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La silenziosa crescita di Insigne

Ieri sera, il proverbiale tiraggiro di Insigne è stato sepolto da una bordata di sinistro. Il sintomo di un cambiamento, nel segno della professionalità.

La silenziosa crescita di Insigne

Subito dopo la fine della partita, è stato facilissimo piegarsi alla retorica della “vittima preferita”. Dei cinque gol segnati al Milan, che in realtà sarebbero stati sei se nel match d’andata Insigne non si fosse ingolosito di sincerità sul 3-2, negli ultimissimi minuti. Fece una bella scelta, Insigne, quella sera d’agosto. Entrò, c’era Mertens titolare alla sinistra di Milik. Lui era reduce dal disastro personale di Pescara e, soprattutto, da settimane turbolente. Il contratto, il contratto, il contratto. Gli agenti, l’ingaggio di Higuain, no in realtà ci basterebbe di meno, i capelli biondi come Messi. Il contratto.

Entrò, si mise al servizio degli altri. Insigne, proprio Insigne. Di solito, egoista al limite dell’Higuain. Convinto, convintissimo di dover dimostrare sempre la propria caratura di uomo decisivo. Un assist per un gol che non sappiamo ancora a chi fu assegnato, se a Callejon oppure a Romagnoli come autorete. Non ha molta importanza. Da lì Insigne cominciò a riscriversi.

Un girone dopo, il percorso è compiuto. Difficile ricordare un Insigne così bello a vedersi, importante a giocarsi, decisivo. Nel modo che vuole lui, nel modo che serve alla squadra. In tutti i modi in cui si può essere decisivi, e questo forse Insigne l’ha capito. L’abbiamo scritto tante volte, una volta facemmo un titolo autoevidente: “Quant’è forte Insigne quando non vuole spaccare il mondo“. Ieri sera, è stato l’Insigne che volevamo noi. Ma anche quello che lui stesso vuole essere. Il gol, la giocata bella. Che, però, è il contorno a una prestazione sontuosa.

I numeri

Abbiamo già accennato qualcosa nell’analisi tattica di Alfonso Fasano: 5 eventi difensivi dicono dell’importanza del ragazzo di Frattamaggiore nell’economia della squadra. Ci aggiungiamo qualcos’altro: Insigne è il calciatore che ha corso di più nel Napoli di San Siro, 12,6 km. Poi, 3 take-on positivi, 4 tiri verso la porta e un passaggio chiave. Una prestazione assoluta, totale. Una partita ben giocata. Come tutte le altre precedenti, del resto. Secondo il sito di stats calcistiche Squakwa, l’ultimo match in cui il rendimento (secondo parametri oggettivi, algoritmi preordinati) è stato negativo è (un ormai vecchio) Napoli-Lazio. Da lì in poi, solo buone prestazioni. Da lì in poi, sono arrivati i gol: la doppietta di Udine, quello col Sassuolo, poi l’Inter. Il capolavoro con la Fiorentina, e infine il Milan.

Profeta in patria, e Maradona

Sì, a questo punto possiamo piegarci anche noi alla retorica della “vittima preferita”. Quello di ieri sera è stato il quinto gol assoluto contro i rossoneri e il terzo a San Siro dopo le due perle dello scorso anno. Il 4 ottobre del 2015, il Napoli di Sarri si presentò davvero al mondo dominando a San Siro e vincendo di quattro gol. Insigne suggellò quella sera con una punizione e un tiro a giro (d’ora in poi tiraggiro), un inizio di stagione fantastico. Un periodo magico che sarebbe durato, più o meno, fino all’inizio del girone di ritorno.

Dopo, un periodo di flessione. Ci stava, non fu molto criticato. Nonostante la strana avversione che, da sempre, sembra caratterizzare il giudizio che i tifosi napoletani maturano nei confronti dei loro concittadini in maglia azzurra. Poi, ripetiamo ancora: l’Europeo, prima dell’estate complessa. L’inizio claudicante, il ritorno lento a una forma accettabile. E il Milan, giustamente, a chiudere il cerchio.

Insigne avrebbe potuto anche saldarlo con l’oro, questo cerchio. Stava per segnare un gol da leggenda, ieri sera. L’altra retorica è stata quella (scontata) di Maradona. Per una volta, possiamo dirlo, il tentativo vale il pensiero. Tra l’altro, con Donnarumma in porta.

Peccato

Oggi, Insigne è un irrinunciabile. È il perfetto complemento di un tridente inatteso che però ormai si muove a memoria. Se Mertens come centravanti sembra aver trovato il ruolo migliore per strutturare la sua anarchia, Insigne si è trovato improvvisamente e nuovamente esaltato nella sua posizione naturale. L’inizio di stagione era stato complicato, per il 24, pure a causa dei cambi in attacco. La presenza di Milik, oppure di Gabbiadini, avevano costretto Sarri a modificare leggermente l’asset dei movimenti offensivi. Finendo per penalizzare proprio Insigne, che più di tutti si era giovato della presenza di un centravanti/regista offensivo come il miglior Higuain dello scorso anno. Le nuove esigenze di Sarri avevano modificato l’essenza degli esterni del tridente, “costretti” ad avvicinarsi molto ai due nuovi attaccanti. Riducendogli gli spazi per giocare palla al piede, che per un brevilineo non propriamente scattante come Insigne erano una specie di paradiso calcistico.

Atteggiamento giusto

Piano piano, Insigne si è adattato. Ha iniziato a masticare le nuove consegne, ha iniziato a pensare di nuovo a giocare a calcio e non solo al pallone. Che poi, le due cose sono andate di pari passo. Con il ritorno a un’aderenza tattica rispetto alla sua squadra, Insigne è tornato a essere importante anche in fase conclusiva. Il recupero di certe misure è iniziato a Udine, con due gol da opportunista. È proseguito poi con il Sassuolo, prove tecniche di tiraggiro. Un’altra tappa intermedia contro l’Inter, con una bella coordinazione volante. Poi, la splendida rete di Firenze. In quello stadio Artemio Franchi che rievocava brutti ricordi e che ora, 3-3 finale a parte, è il luogo della rinascita.

Lungo tutto questo percorso, Insigne è stato professionista esemplare. Diminuiti i momenti di scazzo per le sostituzioni (si sono ridotte anche quelle, in verità. Un passaggio chiave resta il battibecco allo Juventus Stradium con Sarri che lo bacchettò malamente nel post-partita), aumentato il lavoro di concerto con la squadra. Cresciuta l’intesa con Mertens, nessuna notizia dei procuratori o di richieste esose, con il contratto ancora da rinnovare. Anche se le parti restano ancora distanti, molto distanti. I rumors dicono dopo il Real Madrid, ma Insigne intanto dimostra che non c’è problema. Che si merita, ormai due stagioni e mezza dopo l’ultimo adeguamento, una nuova attenzione sul contratto. L’atteggiamento giusto per poter avere forza nel momento in cui ci sarà da parlare con la società, al di là di offerte di altri club che non sarebbero difficili da trovare. O da ipotizzare.

Domani

Continuare così è un imperativo. Insigne serve al Napoli in questo stato di grazia, perché è un calciatore forte e importante nell’economia del gioco. Forse, non il fuoriclasse di cui si profetizzava a inizio carriera. Di certo, un calciatore che può stare nella lotta al vertice della Serie A. Che può stare in Champions. Che può stare in Nazionale, un suo cruccio. Ieri sera, più volte è stato inquadrato Ventura sugli spalti di San Siro. Se avrà preso appunti, Insigne dovrebbe stare tranquillo. Diktat tattici a parte, un giocatore così merita la Nazionale.

E merita il supporto di un pubblico che lo ama troppo, fino quasi a invidiarne il successo, nel classico rapporto controverso tra il pubblico di Napoli e i calciatori figli di questa città. Lui, napoletano e simbolo tecnico del Napoli. Aspira a diventarne una bandiera anche in senso assoluto, subito dopo quel bel fusto di Hamsik. Sarebbe una bella storia, sarebbe bello si continuasse così. Insieme, il miglior Insigne e il miglior pubblico e i migliori analisti. Per proteggerlo dai suoi fantasmi autoindotti, per ricordargli che è un grande calciatore che può essere decisivo. Ma non è necessario che lo sia sempre, perché serve innanzitutto per le sue qualità basic, senza fronzoli. Come ieri sera, che il tiraggiro è rimasto sepolto sotto una bordata di sinistro. Essenzialità, guardare al sodo. Insigne come il Napoli, tutti bene grazie.

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