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Perché io, rafaelita, difendo Maurizio Sarri

Da maestro a integralista: la metamorfosi di Sarri ricalca quelle del suo predecessore. E se per una volta non facessimo i maestrini col ditino alzato?

Perché io, rafaelita, difendo Maurizio Sarri

Si può essere stati fan di Rafa Benitez, quindi rafaeliti, e difendere Maurizio Sarri? Sì, si può, almeno per chi scrive. Ieri ho incontrato in libreria Mario Colella e gli ho chiesto il motivo di una sua intemerata su Facebook nei confronti dei rafaeliti. Non ne capivo l’origine. E Colella mi ha spiegato che convive con rafaeliti che ormai odiano Sarri e che adesso infatti non condividono la linea del Napolista considerata troppo morbida nei confronti dell’allenatore di Figline Valdarno (seppure nato a Napoli).

Ovviamente io dirigo il Napolista ma non rappresento tutto il Napolista. Scrivo per me. Sono un tifoso del Napoli. È la maglia azzurra che ci lega ed è l’amore per il Napoli che mi ha condotto a essere rafaelita, a portare per quasi due anni la bandiera di Benitez allo stadio (ci sarebbe da scriverne un libro). Ero (e lo sono ancora) convinto che Benitez ci avrebbe potuto condurre a un definitivo salto di qualità che ci avrebbe condotto non solo a vincere ma a rimanere ai vertici del calcio italiano (e non solo) con una certa stabilità. In parte è accaduto. Ma Benitez è il passato. Ho certamente idee diverse dalla gran parte dei tifosi sul suo biennio a Napoli, considero la seconda stagione – vissuta senza portiere – come la migliore dal secondo scudetto, altro che fallimento. Ma entreremmo nell’universo Benitez e non ne usciremmo più.

Benitez non c’è più. E la battaglia rafaelita, dallo “spalla a spalla” in giù, acquista un senso se portata avanti anche in assenza del tecnico spagnolo.

Ovviamente non ho condiviso e non condivido tante dichiarazioni di Sarri (compresi i tanti sottintesi, e non solo, dello scorso anno riferiti a Benitez), non mi piace per niente quel ruolo di opposizione interna che a volte è diventato insostenibile, e tante altre cose. Ma è il nostro allenatore. È l’allenatore del Napoli. Ha pregi e difetti come tutti. L’obiettivo è non solo di rispettare il suo lavoro, ma di metterlo nelle migliori condizioni possibile per compiere scelte che si rivelino efficaci, o comunque per portare avanti la sua preparazione e i suo metodi di allenamento. Non mi riterrei rafaelita (parlo per me) se vomitassi su Sarri ogni genere di improperi, proprio come avvenne in quel biennio, soprattutto da quella che definii sul Napolista “una certa Napoli”.

Certo, tanto per dirne una, sarebbe divertente oggi immaginare gli editoriali che certamente Il Mattino avrebbe dedicato a Benitez all’indomani della terza sconfitta consecutiva. Non dimentico quando il quotidiano di via Chiatamone praticamente giustificò il post partita di Berna in nome di una comprensibile rabbia (perdemmo un’inutile partita di Europa League contro lo Young Boys, per chi lo avesse dimenticato). Sarebbe divertente immaginare i commenti biliosi di tanti tifosi dopo tre sconfitte consecutive di Rafa.

Ma comportarsi come loro equivarebbe a essere come loro. Oggi non posso che sorridere di fronte a opinionisti che invocano a gran voce quel turn over contro cui si erano scagliati con analoga ferocia. La scena è talmente ridicola che mi ripaga di qualsiasi velleità di rivincita.

Anche perché non ci sarebbe alcuna rivincita. L’obiettivo è il Napoli, il bene del Napoli. E non c’è dubbio che l’uomo più informato sulla nostra squadra è proprio Maurizio Sarri. Essere rafaeliti vuol dire proteggere Maurizio Sarri. È il motivo per cui il Napolista non si è scagliato contro l’allenatore nella polemica per l’ingresso in campo di Rog (meriterebbe un fumetto la sua vicenda mediatica) e Diawara (che poi è entrato). E io sono tra quelli convinti che il Napoli ha fatto una campagna acquisti molto importante e che abbiamo una signora squadra, molto competitiva in ogni reparto. Ripeto: molto competitiva.

Mi viene da sorridere quando vedo riaffiorare il termine “integralista”. Che a Napoli – ma potremmo dire in Italia – si traduce così: “allenatore che perde una o più partite senza cambiare continuamente formazione e modulo”. Perché quando si vince, nessuno è integralista. L’integralista perde soltanto, fateci caso.

Se non fa turn over e vince, è un maestro di calcio. Se non cambia modulo e perde, è integralista.

Il principio che mi muove è lo stesso. Ne sa certamente più di noi. E ovviamente può commettere errori. Ma se li commette, li commette in buona fede, con la convinzione che sta percorrendo la strada giusta. Senza dimenticare, particolare non irrilevante, che la sconfitta è contemplata nella vita come nello sport.

Mi sentirei male ad aggredire un allenatore in difficoltà, a definirlo un incapace a svolgere il lavoro che porta avanti da anni con tanto amore, passione e scrupolosità. Proprio non mi appartiene. Mi incuriosisce, invece, provare a comprendere le sue linee di ragionamento, i suoi limiti caratteriali, quelli che per lui possono essere scogli difficili da superare. E mi chiedo in che modo un sito tifoso, un ambiente possa aiutarlo. Perché c’è anche un’altra strada da poter percorrere nei momenti di difficoltà: fare fronte comune e aspettare che passi grazie alle cure del dottore. Il dottore è uno. Noi al massimo possiamo andare su Internet a cercare i sintomi. Pratica che ogni dottore vieta ci sconsiglia: “Mi fate una cortesia? Non andate su Internet, chiamatemi”. Ecco. Poi c’è tempo per verificare che il dottore non è adeguato. Non è questo il tempo, almeno così la penso.

Essere rafaelita per me vuol dire anche questo. E sono convinto che è il passaggio che ci manca (a noi come a Roma ad esempio, basta rileggere le parole di Sabatini) per diventare vincenti. Poi, per carità, possiamo divertirci a impallinare l’allenatore di turno. Come si dice, dove c’è gusto non c’è perdenza.

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