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Ho sistemato Hamsik sullo scaffale, tra Anna Maria Ortese e Moby Dick

Quando penso al Capitano, penso a lui e non faccio torto a nessuno. Ho buona memoria ma non smetto mai di immaginarmi il futuro.

Ho sistemato Hamsik sullo scaffale, tra Anna Maria Ortese e Moby Dick

Ogni tanto qualcuno (una storia di Hamsik)

Mi rendo conto di non aver mai scritto di Hamsik, non bene come avrei voluto. Il capitano, ovviamente è presente in quasi tutti gli articoli che ho scritto sul Napoli, ma non ha mai avuto un pezzo tutto suo; è mai possibile? Mi sono chiesto lunedì sera, mentre il Torino si faceva raggiungere da un deludente Milan, e poi dopo mentre rimettevo a posto un po’ di libri sugli scaffali. Ci sono alcuni libri che posiziono sempre davanti, in bella mostra, a occhi chiusi. La differenza non la fanno né i titoli né le copertine ma quello che c’è dentro.

Pensavo ad Hamsik, potrebbe stare solo sullo scaffale dove stanno i libri di DeLillo, insieme a Moby Dick, in braccio a Carver, appoggiato col dorso inclinato verso Sciascia o Foster Wallace, appena sotto un Bufalino, un Pasolini, faccia a faccia con un Raboni o un Giudici, a chiacchierare da libro a libro con Amelia Rosselli, a dare del tu al celeste della copertina de “Il mare non bagna Napoli” di Anna Maria Ortese; pensavo a tutto questo e mi dicevo: ma davvero non ho mai scritto un pezzo sul capitano? E allora lo scrivo adesso, perché mi pare una grave mancanza.

Un calciatore fatto di meravigliose parole

Mettiamo il capitano sullo scaffale che gli compete. Hamsik è un calciatore fatto di meravigliose parole, di frasi perfettamente riuscite. È un centrocampista che non eccede in aggettivi, non è mai superfluo, è essenziale ma intenso. Non perde tempo girando intorno a un concetto, quando è il momento conclude la frase, di destro o di sinistro o di testa, mette il punto. E il punto è l’ultimo passaggio, e il punto è il gol.

Ogni tanto qualcuno salta fuori sostenendo che Hamsik non sia bello da vedere, che non possieda la leggerezza nella corsa, il tocco delicato. Ogni tanto qualcuno salta fuori sostenendo che si tratti di un calciatore straordinariamente efficace ma non piacevole da veder giocare. Ogni tanto. Ora, ci accontenteremmo anche soltanto della straordinaria efficacia di rendimento e di numeri, mentre scrivo il capitano è a 106 gol realizzati con la maglia del Napoli, il record di Maradona è dietro l’angolo, questo già basterebbe.

I libri belli sono sempre efficaci

Stando all’efficacia potremmo aggiungere il numero elevatissimo di assist, di palloni recuperati, di chilometri, di ripartenze, di presenza decisa sul campo quanto discreta fuori. Tutto questo già basterebbe. Ogni tanto qualcuno, però. Allora, una volta tanto spieghiamo qualcosa a qualcuno, perché non di sola efficacia vive l’uomo e non di solo rendimento vive un calciatore. Il capitano starebbe sullo scaffale dei libri belli, e, ricordiamocelo, i libri belli sono sempre efficaci. Ogni tanto qualcuno.

[…]davanti agli occhi non avremo
che la calma distesa del passato
da ripassare senza fretta
fermando ogni tanto l’immagine
tornando un po’ indietro, ogni tanto,
per capire meglio qualcosa[…]

I versi di Raboni

Questi versi, corpo centrale di una delle più belle poesie di Giovanni Raboni, mi sono tornati in mente pensando ai gol di Marek Hamsik, a quelli che ricordo perfettamente e a quelli che mi saltano agli occhi, giorno dopo giorno, dai filmati che Il Napolista pubblica quotidianamente sulla propria pagina Facebook. L’idea del Napolista applica, inconsapevolmente, al calcio (con il dovuto rispetto) quei versi di Raboni; gol dopo gol, ripassiamo senza fretta, “fermando ogni tanto l’immagine” e “tornando un po’ indietro”, per rivedere un momento del passato, un gol che avevamo dimenticato e che oggi, considerando cosa Hamsik è diventato, ci pare importante, come tutti gli altri. Guardiamo i gol del primo o del secondo campionato e vediamo già tutto.

Quel ragazzino magro

Quel ragazzino più magro, che sembra addirittura più basso, con una cresta che non lo è ancora, con meno muscoli ha già tutto quello che poi esploderà: la scelta di tempo nell’inserimento, la capacità rarissima di leggere l’azione, il dribbling di preparazione al tiro, la coordinazione, il tiro di destro, il tiro di sinistra, il colpo di testa. Ora diciamo: si vedeva già tutto. Ma poi tutto è diventato meglio, ogni dettaglio ha completato l’immagine e quello che io definivo mezzo Tardelli e mezzo Nedved, e poi un po’ Gerrard, non è altro che Marek Hamsik uno dei migliori centrocampisti del mondo, uno dei più costanti e, sì, uno dei più belli da vedere. Sono pochissimi i gol di Hamsik casuali, la maggior parte sono belli.

Un gol alla Hamsik

I più belli, quelli che io preferisco, “per capire meglio qualcosa”, sono quelli in cui il capitano si inserisce da dietro, quella scelta di tempo, che ad avercela nella vita faremmo scelte migliori, quasi sempre giuste. Negli ultimi tre o quattro campionati, poi, sono tutti meravigliosi perché vengono assecondati e accompagnati dal bel gioco. Il Napoli non fa quasi mai gol brutti o casuali, Hamsik quasi nessuno. Perciò non Tardelli, non Nedved, non Gerrard, è tempo di guardare al futuro e pensare a quelli che verranno, a quelli bravi, a cui guarderemo con un sorriso e diremo: “Mi ricorda Hamsik”. Ogni tanto qualcuno si ricordi che la capacità di inserirsi di Hamsik e quel sorriso da ragazzino vengono dalla Slovacchia, da chissà quale cortile, da quale banco di scuola, da quale sacrificio. Hamsik ce l’ha fatta e lo sa.

«Non voglio costringerla a fissarsi su una cosa o su un’altra; glielo suggerisco, semplicemente. Quando le chiedo di fissare l’attenzione su qualcosa, non l’aiuto affatto a comprendere la storia; ma forse questi miei suggerimenti possono essere utili per avvicinarsi al modo in cui io comprendo la storia, la mia storia».

Ogni storia che raccontiamo è la nostra visione parziale di qualche fatto accaduto, è un pezzo caduto dalla nostra immaginazione, è sempre tutto vero ma è anche tutto inventato. Questa frase di Juan Carlos Onetti mi aiuta a dire che raccontare il capitano a modo mio non è un tentativo di convincere qualcuno ma è un suggerimento all’evidenza. Avvicinatevi alla storia, pensate ai momenti, riguardate le azioni, una per una, vedrete la storia di Hamsik che è anche un po’ la vostra storia, quella di molte domeniche.

Quando penso al Capitano, penso a lui

Come Onetti, non voglio aiutarvi a comprendere la storia, vi chiedo solo di ricordarla; se volete andate all’indietro, partite dal taglio di domenica pomeriggio sull’assist di Zielinski, guardate Hamsik, guardatelo quasi fermo mentre guarda Zielinski, guarda il pallone, guarda i difensori per non sbagliare il tempo, guardatelo perché tutto questo avviene in movimento e in due o tre secondi; partite da lì e andate indietro fino al giorno in cui lo comprammo dal Brescia, andate più indietro fino alla Slovacchia perché da lì viene il capitano, che non è napoletano ma ha scelto Napoli.

La casa di un uomo, così come la patria, è quella in cui sceglie di vivere. La casa di Hamsik è il San Paolo prima di tutto e poi saranno le mura dentro le quali vive, sarà la sua famiglia. E poi sarà qualche strada che è stata anche la vostra, un luogo dove siete passati qualche volta o sempre.

Hamsik sta dove deve stare, tra i libri migliori, quelli destinati a rimanere anche quando le pagine saranno ingiallite dal tempo e dai nostri traslochi. Per qualche motivo quando penso al “Capitano” non penso a Maradona, non penso a Juliano, non penso a Bruscolotti, loro li ho sempre chiamati per nome, penso a Marek Hamsik, e non faccio torto a nessuno, ho buona memoria ma non smetto mai di immaginarmi il futuro.

Libri:

Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, Adelphi

Giovanni Raboni, Barlumi di storia ora in Tutte le poesie, Einaudi (la poesia per intero la trovate qui: https://poetarumsilva.com/2016/07/25/giovanni-raboni-barlumi-di-storia-2/)

Juan Carlos Onetti, Per una tomba senza nome, traduzione di D. Puccini, Edizioni Sur

Herman Melville, Moby Dick, traduzione di Ottavio Fatica, Einaudi

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