ilNapolista

Io, vittima dell’allenatore pedofilo a 11 anni. Rivelazione shock di Andy Woodward

Il racconto è tremendo nella sua crudezza. E viene fuori 32 anni dopo i fatti, grazie ad una intervista concessa alla BBC e ripresa dal Guardian: Andy Woodward, ex difensore inglese, è stato ripetutamente oggetto di abusi da parte del suo primo allenatore, Barry Bennell, quando aveva solo 11 anni ed era tesserato con il Crewe Alexandra.

Il suo aguzzino è stato condannato a nove anni di carcere nel 1998, dopo aver ammesso 23 episodi di abusi contro sei ragazzini, e poi è tornato dietro le sbarre nel 2015 per un reato analogo. Ma secondo Woodward i casi potrebbero essere molti di più. Per questo è venuto allo scoperto, raccontando per la prima volta la sua terribile vicenda in uno studio televisivo della principale emittente britannica.

Bennell, talent scout famoso in quel periodo, ha lavorato per il Crewe Alexandra negli anni 80 ed ha collaborato anche con altre squadre inglesi di primo livello come Stoke City e Manchester City, quindi potenzialmente – secondo Andy – potrebbero esserci decine di uomini, oggi quarantenni, che si portano dietro questo enorme fardello e non hanno avuto ancora il coraggio di confessare pubblicamente.

Lui ha aspettato tanto tempo, dopo che la sua carriera è stata distrutta: ha lasciato il calcio a soli 29 anni, non riuscendo più a sopportare quell’ambiente e non sapendo più controllare le crisi di panico che lo tormentavano fin da giovane, dopo i primi abusi.

Ospite a casa dell’allenatore

Il calvario di Andy comincia quando giocava nelle giovanili dello Stockport. Lì lo nota Bennel, che lo invita a seguirlo al Crewe. Per i primi tempi il bambino dorme a casa dell’allenatore: una casa grande, piena di giochi e di animali, un piccolo paradiso per un bimbo di nove anni che insegue il suo sogno di diventare calciatore lontano da casa. Un sogno che ben presto si trasforma in un incubo. Cominciano gli abusi, conditi con minacce fisiche e psicologiche. E durante gli allenamenti tanta voglia di piangere ma nessuno con cui confidarsi.

L’aguzzino diventa cognato

Andy non ha la forza di ribellarsi. Cresce, si allena e gioca al pallone. In pubblico sembra un ragazzo normale, magari un po’ introverso, ma nulla lascia intuire ciò che subisce quando torna a casa. Il calvario assume contorni grotteschi quando, ad un certo punto, Bennel comincia una relazione con la sorella sedicenne di Andy, diventandone poi il compagno ufficiale, pur essendo molto più grande di lei. Andy vorrebbe parlare, vorrebbe rivelare alla sorella la vera natura del suo futuro sposo, ma lui lo ricatta, minaccia di interrompere la sua carriera di calciatore. E Andy tace. A soli 14 anni, dopo 3 anni di abusi, non ha il coraggio di ribellarsi. Così, è costretto a subire la presenza di Benell anche la Domenica, a casa, vederlo ridere e scherzare con i genitori a tavola. Fino al matrimonio, celebrato nel 1991. Un anno dopo Andy esordì in prima squadra con la maglia del Crewe, a 19 anni.

Infortuni fisici e mentali

La carriera di Woodward va avanti fra alti e bassi. Il giocatore subisce un paio di infortuni gravi, ma ora nell’intervista ammette che le sue lesioni erano soprattutto mentali. Il suo è un talento che sembra non sbocciare mai e gli allenatori provano a spronarlo. Ma come si fa a fidarsi di un allenatore quando proprio un allenatore ha trascinato la tua vita in un incubo? Finalmente, nel 1995, Andy trova la forza di lasciare il Crewe Alexandra e firmare per il Bury. Il primo anno è buono. Ma il destino ha in serbo una nuova sorpresa: cominciano le indagini su Bennel e pian piano il marcio viene fuori eppure questo anziché confortarlo lo blocca sempre di più, facendo aumentare incubi e crisi di panico.

Finalmente in carcere

Andy ha ormai 24 anni quando Bennell finisce in galera. E per le due stagioni successive – racconta oggi – gioca come non aveva mai giocato prima. Si sente finalmente libero di poter pensare solo al calcio e scatena in campo tutta l’adrenalina accumulata. Grazie alle sue prestazioni viene notato dallo Sheffield, che lo ingaggia. La grande occasione che aspettava da tutta la vita! Ma a quel punto tornano le crisi di panico e la mente crolla: ha un attacco più grave degli altri e viene ricoverato in ospedale. E appena torna in campo simula un infortunio per riugiarsi a piangere negli spogliatoi. Aumenta l’uso di farmaci, diminuiscono gli allenamenti e lo stato di forma ne risente. Lo Sheffield lo cede subito in prestito ad una squadra minore e da lì comincia la parabola discendente della sua carriera calcistica.

Il suicidio di Gary Speed

Oggi Woodward  ha 43 anni. Bennell, il suo aguzzino, 62. Lo scorso anno è tornato in carcere per una vecchia denuncia relativa a reati analoghi. E durante il processo ha confessato che a casa sua è stato ospitato anche Gary Speed, prima talentuoso centrocampista poi ct della nazionale gallese che nel 2011 si è impiccato nel suo appartamento.

Anche Andy ha avuto pensieri simili:

Nei momenti peggiori entravo in una spirale di silenzio e desideravo morire. Spesso ho pensato al suicidio: giravo nei boschi con una corda, avevo delle pillole…
Non l’ho fatto per un solo motivo: per non dare un dolore a chi mi vuole bene.

 

Andy Woodward oggi (Christopher Thomond for the Guardian )

Andy Woodward oggi (Christopher Thomond for the Guardian )

Ma ora il pensiero principale è quello di denunciare pubblicamente e indurre altre vittime a fare altrettanto:

Sono convinto che c’è ancora tanta roba che deve venire fuori. Sono consapevole che sarà uno shock per chi vive nel mondo del calcio, oltre che per chi è stato coinvolto. Mi ci è voluto tanto coraggio per fare questo passo ed ora posso finalmente dar voce anche agli altri. Siamo diventati delle vittime facili solo per la nostra voglia di diventare calciatori famosi. Qualcuno ci è riuscito. Altri no. Ma abbiamo sofferto tutti le stesse pene.

Dopo aver lasciato il calcio, Andy Woodward è entrato in Polizia, dove è rimasto per 12 anni. Potrebbe essere arrabbiato col mondo, ma non lo è. Una cosa però ci tiene a dirla: è un appello contro la “mentalità da spogliatoio” che per tanti anni ha permesso a Barry Bennell di commettere i suoi crimini in modo indisturbato, senza che nessuno parlasse:

Lì dentro in molti lo sapevano. Mi guardavano in faccia e mi dicevano che erano consapevoli di ciò che succedeva. Ma che quelle cose sarebbero rimaste nello spogliatoio perché dallo spogliatoio non esce nulla. E così è stato. Non era una scuola, certo, ma la società aveva il dovere di proteggerci. Eravamo solo dei bambini.

ilnapolista © riproduzione riservata