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Hamsik e il suo piede sinistro

Un ambidestro puro che nei momenti più difficili si affida al mancino. Contro il Besiktas come a Bilbao e tante altre volte. Un calciatore che è cresciuto davanti ai nostri occhi.

Hamsik e il suo piede sinistro

Zielinski-to-Hamsik

Abbiamo parlato del gol di Hamsik in diversi articoli del nostro giornale, oggi. Gianni Montieri ne ha fatto una descrizione letteraria, Nicola Lo Conte l’ha inserito nella sua galleria gif. Alfonso Fasano, nella sua analisi tattica, ha premiato la lettura dello spazio e l’inserimento (perfetto) sulla palla (perfetta) di Zielinski. La tecnica, il significato, il godimento. Non è un gol che resterà nella storia, non è il pallonetto geniale e irripetibile di Mertens. È una realizzazione che, però, appaga l’occhio e l’intelletto. È frutto di evoluzione, di gestione del tempo e dello spazio: è l’Hamsik di oggi, determinante quando fa ancora l’Hamsik che si inserisce ma pure decisivo come motore pensante della squadra.

Solo Marek

È un gol riproducibile, certo. Forse anche per questo non entrerà nell’album dei più belli, degli indimenticabili. Eppure in redazione ci siamo chiesti: in quanti, nel Napoli, riuscirebbero a segnare un gol così? O meglio: quanti calciatori del Napoli hanno questa capacità di controllo e indirizzamento del pallone con quello che, fino a prova contraria, è il loro piede debole?

La risposta non esiste, ovviamente. Non è oggettivamente dimostrabile, non sappiamo se Mertens di sinistro o Milik o Gabbiadini di destro riuscirebbero a incrociare così, di piatto al volo, lo splendido lancio di Zielinski. Quello che però possiamo in qualche modo dimostrare è la capacità di Hamsik di segnare gol così indifferentemente col destro e il sinistro. Una sorta di rewind storico, infatti, ci assicura – senza possibilità di smentita – che lo slovacco è un calciatore fondamentalmente ambidestro. E che, anzi, nella sua lunga avventura napoletana ha segnato tantissimi gol di sinistro. Alcuni anche importantissimi. L’ultimo, di capitale importanza e pure abbastanza fresco nella nostra memoria, è questo qui contro il Besiktas. Religioso silenzio.

Abitudine

La stagione in corso è piena così di reti mancine, tutte belle. Alcune pure discretamente importanti: la bordata in diagonale col Chievo, il fendente contro l’Inter, la demi-voléè contro il Palermo su cross di Ghoulam. Ci sarebbe anche quello contro la Lazio, per un totale di cinque gol. Sugli otto stagionali, che fanno già pari con quelli realizzati in tutta l’annata 2015/2016. Furono otto, grazie alla rete che aprì Napoli-Frosinone il 14 maggio scorso. Pochini, considerando la media. Anche quello decisivo contro il Torino, Befana 2016, arrivò di sinistro. Quando il gioco si fa duro e le reti diventano decisive, i tiri di Hamsik sono solitamente mancini.

È una chiave curiosa per raccontare il calciatore, per narrarne l’assoluta completezza. Certo, sono tantissimi i calciatori di livello internazionali ad avere o avere avuto due piedi praticamente equivalenti. Quanti, però, sono transitati con un impatto così importante, duraturo e incancellabile nella storia del Napoli? Dieci anni fino a diventarne capitano e simbolo riconosciuto, proprio nessuno. Juliano, ok. Ma parliamo di un altro ruolo, di altri tempi. Di un altro Napoli.

Simbolo

Hamsik è qualcosa di più, è il simbolo riconosciuto di una squadra che ha saputo scegliere, conquistarsi e mantenere un assoluto primato di talento. Che ha affermato questa politica proprio e sempre grazie a lui, l’ex ragazzino di Banská Bystrica fattosi uomo e fuoriclasse alle pendici del Vesuvio. Uno che, non è un caso, segnava così il suo primo gol in Serie A. Di sinistro.

Uno che segna così il suo primo gol europeo, qualche mese dopo. Era l’Intertoto, era il Panionios.

Diventare grandi

Nel frattempo, cresce il Napoli e cresce Hamsik. Da Reja a Donadoni e poi a Mazzarri che nel primo anno lo mantiene nello stesso ruolo di sempre: centrocampista di incursione, un attaccante aggiunto che sa leggere come pochi i tempi di inserimento. Anzi, come pochissimi. I paragoni si sprecano, siamo negli anni del primo crepuscolo di Lampard e Gerrard e allora le recensioni fanno incautamente certi nomi. Hamsik risponde sempre presente, attraversa periodi in cui sembra vagare con la testa tra le nuvole. Ci sta, ha nemmeno 23 anni. Pensare che oggi si avvicini ai 30 ci fa capire quanto siamo cresciuti. Alcuni sono diventati vecchi, altri sono meno giovani.

Il secondo Mazzarri vede Hamsik in un ruolo nuovo: trequartista esterno, lavoro di cucitura del gioco alle spalle di quel mostro assassino cannibale del gol che risponde al nome di Cavani. È un Napoli già piccolo-grande, che gioca in Europa senza passare da preliminari vari. Il primo gol nella Coppa Uefa vera, che da un po’ si chiama Europa League, è fantastico. Ed è un sinistro, noblesse oblige. Contro la Steaua Bucarest.

Da Mazzarri  a Benitez

La trasformazione di Hamsik è ormai completa, ed è una maturazione reale e verificata. Anche in ambito internazionale. Anzi, soprattutto in quegli ambienti lì. Quelli cui appartiene (ancora) il Milan, che lo vorrebbe accoppiare a Ibrahimovic dopo lo scudetto del 2011 vinto proprio dopo una lotta (più virtuale che reale) con il Napoli. Hamsik resiste, vuole giocare la Champions in azzurro. Lo fa, e segna così il primo gol. Contro il Villarreal. Non c’è bisogno di specificare con quale piede.

Segnerà anche al ritorno, Marek. Stavolta di destro. Poi realizzerà un altro gol di sinistro in Champions, ma quello è abbastanza amaro da ricordare. Athletic-Napoli, la notte di Bilbao e di un preliminare che ancora oggi brucia ricordare. Era il biennio di Benitez, una specie di supplizio tattico per un calciatore che stava cambiando e voleva diventare un costruttore di gioco. In realtà, dati alla mano, la seconda stagione con lo spagnolo in panchina è stata la migliore di Hamsik. Che seppe essere capitano, nonostante le incomprensioni puramente posizionali col tecnico madrileno: mai una polemica, sempre professionale e professionista. Il primo gol della stagione 2013/2014, la prima con Rafa in panchina, arriva di sinistro. Dopo un dribbling al portiere, ma comunque con il mancino. È una costante, ormai.

Oggi (e domani?)

Hamsik è un calciatore diverso da quello che è stato, da quello che era. Ora è il capitano del Napoli, inteso come ruolo istituzionale e fascia al braccio ma anche come ispiratore morale e tecnico e tattico della squadra. Il gol di ieri, un arcobaleno di classe, è forse la chiusura del cerchio. Il finale di un percorso che l’ha trasformato in grande e completo centrocampista costruttore (37 key passes e 7 assist solo in campionato, quest’anno) senza dimenticare il passato. Ovvero il tiro, l’inserimento, la lettura dello spazio offensivo. La sensibilità di tocco, indifferentemente col sinistro o col destro. Repertorio da campioni, da fuoriclasse. Di cui abbiamo goduto e godremo ancora.

Anche perché, all’orizzonte, spunta la sagoma di Piotr Zielinski. Che somiglia sinistramente al Marek di sette-otto anni fa. Ed è una cosa proprio carina, al solo pensarci.

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