ilNapolista

L’Atletico, la Premier, la nostra Serie A: sta scomparendo il calcio del presidente-mecenate

I grandi gruppi stranieri stanno modificando gli equilibri del calcio europeo. I tifosi devono piegarsi a queste logiche di mercato se vogliono che i loro club restino competitivi.

L’Atletico, la Premier, la nostra Serie A: sta scomparendo il calcio del presidente-mecenate

Valencia, Madrid

Ieri, sono successe due cose in Spagna che ci hanno fatto pensare. Roba di calcio, lontana da Napoli. Premettiamo, quindi: tifosi azzurri, critici o non critici verso la gestione De Laurentiis, non sentitevi chiamati direttamente in causa. È una discussione generale e generalizzata.

Comunque, le due cose di calcio: Prandelli che sbrocca a Valencia, in conferenza stampa, e l’ufficializzazione del nuovo stadio dell’Atletico Madrid. Si chiamerà Wanda Metropolitano, e ovviamente lady Nara-Icardi non c’entra nulla. Wanda è il nome del consorzio cinese che ha acquistato il 20% delle quote dei Colchoneros, e che quindi ha investito pesante e vuole un ritorno quantomeno, o inizialmente, di immagine. E i tifosi non sono propriamente d’accordo. Sembrano due cose lontane, in realtà non lo sono. Il club in cui lavora Prandelli è stato acquistato nel 2014 da un magnate di Singapore, Peter Lim, che ha avviato una strettissima collaborazione con il super-agente Jorge Mendes. Il risultato è un organico pieno di calciatori gestiti dal procuratore portoghese. E che, per Prandelli, «non amano la maglia». Forse è correlato, forse no. Intanto, questi sono i fatti.

Il caso italiano

Come abbiamo detto sopra, queste vicende ci ha fatto riflettere. Sul fatto che, come abbiamo scritto anche ieri, «il vecchio calcio non esiste più». Esiste un nuovo tipo di rapporto tra i club e i loro proprietari, perché non esistono più i proprietari di una volta. Basti pensare al nostro campionato, in cui la solida dimensione patriarcale delle società di calcio sta lentamente scomparendo. Moratti è stato sostituito dai cinesi, idem (forse?) Berlusconi. La Roma è passata dai Sensi agli americani, esattamente come il Bologna.

C’è un cambio di tendenza, che esula dalla realtà economica più importante (la Juventus resta un ibrido tra proprietà familiare e appartenenza a una holding internazionale) ma individua comunque un fronte di resistenza: De Laurentiis e Lotito, insieme a Squinzi, Preziosi, Percassi, Zamparini. Lo stesso Gino Pozzo, patron dell’Udinese, vive uno strano crossover con altri club in giro per l’Europa. È ancora davanti il “mecenatismo all’italiana”, ma l’andazzo è tracciato. Lo leggi anche nelle (vere? realistiche?) notizie di fantomatici gruppi di investimento interessati un giorno al Palermo, un giorno al Genoa; lo percepisci nelle dichiarazioni dei presidenti, quelli classici, che cercano sempre “nuovi partner”.

Inghilterra, Spagna, Francia, Germania

Insomma, il calcio è cambiato senza che noi ce ne accorgessimo. Lo dice la Premier League, vinta dal Leicester di proprietà thailandese.Ma non è quello il punto, perché non è la questione di una rondine che fa primavera. Sedici club su venti sono gestiti in parte o completamente da società di investimento o gruppi non inglesi. Nella Championship, il numero si abbassa ma non si azzera: undici squadre su ventiquattro fanno capo a una proprietà straniera. Insomma, il mondo del calcio va così, e i tifosi devono fare una scelta ben precisa: adattarsi o contestare. Ma contestare tutto, però.

Se l’Atletico Madrid, attraverso il rapporto con il fondo Doyen e le operazioni con il gruppo Wanda, è riuscito a ridurre il gap con le grandi di Spagna – gestite secondo la formula dell’azionariato popolare e da profitti spaventosi -, merita tutti gli applausi del mondo. E siamo d’accordo. Il nuovo stadio, la vendita dei naming rights e il cambio dello stemma sono una conseguenza di questa politica. Di questi tentativi di fare ancora meglio, di crescere dal punto di vista economico. Non c’è altra via, oppure sì. Quella della Bundesliga, ad esempio. Che però conta su un gigante assoluto (il Bayern Monaco) e tanti club gestiti attraverso una partecipazione dei tifosi regolamentata dalla federazione. Tanto che, l’attuale capolista, il RB Lipsia, è odiato e osteggiato dall’intero sistema calcistico per i suoi “giochetti” sul filo della legge.

Piegarsi

È una dinamica che non si può fermare, basta affacciarsi in un cosiddetto campionato “di seconda fascia” per rendersene conto. La Ligue 1, in questo momento, è comandata da tre club con proprietà straniera. Il Psg, e vabbè, ma anche Monaco e Nizza (i monegaschi sono gestiti dal russo Rybolovlev, i nizzardi da un gruppo cinese). Quindi, come dire: prepariamoci a uno sconvolgimento. A un passaggio sempre maggiore verso un calcio business-oriented, con grandi gruppi di investimento e cifre spaventose in ballo. Tutta roba che, purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista, sembra avere un peso maggiore del romanticismo dei tifosi. Del loro attaccamento a certi ideali, a certe cose che sembravano inscalfibili e in realtà non lo sono. Funzionerà così, e non è altro che il prezzo scritto sul cartellino per acquistare una reale competitività. Prendere o lasciare.

ilnapolista © riproduzione riservata