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Emigrante? Sì, a Firenze. Il Napoli, Lello Sodano e l’insegnamento di Baggio

Giovanni Piccolo, laureato in Storia che ha scelto Firenze per lavoro. Il padre gli ha trasmesso l’amore per il Napoli e Maradona. La folgorazione avvenne con Di Canio

Emigrante? Sì, a Firenze. Il Napoli, Lello Sodano e l’insegnamento di Baggio

Chissà se Lello Sodano, il mitico personaggio interpretato da Lello Arena in “Ricomincio da tre”, avrebbe mai immaginato di dare il suo nome, un giorno, ad un gruppo Whatsapp composto da emigrati meridionali innamorati del Napoli…

Uno di questi affezionati del “Chi parte sa da che cosa fugge ma non sa che cosa cerca” di ‘sodanesca’ (e ancor prima ‘montaignesca’) memoria è Giovanni Piccolo, 33 anni, nato solo un anno prima dell’arrivo di Maradona a Napoli, per la gioia dei suoi genitori, soprattutto del papà: «Sono nato a Napoli, Villa Cinzia, Soccavo. Vicino al “Paradiso”. Nel primo anno della mia vita ero un neonato che dormiva pochissimo, e ho dato un gran filo da torcere ai miei genitori, ma mio padre dice che almeno durante quelle notti insonni ha avuto la possibilità di essere aggiornato costantemente sull’acquisto di Diego».

Da Napoli a Firenze

Da Napoli, Giovanni si è trasferito a Firenze, proprio come Massimo Troisi nel celebre film. Nel capoluogo toscano vive da cinque anni, e da quattro convive con una fiorentina e tifosa viola abbonata in curva sin da bambina che «ormai, oltre a “salire” e “scendere” le cose e usare la “ceneriera” (e non il posacenere), segue più il Napoli che la Fiorentina».

Giovanni è andato via da Napoli sapendo, alla Lello Sodano, appunto, da cosa fuggiva: «Nel 2011, con una laurea in Storia in tasca, ho capito che non c’era molto da fare a Napoli. Ho deciso di sfruttare la mia buona conoscenza dell’inglese e dello spagnolo in una città che “vive” con gente da tutto il mondo».

Turismo e lingua italiana

La scelta è ricaduta su Firenze, non una grande metropoli ma una dimensione più ristretta. Qui Giovanni ha avviato la sua attività di guida turistica e insegnante di italiano per stranieri: «A Firenze vengono tanti giovani stranieri a studiare, ma anche tanti adulti, per amore della cultura e dell’arte. L’italiano è difficile da imparare, soprattutto per chi viene dai paesi arabi o dall’Oriente, ma chi studia la nostra lingua in genere è una persona che ha fatto una scelta di passione e quella conta tantissimo nello studio di qualunque disciplina».

Ci spiega che secondo lui il boom turistico di Firenze è dovuto anche alla produzione di libri e film internazionali ambientati qui (come Inferno, di Dan Brown, o la recente serie sui Medici), e si augura che anche Napoli sia presto portata sul grande schermo, con tutte le sue specificità: «Immagino un film fantastico in stile barocco da affidare ad un genio come Terry Gilliam, ad esempio, appassionato di maschere, anche di quelle napoletane».

Lello Sodano

Come vive un napoletano, a Firenze? «Non è una città in cui è facile inserirsi, soprattutto quando vi si arriva tardi, magari non frequentando qui l’Università – spiega –. Di napoletani ce ne sono tanti, qui, ma per vivere bene devi staccare il cordone ombelicale che ti lega alla tua città, alla tua cultura e alle tue abitudini. E comunque, almeno nelle tradizioni culinarie, qui si trovano tranquillamente buone pizzerie, forni con casatielli, pastiere e friarielli e pure le mozzarelle. L’unico problema serio, almeno per me, è il caffè al bar».

Giovanni Piccolo. Lello Sodano

Il taglio del cordone ombelicale però non può mai avvenire in maniera lacerante, anche perché di napoletani emigrati ce ne sono dappertutto, e così Giovanni a Firenze frequenta, manco a dirlo, dei conterranei: «Sono originario di Acerra, e qui siamo una decina che veniamo da quelle parti, compresi alcuni amici di adolescenza. Con alcuni di loro condivido la passione calcistica».

«Il nostro gruppo Whatsapp si chiama “Lello Sodano”, dal personaggio di Lello Arena in Ricomincio da tre, ambientato, appunto, a Firenze. Un bellissimo ritratto di una certa tipologia di emigrante che è un po’ in tutti noi, un Sancho Panza senza arte né parte che si ammanta di una saggezza profonda con frasi rubate a Montaigne…».

L’amore per il calcio

Ci racconta che la sua passione per il Napoli è forte e «che concilia l’amore per l’estetica all’identificazione con la propria cultura». Ci parla del padre che gli ha trasmesso il suo amore totale per il calcio.

«Sono cresciuto con i suoi racconti e una bella collezione di Vhs su Cruijff, il Napoli di Vinicio, il fantastico Brasile dei 4 centravanti (Rivelino, Jairzinho, Pelè e Tostao) e di Italia-Germania 4-3 e poi del Brasile ’82, forse anche più bello, che però ebbe, per nostra fortuna, Serginho centravanti, fino a Maradona-Careca-Giordano e ahimè al Milan dei tre olandesi.

«Da bambino tifavo Napoli, più grandicello iniziai a tifare per i giocatori, i numeri 10: ricordo l’amore per Baggio, l’infatuazione per Bergkamp che vinse in finale contro il Torino la Coppa Uefa 1992, e poi ci fu Napoli-Milan del 27 marzo 1994. Il Milan che vinceva tutto. Il Milan che, all’epoca, era l’avversario più sentito.

«Non c’erano le pay-tv a quei tempi ma quel giorno, per motivi di ordine pubblico, Raitre trasmise, solo per la Campania, lo spettacolo del San Paolo illuminato dal sole e con una fantastica coreografia. Di Canio segnò un gol stupendo, fintando, contro fintando e rifintando (alla Cruijff) per poi infilzare Seba Rossi che aveva appena battuto il record di imbattibilità di Zoff. Cambiò tutto. Devo dire che per me vale ‘un giorno all’improvviso, mi innamorai di te…’».

L’esterofilia napoletana

Il suo passato di laureato in Scienze storiche con indirizzo contemporaneo (“con tesi sulla Dc a Napoli tra il 1965 ed il 1970) viene allo scoperto quando gli chiediamo che rapporto esiste, secondo lui, tra Napoli città e Napoli squadra.

«È un rapporto profondo, legato a una questione identitaria per una città e un popolo che non sono mai diventate Nazione e hanno trovato nella loro evoluzione tante situazioni particolari: una classe dirigente che per secoli e di continuo si è composta e ricomposta con innesti da altri paesi (Spagna e Francia in primis) e da altre zone di quello che era il Regno più grande della penisola, e una popolazione residente che se da un lato assorbiva tutto da questi innesti, dalla lingua alle tradizioni culinarie, e li remixava con risultati sorprendenti, si creava una propria visione del mondo e un proprio sistema di pensiero».

È a queste due realtà in continuo contatto e in continuo divenire che Giovanni riconduce «una certa bipolarità che ancora oggi ci caratterizza e soprattutto l’impossibilità di una connessione reale tra le due e per questo l’esterofilia allargata dei napoletani è un concetto che non si riduce a regnanti stranieri ma a tutte le figure importanti e carismatiche che identificano questo rapporto, dai grandi sindaci Lauro, Valenzi e Bassolino, ai miti sportivi da Jeppson a Pesaola, fino a Sivori, Vinicio, Altafini, Careca e Maradona.

«Il Napoli vince i suoi scudetti con Bianchi e Bigon, ed il presidente più duraturo e vincente è Ferlaino, di origini calabresi e milanesi. Oggi abbiamo un presidente romano, un capitano slovacco ed un allenatore toscano… fosse la volta buona?».

Giovanni Piccolo. Sarri

Il calcio dei fiorentini

E a Firenze? Come lo sentono il calcio, i fiorentini?«Con un’identificazione culturale profonda – risponde – L’amore è una questione delicata, fatta anche di sbalzi umorali, ed in questo ci si avvicina molto all’esprit napolitain. Ed inoltre, come da noi, a Firenze il ‘coso’ non si vince da troppo tempo e questa condizione pesa. La rivalità con la Juve è risaputa, ma anche con Milan e Roma non si scherza. E poi c’è la tradizione del Calcio Storico, che vede confrontarsi i quattro quartieri storici del Centro a giugno, in piazza Santa Croce».

Il Museo di Coverciano

Una passione per il calcio, quella di Giovanni, che è arrivata a fruttargli una specializzazione nel Museo del calcio di Coverciano. «Qui a Firenze, al Museo di Coverciano, ho conosciuto il dottor Fini, medico della Nazionale dagli anni ’60 agli ’80, fondatore e direttore del Museo. È lui che mi ha educato su quello che c’è lì dentro. È bellissimo, oggi, poter accompagnare i visitatori tra coppe del mondo e magliette indossate dai grandi campioni, raccontare aneddoti e far riaffiorare ricordi.

«E poi il Museo conserva anche una maglietta di Diego, quella di Italia-Argentina ’82 e quando la vedo mi torna sempre in mente la frase che un amico di mio padre mi disse la sera di Brasile-Russia ad Usa ’94, dopo che mi aveva visto esaltato per il gioco dei brasiliani: ‘Guagliò, stasera hai visto come si gioca in Paradiso, dimmane ce stà ‘o Patatern’».

L’insegnamento di Baggio

Come finirà il campionato, secondo te? Gli chiediamo. «Col bel tempo di maggio, l’unica cosa di cui poter (e voler) essere sicuri». Risposta scaramantica! Ma tu allora sei di quelli che quando uno dei nostri tira un rigore ti copri gli occhi per non guardare? «No. Ho imparato da Baggio che le cose brutte le devi guardare in faccia».

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