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Il linguaggo di Sarri

Da “squadra adolescente” agli attacchi più o meno velati al mercato, a privilegiare chi conosce a memoria il suo modo di giocare a calcio.

Sarebbe interessante partire da un’analisi semiologica dell’espressione utilizzata l’altra sera da Maurizio Sarri per descrivere la condizione mentale della squadra dopo il pareggio subito dal Sassuolo: siamo una squadra adolescente. Alcune interpretazioni potrebbero essere:

  • l’età media della squadra è troppo bassa per poter competere per certi obiettivi (scudetto, secondo posto, piazzamento in Champions).
  • la società ha operato sul mercato disattendendo le mie segnalazioni (giocatori più maturi, più pronti, secondo i dettami della mia filosofia calcistica).
  • Non cresciamo mentalmente perché in questo particolare momento gli obiettivi posti alla squadra sono troppo distanti dall’attuale condizione psicologica del gruppo.
  • saremo competitivi tra due anni.

Gli attacchi di Sarri al mercato del Napoli

È sotto gli occhi di tutti che alcune uscite dell’allenatore toscano sono velati (spesso per nulla) attacchi alla dirigenza; con le sue scelte Sarri sta bocciando continuamente la campagna acquisti estiva, stessi uomini utilizzati, stesso undici (a parte Higuain) su cui ruotano i medesimi sostituti, guarda caso gli stessi dello scorso anno. Minutaggio per Tonelli, Rog, Giaccherini formalmente esiguo. Lo stesso Maksimovic, che ne ha disputato qualcuno in più, non sembra per nulla al centro del progetto calcistico del tecnico partenopeo. Premesso che alcune critiche post gara sono inutili e servono a poco, è molto più costruttivo analizzare le scelte per leggere il pensiero dell’allenatore.

La duttilità di Allegri

Nelle gare che contano Maurizio Sarri ha dimostrato di affidarsi a calciatori di cui conosce bene l’atteggiamento in campo e questo è certamente legato alla sua convinzione ideologica secondo cui il suo calcio si impara nel tempo e non si inventa, non gli piacciono gli esperimenti, una sorta di pressapochismo pionieristico che trova nei colpi di fortuna la sua determinazione e non nel lavoro collaudato. Massimiliano Allegri, raccontano alcune statistiche, ha cambiato circa tre atteggiamenti tattici (di media due a partita) nell’ultima gara persa contro il Genoa. Mette in campo Moise Kean (classe 2000) in virtù di una logica calcistica che più coerente non si può: il calcio è soprattutto un gioco prima che un lavoro.

Stesso discorso per Donnarumma (tralasciamo qui ogni critica di sorta, sull’argomento si potrebbe scrivere un altro pezzo), nessuno può dire che stia facendo male.

Il calcio è un gioco, non una scienza esatta

Il calcio è soprattutto un gioco mi piace ribadirlo, non esiste nessuna scienza che possa misurare un gioco. Il calcio non è una scienza esatta, Sarri considera il gioco del pallone diversamente, misurabile con numeri, controllabile attraverso movimenti sperimentati e ripetuti in allenamento, trasformando un gioco, un bel gioco (qualcuno lo definisce il gioco più bello del mondo proprio per la sua semplicità) in una scienza o, peggio ancora, una statistica sterile, grigia, monotona (come il fraseggio spesso inutile della squadra) che toglie agli esecutori la peculiarità che forse rende questo gioco realmente il più bello del mondo: la tranquillità di potersi divertire.

Gioca chi conosce a memoria il mio calcio

Probabilmente un trentenne che ormai ha alle spalle trecento partite, che ha fatto del calcio la sua professione con tutte le pressioni e il distacco che questo comporta, ha deposto lo spirito ludico a dispetto della professionalità, non osa rispetto a un giovane di talento che ha ancora dentro viva quella carica agonistica un po’ spregiudicata ma intraprendente, arrogante voglia di determinarsi. L’età media dei calciatori in campo ieri è di 26 anni, non si può certo definirla un’età immatura calcisticamente parlando. Ciò che si nota dalle dichiarazioni sarriane post gara è una sorta di infruttuoso tautologismo: per me gioca solo chi conosce a memoria il mio calcio e certamente non lo si può apprendere in pochi mesi di allenamento. Senza tirare in ballo i vari Rog, Tonelli, Maksimovic, la domanda è ancor più banale, retorica se vogliamo: perché quando ha messo come punta centrale El Kaddouri non ha pensato a Roberto Insigne?

Tornando alle tre considerazioni fatte all’inizio quella che semiologicamente appare più attendibile al pensiero di Sarri è l’ultima ma con molte riserve.

Da Benitez a Sarri, passando per Mazzarri, tutti hanno espresso un concetto disarmante nella sua semplicità: se il Napoli è una grande squadra così come tifosi e media hanno proclamato, non può investire su calciatori non pronti, soprattutto se poi vendi i top player che si sono consacrati facendo le fortune del club, Cavani e Higuain su tutti.

La percezione sbagliata degli allenatori del Napoli

Il contrasto principale che si crea è fondamentalmente questo, un tecnico arrivando a Napoli ha la percezione di essere arrivato in una grande squadra e si scontra poi con una serie di condizioni che invertono o smentiscono tale convinzione, probabilmente un club che pensa in grande, insieme a Rog e Maksimovic (giocatori bravi ma ancora grandi incognite) avrebbe preso Kalinic pagandolo magari anche quaranta milioni, la prepotenza della grande squadra: funzionalità e scouting.

È una squadra coerente

Analizzando la partita di ieri e stando ai numeri, tanto cari a Sarri, il Napoli ha espresso lo stesso gioco di sempre, il Napoli è comunque una squadra coerente, possesso palla sfiancante, un solo gol e un pareggio sfortunato: probabilmente Defrel messo nella stessa situazione su dieci volte la butta dentro una volta, così come il tiro di Callejon nove volte di dieci si insacca di fianco al palo; citando Karl Popper: nelle condizioni che hanno cambiato la storia in senso epocale si è sempre insinuato il caso. L’unica critica, che si spera il tecnico toscano prenda in considerazione, è relativa a Gabbiadini, il sinistro del bergamasco avrebbe potuto dare soddisfazione anche al novantacinquesimo.

La semiologia sarriana, rispetto a quella dei suoi predecessori, appare più velata meno diretta (quantomeno in pochissime uscite ha parlato di fatturato) ma molto più strutturalmente fondata, dal punto di vista del suo gioco. La squadra adolescente è un po’ svogliata, a tratti indolente, non obbedisce, verbo che fa quasi paura.

È evidente la frattura (non insanabile) ideologica tra società e allenatore, il Napoli appare alla deriva, intorno alla squadra c’è uno strano silenzio, di solito sono i dirigenti il faro indicatore quando la riva appare nascosta dalla nebbia.

In attesa di Lisbona…

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