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Maurizio Sarri, l’anti Helenio Herrera

Sarri, almeno in pubblico, adotta una strategia opposta a quella del Mago: la parola d’ordine è “volare bassi”, lo ripete sempre. È giusto?

Maurizio Sarri, l’anti Helenio Herrera
Sarri

Si è incrinato il mito di Maurizio Sarri? È la domanda che viene da porsi ascoltando gli umori dei tifosi, leggendoli sui social. È come se, dopo il lungo idillio – durato di fatto un anno solare – l’innamorata avesse cominciato a notare i peli nel naso, quella tazza del water perennemente sollevata, la macchinetta del caffè mai sciacquata. Capita in tutte le coppie.

Ma è davvero così con Sarri? Non proprio. L’allenatore del Napoli continua a esercitare un indubbio fascino su gran parte della tifoseria napoletana. Ma probabilmente si è assottigliata la truppa pronta a seguirlo in maniera fideistica. Mentre a settembre, in occasione del primo vero scontro con Aurelio De Laurentiis sulla reale forza di questo Napoli, Sarri ottenne un plebiscito e anche uno striscione di appoggio in curva B, oggi i nasi storti sono aumentati. Scrivemmo che si stava ritagliando un ruolo da oppositore interno, ruolo invero singolare in un’azienda. Ovviamente, aggiungiamo, le critiche vanno di pari passo con le sconfitte: se il Napoli avesse battuto Atalanta e Roma, non avremmo mai sentito parlare di Rog. Questo è fin troppo chiaro.

La psicologia di Herrera

Quel che a volte appare eccessivo è quest’atteggiamento che potremmo definire l’esatto opposto di Helenia Herrera. Il mago, che non brillava per la fantasia del suo gioco, di fatto fu il primo sindacalista degli allenatori. Fu lui ad accendere i riflettori sull’uomo seduto in panchina. E fu lui, per ammissione dei suoi stessi calciatori, ad applicare i fondamenti della psicologia. Sandro Mazzola lo ricorda così:

Il Mago dopo una sconfitta oppure alla vigilia di un match particolarmente importante ci faceva trovare negli spogliatoi dei cartelli di incitamento. Oppure ci prendeva sotto braccio per lunghe passeggiate alla fine delle quali ti eri convinto di essere molto più forte dell’avversario che avresti incontrato la domenica.

A suo modo, è un innovatore

È molto probabile che Sarri si comporti allo stesso modo con la squadra. Ma è evidente, invece, che in pubblico tenda in maniera quasi ossessiva a tenere basse le aspirazioni del Napoli. Sarri teme l’effetto boomerang di un ambiente soggetto ai repentini cambi di umore, e questo è francamente comprensibile. Due anni fa, quella frase sullo scudetto pronunciata da De Laurentiis a Dimaro influenzò negativamente tutta la stagione. Opinionisti come Mario Sconcerti sono attestati sulla sua linea. Sta di fatto che Sarri non perde occasione – lo ha fatto anche sabato allo Juventus Stadium – per rimarcare che il Napoli ha deciso di acquistare i giovani e che con i giovani bisogna avere pazienza, che il Napoli non è affatto l’anti-Juve, che Diawara non è Marchisio, che abbiamo perso Higuain il centravanti dei record. Lo ripete praticamente sempre. È a suo modo un innovatore.

Raramente si è visto un allenatore sminuire sistematicamente – almeno in pubblico – il valore della propria squadra. Siamo certi che in privato non è così.

Però questa insistenza talvolta può essere scambiata per remissività, e in fondo lo sport è competizione: è dura cominciare una gara sapendo che la tua guida ti ritiene o almeno ti definisce inferiore. Almeno mediaticamente, perché poi Sarri fa giocare Diawara titolare a Torino, quindi lo ritiene un signor acquisto ed è stato bravo anche nella gestione. E il suo Napoli, senza centravanti, è primo nel girone di Champions e ha due punti in meno rispetto allo scorso anno.

Sarri è evidentemente convinto che in questo modo la squadra giochi senza pressioni e possa così rendere al meglio. Fa bene? Non lo sappiamo. Non siamo psicologi, quindi non possiamo giudicarlo. Di certo noi crediamo che invece il Napoli, o comunque qualsiasi squadra o agonista, debba calarsi nella competizione, debba essere consapevole di andare a giocarsi qualcosa di importante. È l’abitudine alla tensione che fa la differenza, come abbiamo visto anche sabato sera.

Il calcio è bugia

In noi c’è un sentimento ambivalente. Da un lato restiamo fedeli alla tesi rafaelita del calcio è bugia, e quindi le dichiarazioni lasciano il tempo che trovano, dall’altro però ogni tanto sarebbe bello ascoltare frasi improntate non diciamo alla spavalderia ma almeno non all’arrendevolezza. È sempre gradito avere un condottiero che mostra di crederci e non uno che, almeno apparentemente, si mostra non contento degli uomini a disposizione.

Poi da sabato sera si è aggiunto quell’abbraccio e quel sorriso con Higuain che a tanti – noi non siamo tra questi – non è andato giù. È parso un segnale di inguaribile nostalgia per un passato che non può ritornare. Sarri dà l’idea – probabilmente sbagliata – di pensare ancora al vecchio amore e non fa niente per nasconderlo di fronte alla nuova amata. Diciamo che non è carino. E aggiungiamo che è un atteggiamento che non può essere trascinato per tutta la stagione. La storia dello sport è zeppa di atleti e di squadre che sono riusciti a superare se stessi e a raggiungere traguardi insperati. È fondamentale, però, crederci. Muhammad Alì costruì il suo successo su Foreman soprattutto fuori dal ring. Pietro Mennea ci credette anche quando si trovò un bel po’ di metri dietro Allan Wells. E bisogna rischiare la disfatta per raggiungere la vittoria. Sarri è teoricamente nella condizione ideale. Ha perso Higuain, nessuno gli potrà mai imputare nulla. Però gradiremmo che non sia a lui ricordarcelo ogni giorno.

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