringe forte con la sua mano sinistra il palmo della mano destra di Matilde e ripete, urlando e sbattendo l’altra mano sul letto, per oltre 20 volte consecutivamente :” ….mi chiamo Salvatore, mi chiamo Salvatore , mi chiamo Salvatore…..”.

Carlo e Matilde cercano di calmarlo ma Pasqualino, anche per effetto della sua mole, ogni volta che si sbatte sul letto si procura un ulteriore fitta che si trasforma, per effetto di un angosciante loop, in altrettante grida di disperazione. Stanno per chiamare l’infermiere di turno per somministrargli qualche calmante. Io sono lì impietrito, non so cosa fare. Nella mia vita professionale di manager e di consulente aziendale ho insegnato e praticato costantemente l’approccio al “problem solving” ma non pretendetelo in un ospedale pediatrico. In quei posti si realizza una catarsi psico-fisica. È un mio limite: divento un’ameba, non servo a nulla, non do nessun contributo, sono solo un peso, non riesco a risolvere “quei problemi”.

In quella circostanza però mi esce dalla bocca una frase che ha lo stesso effetto del Voltaren.
“Ok , va bene Salvatore …” riesco a sussurrare.

Pasqualino-Salvatore si calma e dopo un po’ inizia anche a scherzare con me ma ….a distanza!

La paura di perdere Matilde

Non solo non devo avvicinarmi al suo letto, ma mi chiede costantemente di stare vicino ad Alessandra e di non chiamare Matilde che ormai è diventata la sua assistente personale. Appena Pasqualino si addormenta, Matilde e Carlo mi spiegano che il ragazzo è stato sottratto alla patria potestà di entrambi genitori, vive in una comunità assistito da giovani psicoterapeuti ed è affetto da un ritardo mentale provocato da ansia da separazione: in altri termini il bambino manifesta un’intensa sofferenza per l’allontanamento dai genitori o da altre persone care, ha problemi ad andare a scuola, a dormire da solo e può risultare preoccupato, fino all’ossessione, che possa succedere qualcosa di grave alle persone significative.

Matilde in poche ore era diventata un riferimento significativo e credeva che io gliela potessi sottrarre per dedicarsi a nostra figlia. Per questo mi invitava a stare vicino ad Alessandra. Per avere Matilde a sua disposizione.
Ma ancora non capivo però perché voleva che lo chiamassi Salvatore. Ma Pasqualino è un genio e lo scopriamo dopo poche ore.

La signora classista

Perché verso le 18 inizia il secondo atto di questa tragicomica rappresentazione di un pezzo della nostra vita. Direttamente dal pronto soccorso arriva Giulio, un ragazzino che, sebbene sottoposto ad intervento chirurgico qualche mese prima, continua ad avere dolori lancinanti a tibia e perone che si era fracassati a seguito di un incidente stradale. Il ragazzino, appena preso possesso del letto, estrae il suo tablet e inizia a giocare ad uno di quei stupidi virtual-game. Lo accompagna la mamma, Rossana, tipica espressione della borghesia non illuminata della nostra città, una donna molto classista e “spruzzamerda” che inizia a pontificare sulle condizioni della nostra sanità pubblica che non le aveva permesso di accedere al reparto con il suo cagnolino e che non aveva riservato una stanza singola al figlio

«Non è bello far vedere a mio figlio “quella” persona sofferente» ha testualmente ripetuto all’infermiere aggiungendo di star valutando di adire le vie legali per non essere stata avvisata in tempo della presenza di “quel” ragazzino.

I diversamente tolleranti

In quel momento mi rendo conto che il problema non era Pasqualino ma di tutti quelli che vestono l’ipocrita abito di essere normali. Il problema è dei “diversamente tolleranti”. Pronti a scandalizzarsi per un “cicciottello” ed infastiditi da chi, affetto da qualche problema di natura psicologica, ha la sventura di essere vicino di letto del figlio “normale”. Felici di fare monologhi con gli amici a quattro zampe, ma recalcitranti ai movimenti e agli acuti vocali di un ragazzino che occupa il posto accanto in ospedale. Paladini nel proteggere le nostre piccole creature, non tanto dal potenziale rincitrullimento da abuso di tablet e telefonini, quanto dalla natura “diversa”.

Volevo reagire subito ma ricevetti un input di sguardi minacciosi da parte di Matilde e mi fermai. Non volevo alterare gli equilibri già precari presenti in quella stanza. La presenza di Rossana dava fastidio a tutti.

Ma ci ha pensato Pasqualino! Pasqualino ha una intelligenza diversa ma comunque superiore a quella della signora “spruzzamerda” e, dopo una velocissima disamina del profilo psicologico di Rossana, capisce con quale arma deve combattere e vendicarci. Soprattutto come farsi ricordare per tutta la vita da Rosanna.

Lo show di Pasqualino-Bradamante

Inizia a chiamare l’infermiere perché deve fare cacca, lancia le carte delle caramelle che gli avevamo comprato sul letto di Giulio, sputa sull’abito di Rossana la pastina che, all’orario canonico della cena, il portantino aveva consegnato a tutti i ragazzi e obbliga l’intera stanza a guardare un programma alla TV che nessuno voleva vedere. Un susseguirsi di episodi che iniziavano ad infastidire Rossana ma nello stesso tempo divertire noi tutti soprattutto quando, nel tentare di reprimere e calmare Pasqualino, lo stesso si rivolgeva a noi e ci faceva, in una maniera maldestra ma spassosissima, “l’occhiolino” tipico di chi vuole dirti: “….facit fa’ a me’ !….”.

A un certo punto Rossana scatta e, sperando di fermare Pasqualino, tenta di essere determinata. “Pasqualino ora basta!” urla disperata.

Apriti cielo! Pasqualino riprende il refrain di qualche ora prima ripetendo decine e decine di volte con un simpaticissimo ghigno sornione “…io non mi chiamo Pasqualino ….io non mi chiamo Pasqualino…….io non mi chiamo Pasqualino…..”.
Siamo storditi ma intimamente soddisfatti e gaudenti perché notiamo che la soglia di sopportazione di Rossana si sta esaurendo.
Infatti scatta e urla a Pasqualino: “….e allora come cazzo ti chiamiiiiiiiii? ……”

E Pasqualino serenissimo: ” Bradamante!” , ripartendo con il refrain “….io sono Bradamante……io sono Bradamante…..io sono Bradamante…..”.

Cosa significa la libertà

Carlo, l’assistente sociale, ci spiegherà successivamente che Pasqualino aveva memorizzato quel nome dopo averlo sentito ripetere in una tipica espressione utilizzata dalle nostre parti, “mannaggia a’ Bradamante”, quando si vuole imprecare non direttamente contro una persona ben individuata. Si tratta di una contrazione del napoletano “male nn’ aggia (male ne abbia) Bradamante ” che è appunto un personaggio immaginario femminile che compare nell’Orlando Furioso di Ariosto.

Tempo due ore e Rossana, dopo aver telefonato ad una clinica privata per prenotare urgentemente una stanza singola, lascia disperata l’Ospedale Santobono. L’obiettivo è stato raggiunto! Grazie a Pasqualino che aveva esagerato per far passare un concetto: se tu cara Rossana hai questi pregiudizi e ritieni che persone come te debbano essere avvisati prima e per tempo della presenza di un “diverso”, come se una persona “complessa” avesse l’obbligo della libertà condizionata agli altri, allora ti faccio vedere io cosa significa libertà!

Un guru della comunicazione

Ma avevo capito pure perché Pasqualino si presentava talvolta con una identità diversa (Salvatore o Bradamante). Non era un disturbo dissociativo della personalità. Macché, Pasqualino è un talento, un filosofo dei nostri tempi, un guru della comunicazione.

Mi ha insegnato che il nome di una persona, soprattutto se comune come Salvatore o Pasqualino, appena conosciuta non racconta niente di quella persona, e quindi non dà la possibilità al proprio cervello di “aggrapparsi” a qualche informazione particolare. Proprio perché è un termine facile, comune, noto, non ci dice niente di speciale: a meno che la persona non si sia presentata come “Bradamante”.

E in quel caso sì che ti ricordi di “quella” persona. E soprattutto solo così forse un episodio di ordinario pregiudizio puo’ restare nella memoria di chi lo ha affrontato.
Solo così, invertendo la tendenza dilagante, Pasqualino poteva insegnare a Rossana che non era capace di giudicare ma solo di vivere di pregiudizi. Perché normalmente con il pregiudizio perdono sempre i più deboli mentre ci guadagnano i forti.

Normalmente il giudizio è figlio della responsabilità, il pregiudizio invece un effetto collaterale del fanatismo, dell’ossessione o, nelle forme meno cruente, della faziosità.
Normalmente giudicare costa, pregiudicare invece no.
Normalmente ma non per Pasqualino.

ilnapolista © riproduzione riservata